Tra Meloni e i media un rapporto burrascoso

ITALIA. Tra Giorgia Meloni e i giornali non è mai stato rose e fiori, neanche ai tempi in cui FdI stava all’opposizione.

Sarà perché la destra si è sempre sentita rifiutata dalla gran parte della stampa, sarà perché anche la televisione, finita la stagione di Fini, è tornata a chiudere le porte al piccolo - poi cresciuto - partito dei Fratelli d’Italia, sta di fatto che da quando è arrivata al potere, la presidente del Consiglio non ha mai rinunciato a togliersi tutti i sassoloni che portava scomodamente nelle scarpe. E naturalmente ad occupare i posti di potere soprattutto nella tv pubblica al punto da far dire agli avversari di sinistra che a viale Mazzini è nata «TeleMeloni» (glissando sul fatto che in Italia la lottizzazione sbagliata è sempre quella altrui).

Un concentrato di irritazione, insofferenza e polemiche che ormai costituisce una storia a sé della stagione politica dominata da FdI. La premier e i suoi fedelissimi non sembrano accettare critiche: «Ci vogliono far saltare i nervi», si lamentava qualche giorno fa la sorella Arianna in una riunione di partito. Al centro delle polemiche c’è soprattutto «Repubblic» a che, da quando è nato il governo, non ha mai lesinato titoloni di prima pagina contro quasi tutte (con l’eccezione dell’allineamento filo-americano e filo-israeliano) le decisioni di Palazzo Chigi, che fosse il Mes o la legge di Bilancio o le norme sugli immigrati o, da ultimo, le privatizzazioni di quote delle società pubbliche. Quest’ultima questione ha dato luogo alla polemica più feroce: «La svendita dell’Italia» titolava qualche giorno fa il giornale diretto da Maurizio Molinari, e la Meloni in tv rispondeva per le rime attaccando direttamente la proprietà del giornale, il gruppo «Stellantis», accusato di aver portato la Fiat in Francia riducendo la produzione in Italia e tagliando tutte le radici storiche della casa automobilistica di Torino (che a sua volta ha risposto con parole piccatissime dell’amministratore delegato Tavares). Imsomma, è guerra aperta tra Palazzo Chigi e quella che un tempo era la più grande fabbrica italiana.

Insieme a «Repubblica», gli strali si dirigono regolarmente verso «La7» di Urbano Cairo e con la generalità dei suoi conduttori. Sono ormai un must di YouTube le liti fra Giorgia Meloni e Lilli Guber: la giornalista, che non ha mai nascosto le sue simpatie politiche per la sinistra, ha battibeccato più volte in diretta con la leader della destra (arrivò ad accusarla di «dire sciocchezze»). Simili gli scontri con Corrado Formigli, altrettanto sarcastico verso il partito di maggioranza relativa di cui ricorda sovente le radici nel neo-fascismo del vecchio Msi.

«Il Fatto» di Marco Travaglio, legato strutturalmente al M5S di Conte e presente ogni giorno più volte al giorno con i suoi giornalisti nelle trasmissioni de «La7», è un altro «nemico» della premier, esattamente come «Report», la trasmissione di Amedeo Ranucci, reo di aver fatto inchieste sui rapporti di FdI milanese con i gruppi dell’estremismo nero, poi sulla famiglia La Russa e di recente sugli affari del padre (sconfessato e ripudiato tanti anni fa) di Giorgia Meloni. Lei, che per via di un lungo passato all’opposizione e fuori del recinto del pensiero mainstream tende al vittimismo, ha più volte rinfacciato ai giornalisti di aver trattato con i guanti bianchi i suoi predecessori, e si capisce che si riferisce soprattutto a Mario Draghi: «Allora non eravate così coraggiosi». Al punto che più d’uno ha sospettato che la conferenza stampa di fine anno (rinviata più volte) sia stata orchestrata in modo tale da non consentire agli inviati della stampa parlamentare alcuna possibilità di replica alle affermazioni della premier, anche quando erano un po’ troppo tendenti alla propaganda.

© RIPRODUZIONE RISERVATA