Tra Regione e Ferrovie un rapporto da rivedere

Il commento Magari il matrimonio s’aveva pure da fare, ma di sicuro dopo un anno e mezzo di fidanzamento e 11 di unione tra alti (pochini) e bassi (decisamente troppi) il dossier Trenord va riaperto e rivisto pagina per pagina. Come in ogni struttura gestita in modo paritario, alla fine il rischio è quello di un eterno ping pong tra le parti, senza quindi un’individuazione precisa delle responsabilità, visto che di fatto nessuno ha quello zero virgola qualcosa in più decisivo per far pendere l’ago della bilancia dalla propria parte.

In questo caso il quadro è ancora più complicato perché la controparte della Regione (sulle rotaie tramite la controllata Fnm) sono nientemeno che le Ferrovie dello Stato, multiforme società dove, di scambio in scambio, si rischia di perdere la bussola. Ma soprattutto c’è il fatto che se Trenord ci mette i treni, beh, i binari sono completamente appannaggio e proprietà di Rfi, società del gruppo Ferrovie. E qui iniziano i problemi, o meglio, un rapporto che da apparentemente paritario si sbilancia nettamente a favore del fu colosso delle italiche strade ferrate nelle sue variegate articolazioni. Un sistema societario talmente complicato che a volte sembra fatto apposta per sfuggire a qualsivoglia attribuzione di responsabilità. Per capirci, se ai tempi Kissinger quando voleva parlare con l’Europa non sapeva che numero di telefono fare, la cosa capita oggi con le Ferrovie.

Anche per questo il rapporto con la Regione non ha oggettivamente dato i risultati attesi, al netto dei 2 miliardi di euro spesi da Palazzo Lombardia per i 222 treni nuovi che ci si augura arrivino entro il 2025, come da agenda Trenord. Fermo restando che i tempi dell’industria del settore non sono proprio agilissimi e che i produttori sono pure pochini: per capirci, per avere un treno nuovo servono almeno un paio d’anni, mica mesi. Ad onor del vero va sempre ricordato che prima del Covid in Lombardia viaggiavano oltre 800mila passeggeri al giorno, ovvero quelli di Piemonte, Veneto e Toscana messi insieme, e già questo dà la misura della complessità di un sistema, aggravata dal fatto che il 75% gravita su Milano, con tutti i problemi del caso, ben evidenziati dalla recentissima chiusura del Passante.

Proprio questa vicenda ha reso, se possibile, ancora più evidente le difficoltà di rapporto tra Regione e Ferrovie, insieme in Trenord tramite Fnm e Trenitalia, su fronti opposti quando si parla di binari e scende in campo Rfi: il pasticcio del Passante è solo l’ennesima (facilmente non l’ultima) puntata di una vicenda ormai infinita. L’antico sogno formigoniano di una Lombardia autonoma almeno sul versante di infrastrutture e trasporti è finito? Diciamo che 12 anni e rotti dopo non sta benissimo, perché molto semplicemente non si capisce chi comandi. E se a questo aggiungiamo il fatto che la Regione che dovrebbe fare il controllore (pagante) del servizio gioca anche sul tavolo della gestione, beh, la frittata è completa.

Per questo motivo la questione Trenord deve tornare dritta sparata nei programmi della prossima campagna elettorale delle Regionali: per dare una governance più incisiva nel caso del centrodestra che chiaramente difenderà la sua creatura, ma sa che questo rapporto quasi schizofrenico tra soci rischia di rivelarsi fatale. Per mettere sui binari un’alternativa credibile nel caso del centrosinistra, fosse anche il ritorno nelle braccia di mamma Ferrovie, come fatto dalle altre Regioni.

Dove, detto per inciso, di gare non se ne sono fatte e si è optato per l’affidamento diretto. E anche in Europa i risultati di questa modalità (spesso invocata quasi per inerzia) sono minoritari e comunque in chiaroscuro: si va dallo spezzatino britannico post British Rail ben raccontato da Ken Loach in «Paul, Mick e gli altri» con disastri in serie su tutta la linea (anzi le linee) a qualche piccola concessione su relazioni molto minori nella Germania dominata da Deutsche Bahn. Che non molti anni fa aveva anche messo la testa in Italia con l’intenzione di partecipare a qualche gara (e l’uomo di punta era proprio quel Marco Piuri ora ad di Trenord) salvo poi alzare le braccia di fronte a una sostanziale situazione di monopolio della galassia Ferrovie. Tutto sommato siamo ancora a quel punto anche in Lombardia, dove Trenord è sì una società alla pari sulla carta, ma sui binari è tutta un’altra storia.

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