Usa, la sinistra
e gli immigrati

Le delusioni sono spesso figlie delle illusioni. Tra il popolo della sinistra statunitense ed europea ha destato delusione il monito pronunciato da Kamala Harris, asiatico-americana, prima donna vicepresidente degli Stati Uniti, durante una visita in Guatemala. Nella conferenza stampa con il presidente guatemalteco Alejandro Giammattei (di origini italiane...) si è rivolta a chi vorrebbe lasciare i Paesi del Centro America per migrare illegalmente negli Usa: «Voglio essere chiara con le persone di questa regione che stanno pensando di intraprendere un pericoloso viaggio verso il confine tra Stati Uniti e Messico: non venite. Non venite. Continueremo a far rispettare le nostre leggi e a proteggere i nostri confini».

Poi ha precisato che l’amministrazione Biden «vuole aiutare le persone a trovare speranza in patria». La nomina di Harris, 56 anni, suscitò entusiasmo non solo negli States, grazie alla sua biografia multiculturale, nata da madre indiana e da padre di origine giamaicana, emigrata negli Usa a 19 anni. La notte della vittoria su Donald Trump pronunciò tra l’altro queste parole: «Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un Paese pieno di possibilità. Il nostro Paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi». Poteva suonare anche come un invito a emigrare negli States.

Poi sono arrivate le responsabilità di governo. Le parole di Harris in Guatemala hanno sparso ulteriore benzina sul fuoco del clima politico americano, già arroventato. Per i repubblicani la vicepresidente è colpevole di una grave omissione perché non è andata a visitare la frontiera tra Stati Uniti e Messico, il Muro dove quest’anno sono arrivate 200 mila persone, vittime di violenze da parte delle forze dell’ordine e dei trafficanti di uomini; per la sinistra radicale dei democratici rappresentata da Alexandria Ocasio-Cortez invece «non possiamo incendiare la casa di qualcuno e poi incolparlo perché scappa», riferendosi alla politica di ingerenza americana negli Stati del continente Sud. «Cercare asilo è legale», ha aggiunto, dando così un doppio colpo: alla Harris e alla politica estera americana.

Durante la visita in Guatemala, la vicepresidente ha annunciato la formazione di una task force congiunta con il governo locale contro la corruzione nel Paese, uno dei motivi, assieme alla grande povertà e alla violenza della criminalità organizzata, dell’alto tasso di emigrazione dagli Stati centroamericani. Ha inoltre promesso aiuti finanziari per 4 miliardi in 4 anni e l’invio di mezzo milione di dosi di vaccini contro il Covid. È la politica dell’«aiutiamoli a casa loro» in salsa statunitense, che però deve essere vera, seria ed efficace e dà risultati solo nel medio-lungo periodo. Intanto il Muro segna anche una faglia tra benessere e povertà: negli Stati Uniti il reddito medio pro capite è di 65.297 dollari, in Guatemala di 4.619, in El Salvador di 4.187 mentre in Honduras crolla a 2.574. Come biasimare chi cerca miglior vita altrove? E basta un monito a fermarli?

La polemica sulle parole di Harris è rimbalzata anche in Italia, con paragoni inopportuni. Un conto è respingere migranti sulla terra ferma, un altro in mare, pratica illegale perché pericolosa. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, astro in crescita della destra, propone il blocco navale ma non sa, o finge di non sapere, che è regolato dal diritto internazionale, dall’articolo 42 dello statuto dell’Onu e richiede una dichiarazione di guerra. Meloni ha anche detto che le politiche migratorie di Biden sono uguali a quelle di Trump. È vero che l’attuale presidente ha mantenuto attive misure volute dal predecessore (ma con importanti correzioni, soprattutto nell’accoglienza dei minori non accompagnati dai genitori) che cercano di scoraggiare l’arrivo di nuovi flussi. Al contrario del tycoon però l’amministrazione democratica ha riaperto diverse possibilità di immigrazione regolare. E poche ore dopo la nomina alla guida della Casa Bianca, Biden ha inviato al Congresso un progetto di legge per regolarizzare 11 milioni di ispanici residenti da anni negli Stati Uniti ma senza i documenti in regola. Svolgono lavori essenziali per l’economia, anche in tempi di pandemia, ma non beneficiano dell’assistenza sanitaria. Ora tocca al Congresso pronunciarsi: sul tema è la riforma più ambiziosa dal 1986, quando Ronald Reagan regolarizzò lo status di tre milioni di immigrati.

Intanto i governi del Messico e degli Usa condividono una «visione umanitaria comune, in base alla quale si cercano flussi migratori ordinati, sicuri e regolari in combinazione con meccanismi di cooperazione che affrontano le cause strutturali della migrazione», come è stato riportato in una nota a conclusione di un incontro tra il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador e Kamala Harris. Azioni più utili dei moniti.

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