Un Paese che sceglie un populista alla volta, ma il risultato è lo stesso

Il commento Vincitori perdenti. L’ossimoro non coglie solo la traiettoria elettorale e politica di Cinquestelle e Lega. Permette anche, per certi versi, di individuare il loro destino.

Hanno inaugurato la legislatura, forti di un risultato elettorale che li aveva resi padroni del campo. Stanno finendo il mandato boccheggiando. Dimezzati, o forse più, nel consenso, marginali nel quadro politico. Gli scacchi politici non sono mai addebitabili (solo) a un destino cieco e baro. Rimandano anche a precise responsabilità. Nel caso che stiamo analizzando, queste responsabilità non sono poche e soprattutto gravi. Il M5s paga per un’ambizione troppo grande: niente meno che di rivoltare insieme sistema di potere e regole della democrazia. Salvini subisce il contraccolpo di non aver vinto la scommessa di fare della Lega, da sindacato del Nord che era, un partito nazionale.

Da quando i partiti si sono personalizzati o comunque identificati in una figura carismatica riemerge la vecchia inclinazione a esaltare il proprio beniamino come l’«Uomo della Provvidenza»

Tutto questo non è poco. Ma c’è molto altro, forse ancor più grave, che condiziona il loro futuro. C’è la volatilità dell’elettorato, facile a premiare, ma ancor più a penalizzare il prescelto quando lo delude. Le sconfitte sono diventate rovinose, ancor più se, come nel caso del M5s, non si ha radicamento sociale. C’è quel tratto - va detto - non esaltante del carattere degli italiani che in tempi di populismo è riemerso con prepotenza. Da quando i partiti si sono personalizzati o comunque identificati in una figura carismatica riemerge la vecchia inclinazione a esaltare il proprio beniamino come l’«Uomo della Provvidenza». Nascono così bolle di popolarità (Renzi al 40%, Salvini al 34%, Grillo al 32%), pronte a sgonfiarsi al primo urto con la realtà. Non c’è niente di più rovinoso che infatuarsi di un vincente che perde. Non c’è niente di più distruttivo che credere in un re taumaturgo che alla prova dei fatti dimostra di non risanare alcunché. Gli elettori, allora, sono pronti a punire il salvatore che si è macchiato della colpa di averli delusi, come se fosse sua la responsabilità della loro infatuazione, e non della loro dabbenaggine a credere nell’impossibile. L’aura del vincente è molto attrattiva, ma parimenti seduttiva è la tentazione di calpestare il dio caduto dall’altare.

Epidemia e guerra hanno ribaltato le carte. I jolly sono diventati scartini. La politica è tornata a essere invocata come risorsa. L’Europa da matrigna s’è trasformata in madre protettiva.

C’è infine un terzo fattore, intervenuto nel corso di questa legislatura, sottraendo a Cinquestelle e Lega le loro carte vincenti. Nel 2018 avevano potuto sbancare il tavolo perché avevano entrambe un jolly nella manica: uno raffigurava l’odiata casta dei politici, l’altro l’Europa matrigna. Dopo vent’anni di dileggio dei partiti un bel «vaffa» era quanto gli italiani apprezzavano di più. Per non dire dell’impopolarità dell’euro-burocrazia, imputata stabile di tutti i nostri malanni.

Epidemia e guerra hanno ribaltato le carte. I jolly sono diventati scartini. La politica è tornata a essere invocata come risorsa. L’Europa da matrigna s’è trasformata in madre protettiva. Russia e Cina, prima potenze ammirate e corteggiate, si sono trasfigurate in presenze inquietanti. La loro frequentazione, prima vantata, risulta ora imbarazzante. Nel contempo, sono venute meno, ai campioni del populismo, le sponde internazionali su cui facevano molto conto. Trump non è più alla Casa Bianca. Johnson è stato sfrattato da Downing Street.

Non è mai facile pescare nel mazzo un jolly, quasi impossibile pescarne due di fila. Sventare il taglio del superbonus o del reddito di cittadinanza, reclamare il salario minimo, opporsi alla costruzione a Roma di un termovalorizzatore (M5s), oppure contrastare la legalizzazione della cannabis e l’introduzione dello jus scholae (Lega) sono le misure reclamate, ma non hanno l’impatto dirompente che permetta ai due partiti di rinnovare i fasti di quattro anni fa.

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