Un bosco che ha bisogno di cure
Serve un vaccino contro la sfiducia

Un bosco cresce in silenzio, ma ha bisogno di cure per farlo bene e diventare perenne, soprattutto se i germogli che gli hanno dato vita sono la vita stessa di uomini e donne, sradicati dalla loro terra per colpa di un virus cieco e violento che non ha avuto rispetto di niente e di nessuno. Il primo «nutrimento» al Bosco della Memoria che Bergamo ha voluto dedicare alle vittime del Covid lo darà questa mattina il presidente del Consiglio Mario Draghi, alla sua prima uscita ufficiale fuori dalla Capitale.

Il senso e il valore simbolico del gesto sono inequivocabili, e testimoniano l’affetto, la cura e l’attenzione che l’Italia intera, ma non solo, continua a riservare alla martoriata terra di Bergamo, ancora oggi simbolo indiscusso della resilienza con cui tutti noi ci siamo opposti alla forza distruttrice del coronavirus. La presenza del capo del governo all’inaugurazione del memoriale è dunque il miglior primo passo possibile sul sentiero della ripartenza che ormai sentiamo vicina, nonostante la situazione sia ancora particolarmente delicata.

La curva dei contagi sembra destinata a crescere ancora per un paio di settimane, dopo di che, finito un breve periodo di assestamento e complici gli effetti del lockdown e l’arrivo della primavera, dovrebbe iniziare la tanto attesa «discesa», quella che - negli auspici di tutti - ci accompagnerà fuori dal tunnel entro la fine dell’estate, spinti dalla «forza» determinante dei vaccini. Ed è proprio questo il tema vero su cui ci giochiamo il nostro futuro, il nostro riscatto. Qui non è ammesso sbagliare, non più. Lo si è fatto nei mesi passati, ma in condizioni totalmente diverse, dove il buon senso di pochi – nonostante il populismo di molti – ha comunque consentito di gestire, o di provare a gestire, una situazione che definire complessa è riduttivo: impossibile non sbagliare, a volte anche in modo clamoroso, ma il contesto e il dinamismo delle cose e degli avvenimenti erano tali che trovare la strada giusta al primo colpo era davvero un’impresa degna dei Titani.

Oggi non è più così: quello scenario - lo stesso in cui l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte venne a Bergamo non come un ladro nel cuore della notte, ma come chi, sfidando un terribile vento di burrasca, volle toccare con mano cosa fosse il Covid nella nostra terra - è radicalmente cambiato. Sul piano sanitario, la polmonite interstiziale la sappiamo gestire molto meglio di allora e il tasso di mortalità è di gran lunga più basso rispetto a un anno fa. Sul piano politico, da cui - nel bene e nel male - discende tutto il resto, compresa l’organizzazione della campagna vaccinale, il quadro non è minimamente paragonabile, alla luce di una «ritrovata» armonia parlamentare (almeno in apparenza). Può persino sembrare paradossale, ma il fatto che la disponibilità dei vaccini non sia ancora ottimale è una «fortuna»: se così non fosse, molto probabilmente ci troveremmo coperti di ridicolo agli occhi del mondo. Non è giustificabile che la regione considerata tra i motori dell’Europa - la Lombardia -, non sia stata in grado di organizzare un sistema di chiamata dei vaccinandi, franando miseramente proprio sulla fascia d’età che aveva bisogno di maggiori tutele, quella degli over 80, avvisati a tarda sera per la mattina successiva o «spediti» addirittura in hub distanti dalla propria abitazione anche 30 o 40 chilometri. Per non parlare di quelli che il «messaggino» non l’hanno nemmeno ricevuto.

Oggi come un anno fa, anzi, ancor più di un anno fa, non possono cadere nel vuoto le parole che il 28 giugno scorso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva pronunciato davanti al Famedio del Cimitero monumentale di Bergamo nel far memoria di quella terribile stagione: «Ricordare significa riflettere, seriamente, con rigorosa precisione, su ciò che non ha funzionato, sulle carenze di sistema, sugli errori da evitare di ripetere». Regione Lombardia, nel frattempo, ha cambiato due direttori generali e un assessore al Welfare, ma facendo i debiti confronti, non si può dire che le cose siano cambiate in meglio, mentre è possibile sostenere che, a conti fatti, l’ex assessore Giulio Gallera abbia finito con il pagare colpe anche non sue.

Ma onestà richiede che in ciò che non ha funzionato in questa seconda o terza fase ci si mettano anche i comportamenti scellerati di chi non ha voluto rispettare le giuste limitazioni imposte dalla recrudescenza del virus, portando tutti a pagarne le conseguenze. Comprensibile - perché il Covid ha la forza di annientare anche le nostre capacità di resistere, gettandoci tra le braccia della depressione - ma non giustificabile. La responsabilità civile di ciascuno di noi di fronte alla collettività è un tema che non possiamo continuamente nascondere sotto il tappeto, come se non esistesse: colpe ne ha la politica, colpe ne hanno i giornalisti (emblematico l’ingiustificato allarmismo sul caso AstraZeneca), ma colpe ne abbiamo anche noi cittadini, e dobbiamo cominciare ad avere la maturità di ammetterle. In attesa del vaccino, la nostra salvezza passa inevitabilmente dal nostro senso di responsabilità, non dimentichiamolo. Oggi Mario Draghi viene in una Bergamo ferita e affaticata, bisognosa di vaccini. Anche quello contro la sfiducia. Chi meglio del premier lo può portare?

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