Un mite forte,
garanzia
sicura
per il Paese

Un esempio, da imitare e da seguire. E quale esempio migliore di Sergio Mattarella per sigillare il patto tra l’Accademia della Guardia di Finanza, che da oggi vede unificato a Bergamo l’intero corso di studi, e i giovani cadetti chiamati a servire lo Stato in una delle battaglie più dure e difficili, quella contro il riciclaggio di denaro sporco e l’evasione fiscale? È a questi stessi giovani che il Presidente della Repubblica chiederà di impegnarsi, di non tirarsi indietro, di accettare il rischio e di mettersi in gioco, facendosi in realtà interpreti «di un orizzonte che tutto il nostro Paese si pone come obiettivo, e di cui tutto il nostro Paese ha bisogno», sulla scia del messaggio rivolto lunedì agli studenti dell’ateneo foggiano. Con le radici ben salde nella sua amata Sicilia, ma con il pensiero ancorato all’Europa e ai valori di libertà, uguaglianza e solidarietà, nel corso del suo settennato Mattarella ha rappresentato un punto fermo non solo nella politica di casa nostra, ma sull’intera scena internazionale, riuscendo a ridare credibilità ad un Paese, il nostro, messo ai margini dal bizzarro strabismo politico di Salvini e Di Maio nel primo governo Conte, a un passo dalla follia di lasciare l’Europa e l’Alleanza Atlantica per cercare improbabili (e a volte impresentabili) alleati a Est. Mite ma non debole (le affinità con Mino Martinazzoli sono più di una), il Capo dello Stato ha sempre evitato la via dello scontro preferendo la strada del dialogo, alzando più il sopracciglio che il tono della voce, e solo quel tanto che bastava per far capire in quale direzione andasse la strada tracciata dal Quirinale.

La sua raffinata intelligenza politica ha fatto sì che il sistema inclusivo scelto per mettere ordine tra le stramberie della politica italiana sia stato caratterizzato da una «moral suasion» autorevole, da una persuasione morale indiscutibile, un collante estremamente efficace tra le mura dei palazzi romani, ma apprezzatissimo anche dalla gente comune. Un susseguirsi di scelte e di indirizzi che non solo ha saputo contenere la deriva populista (e pericolosa) dei governi a trazione Lega e 5 Stelle, ma che, alla fine, l’ha messa all’angolo, portando a Palazzo Chigi quel Mario Draghi che per tanti aspetti potrebbe essere la sua controfigura. E se Draghi può permettersi di essere «Super Mario», il merito (anche se molti non se ne accorgono) è proprio di Mattarella, che assicura al premier la stabilità del quadro politico nel suo complesso. La ciliegina sulla torta, potremmo dire, un capolavoro di tessitura politica che ha ridato solidità al Paese, dentro e fuori i confini dello Stivale.

È indubbio che Sergio Mattarella sia riuscito ad assolvere con grande efficacia un duplice e difficilissimo compito: rigenerare il senso della Nazione per proiettarla nel cuore di un’Europa aperta, dove l’Italia deve continuare a ricoprire un ruolo determinante, degno della storia che l’ha vista tra i padri fondatori dell’Unione europea. Una sorta di obbligo morale che il nostro Presidente della Repubblica ha assolto con apparente facilità proprio per l’impronta che ha sempre connotato la sua storia di uomo ancor prima che di politico. Mattarella ha dentro di sé il senso della Nazione, lo sente e lo vive quotidianamente come un principio ispiratore a cui sa di non dover mai venir mai meno, ma è l’antitesi del «sovranista» semplicemente perché è un «grande vecchio», di quelli che conoscono davvero - e ne hanno una memoria ben ferma - la Storia che ha caratterizzato il Novecento. Sa bene, perché le ha toccate con mano, quali immani tragedie i sovranismi e i biechi populismi abbiano causato nel secolo scorso, gettando nella disperazione interi popoli. «Mai più» è il grido che risuona nella sua testa ogni giorno, e al quale Mattarella è votato a tener fede, anche solo nel ricordo del sacrificio del fratello Piersanti, barbaramente ucciso da Cosa nostra quasi 42 anni fa.

Come De Gasperi nel 1946, anche Mattarella ha compiuto scelte importanti di cui la Storia gli renderà ragione, ed è paradigmatico quanto le parole usate dal Capo dello Stato per ricordare, nell’aprile scorso, i 140 anni dalla nascita del grande statista democristiano del Dopoguerra possano valere anche per lo stesso Mattarella: «De Gasperi riuscì a dare un nuovo fondamento all’idea di Patria, lontana dai nazionalismi regressivi che avevano gettato il Continente nella barbarie e lo fece anche aprendo le porte al risorgere dell’idea di Europa. La necessaria ricomposizione dell’unità nazionale, dilaniata negli anni dell’alleanza nazi-fascista, trovava per De Gasperi una garanzia nella scelta occidentale e in quel progetto di unità europea, allora un ideale e oggi una straordinaria opportunità oltre che una responsabilità storica». Una storia che continua nel solco della tradizione cristiana animata dai veri valori.

Ma c’è un altro aspetto del Presidente che spesso sfugge ai più. Da buon siciliano, che riflette nei propri occhi l’inconfondibile azzurro di quel mare, ha saputo rimettere l’Italia anche al centro della politica del Mediterraneo, punto nevralgico della scacchiera diplomatica internazionale. Il Capo dello Stato sa bene che il «Mare Nostrum» rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese, che non può certo rinunciare a ricoprire un ruolo chiave nel dirimere le delicate questioni che lo rendono un «rebus» particolarmente complesso.

Infine Bergamo, a cui Mattarella porta il suo abbraccio affettuoso per la quarta volta. L’occasione è l’Accademia della Guardia di Finanza unificata, ma il Capo dello Stato non ha certo dimenticato la scia di dolore che questa città e questa provincia portano con sé, non come un fardello, ma con la dignità e il rispetto che si deve alla morte, anche se assurda, e dalla quale abbiamo saputo trarre la forza e la vitalità necessaria per rinascere. Bergamo è un esempio per il Paese, e Mattarella lo sa bene. È per questo che ci ha nel cuore. Grazie Presidente, e, di nuovo, benvenuto.

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