Usa-Europa buon inizio, senza farsi illusioni

MONDO. Sarà equilibrismo ma per ora regge e chissà il futuro quali sorprese può riservare.

Giorgia Meloni, che quando è a Bruxelles è la più trumpiana dei leader europei e quando è a Washington è la più europeista degli amici di Trump, alla fin fine è riuscita ad accreditarsi come ipotetica ma credibile mediatrice tra la Casa Bianca che brandisce il randello dei dazi e l’Unione Europea tentata di chiudersi a testuggine e reagire di fronte a un rapporto con gli Usa che tutti, su questo lato dell’Atlantico, considerano insostituibile ma che non sanno più come maneggiare.

La posizione della Meloni in Europa

Certo, l’attivismo meloniano non piace a tutti. Non piace a Emmanuel Macron, leader di una Francia che ha relazioni economiche con gli Usa meno intense delle nostre, che può vantare una deterrenza nucleare autonoma rispetto alla Nato e coltiva l’ambizione di intestarsi la guida dell’Europa schierata a protezione dell’Ucraina. Forse nemmeno alla Spagna di Pedro Sanchez, orgogliosa della propria vitalità tanto da assumere una posizione indipendente e più aperta nei confronti della Cina. E di certo preoccupa poco l’Europa dell’Est e del Nord, dalla Polonia ai Baltici alla Finlandia, che con gli Usa vanta un rapporto privilegiato.

La Meloni e i complimenti d Trump

Ma la doppietta della Meloni è stata di certo un successo per lei, per l’informale incarico di mediatrice europea e in generale per il nostro Paese. Un giorno a Washington a incassare i complimenti di Trump e la sua disponibilità a venire in visita in Italia, viaggio che ovviamente diventerebbe occasione di incontro con i vertici Ue. L’altro a Roma per incontrare il vice presidente J. D. Vance (che oggettivamente sembra qualcosa più di un vice da cerimoniale, come lo sono stati tanti prima di lui) e registrare un’apertura a «un commercio equo e reciproco». Vaga finché si vuole, ma pur sempre un’apertura. E di questi tempi… Aggiungiamo un particolare: la Meloni ha tenuto duro sulla linea scelta dall’Europa per la questione ucraina e questo, comunque vada a finire il negoziato in cui gli Usa da un lato annunciano la firma dell’accordo con Kiev sulle terre rare, e dall’altro continuano a minacciare l’abbandono del tavolo in caso di cattiva volontà da entrambe le parti, resta un punto d’onore.

Una nuova centralità, ma senza illusioni

Preso atto della ritrovata centralità italiana in un momento in cui la confusione regna sovrana anche nei massimi centri istituzionali, a cominciare da Bruxelles, sarà comunque saggio non farsi troppe illusioni. Trump e la cerchia ristretta dei suoi principali collaboratori stanno giocando una partita enorme, di cui da queste parti si percepisce l’effetto dannoso ma non l’urgenza, dal punto di vista della Casa Bianca drammatica. Dopo decenni in cui stampare dollari e comprare all’estero è stata la soluzione più semplice e praticata, gli Usa si ritrovano con un debito pubblico che rischia di andare fuori controllo, mentre la progressiva deindustrializzazione allontana nel tempo un principio di soluzione.

La leva dei dazi di Trump

Trump, come dicevamo, ha impugnato il randello dei dazi, per proporre ad amici (ma quali?) e nemici un semplice ricatto: se non volete esser tagliati fuori dal ricco mercato americano, trasferite le vostre imprese qui e producete negli Usa. Funzionerà? A essere realisti, nessuno lo sa. Come per la Brexit, ci troviamo di fronte a un fenomeno inedito. Una mossa che nessuno, prima di Trump, aveva mai tentato, certo non su questa scala. Anche il negoziato con la Russia, che sembra non potersi concludere se non a spese (e bisognerà vedere in quale misura) dell’Ucraina rientra nel tentativo trumpiano di far uscire gli Usa dagli impegni non strategici, quindi non redditizi, per spostare le risorse sui fronti principali, primo fra tutti quello del duello con la Cina.

Questo per dire che Trump non mollerà facilmente e che tratterà, come fa sempre, solo in base a condizioni che giudicherà convenienti per gli Usa. E che la Meloni non sarebbe la prima leader che gli Usa esaltano e poi abbandonano. Per il momento, però, possiamo tenerci il buono della situazione. Per cominciare, in questa fase il pallino del confronto con Washington è in mano a un Paese che fu tra i fondatori della Ue e che gli Usa (assai più di Bruxelles) giudicano decisivo per gli equilibri nel Mediterraneo. E con quel che si è visto negli ultimi anni, non è poco.

© RIPRODUZIONE RISERVATA