Una scelta che ha cambiato due destini: Stefano e la forza del dono

LA STORIA. Stefano Iore, 56 anni, da un volantino sbiadito alla scelta che ha salvato la vita di una persona.

«Donare - scrive Albert Schweitzer - è il più grande atto di umanità». Seguendo questa strada, Stefano Iore, 56 anni, testimonial e “tutor” per il gruppo giovani Admo di Cividino, ne ha fatto un modo di stare al mondo.

Il punto di svolta, nella sua vita, è arrivato grazie a un volantino sbiadito che pubblicizzava la donazione di midollo osseo, trovato nella sede dell’Avis. Era poco più che un ragazzo quando lo ha notato, tanti anni fa, sul tavolo della sezione di Palazzolo sull’Oglio.

«Perché no?»

Donava sangue già da tempo - una bella abitudine ereditata da uno zio, avviata in virtù di una scommessa che aveva fatto con se stesso al momento degli esami di maturità - ma non aveva mai sentito parlare di Admo, l’associazione italiana dei donatori di midollo osseo (www.admo.it). Il volantino, semplice, fatto in casa, diceva che bastava un prelievo di sangue per entrare nel registro dei potenziali donatori. Dopo averlo letto, Stefano si è chiesto «Perché no?».

All’epoca, l’Admo era ancora agli inizi: «Quando mi sono presentato al Centro trasfusionale per la tipizzazione, una signora gentile mi ha spiegato che probabilmente non mi avrebbero mai più chiamato, che era tutto lì, offrire una disponibilità e basta, perché la compatibilità tra non consanguinei è rarissima, una persona ogni centomila». Stefano ha sorriso, e dopo un po’ non ci ha più pensato.

La chiamata

La sua vita è continuata, dentro il ritmo delle sue donazioni di sangue, il suo lavoro. Poi, un giorno, il telefono ha squillato. Sembrava la stessa voce di allora, chiamava dall’ospedale. Gli ha chiesto se fosse ancora disponibile per verificare la compatibilità con un potenziale ricevente, una «seconda tipizzazione».

Quando arriva il momento di decidere, a volte, le circostanze non concedono molto tempo per pensare

Non era un evento comune, ma nemmeno così raro. Stefano ha accettato. «Basta andare all’ospedale di Brescia per un prelievo, nulla di più». Quando ha ricevuto la seconda chiamata, ha capito che forse l’idea della donazione stava diventando più concreta. All’altro capo del filo, un medico parlava piano, come accade quando le parole pesano: era risultato quasi totalmente compatibile con un paziente in attesa di trapianto. Uno su centomila.

La scelta

Quando arriva il momento di decidere, a volte, le circostanze non concedono molto tempo per pensare. «Può ritirarsi in ogni momento, - gli aveva detto il medico. - Ma sappia che, se decide di proseguire, da quell’istante il ricevente verrà preparato al trapianto. Il suo corpo sarà sottoposto a trattamenti molto invasivi, che lo indeboliranno. Non potrà più tornare indietro». Stefano ha ascoltato, in silenzio. C’era la vita di uno sconosciuto sospesa sul suo sì. Dipendeva proprio da lui, che aveva iniziato a donare sangue come prova di coraggio, perché aveva paura degli aghi: anche per questo ha accettato subito.

Da quel momento gli è sembrato che la sua vita iniziasse a scorrere in parallelo a quella di un altro essere umano sconosciuto, che non avrebbe mai incontrato. Due destini connessi da un filo invisibile di cellule, probabilità e mistero.

Ma questo legame, la prima volta, si è interrotto senza lieto fine. Il ricevente, infatti, non ce l’ha fatta, ha ceduto alla malattia prima di poter ricevere il trapianto. Stefano ha avuto la notizia dopo pochi giorni: «È stato difficile per me. Non so chi fosse, ma per me era diventato come una persona di famiglia». In quelle settimane di analisi e visite gli sembrava di aver già iniziato a provare un affetto profondo, quasi fraterno, per la persona che avrebbe dovuto ricevere il suo midollo. «Era come se ci fosse un filo tra noi - spiega - anche se non sapevo chi fosse. Ancora oggi, quando ci penso, mi emoziono».

Una seconda chiamata

Una ferita che non si era ancora rimarginata quando, due mesi dopo, il telefono ha squillato di nuovo. Era il primario di ematologia degli Spedali Civili di Brescia in persona: «Signor Iore - gli ha detto, con un tono che tradiva il suo stupore -, non mi è mai capitato di chiamare la stessa persona due volte. Ma c’è di nuovo un altro paziente compatibile con lei che aspetta il trapianto. Abbiamo già confrontato tutti gli esami». Stefano è rimasto in silenzio, colpito, commosso: «Gli ho chiesto se ne era proprio sicuro, mi sembrava incredibile».

L’emozione

Così, alla fine di settembre del 1998, è entrato in ospedale per la donazione: all’epoca, il metodo più usato era quello del prelievo dalle ossa del bacino, con un piccolo intervento chirurgico, in anestesia totale. Oggi, nella maggior parte dei casi, la donazione avviene per aferesi dal sangue periferico, con un procedimento simile a una donazione di plasma. Stefano, comunque, non ha avuto alcuna preoccupazione: «Non mi importava di subire un intervento, mi sembrava una piccola cosa. Pensavo solo a quanto fosse bello poter offrire una possibilità di guarigione a chi ne aveva bisogno».

«Non ho provato dolore»

Quando si è svegliato, accanto a lui c’era sua moglie - allora la sua fidanzata - accanto al letto: «Mi ha riferito qualche frase farneticante detta sotto anestesia, ne abbiamo riso insieme. Il giorno dopo stavo bene, non ho provato dolore, solo un po’ di indolenzimento». Due giorni dopo era già tornato a casa.

«Ho provato un senso profondo di gratitudine e leggerezza, felice per quella vita che comunque proseguiva, da qualche parte»

Non ha mai saputo chi fosse quella persona, né dove vivesse. Per anni Stefano non ha cercato notizie: «Ho fatto quello che sentivo giusto e mi bastava». Poi, un giorno, gli è venuta la curiosità di sapere quale fosse stato l’esito del trapianto, e i medici, dopo aver fatto qualche ricerca, l’hanno rassicurato: «Abbiamo notizie fino all’anno scorso. La persona che ha ricevuto il midollo sta bene. È tornata alla sua vita normale». Stefano è rimasto in silenzio: «Ho provato un senso profondo di gratitudine e leggerezza, felice per quella vita che comunque proseguiva, da qualche parte».

«Alla portata di tutti»

Oggi racconta quella storia con pudore, ma anche con gioia: «Mi fa piacere offrire la mia testimonianza - spiega - se può aiutare qualcuno a capire che la donazione di midollo osseo è semplice, non è dolorosa, può salvare la vita a una persona ed è alla portata di tutti. Eppure, il numero dei donatori rimane ancora troppo basso, e la compatibilità resta un miracolo statistico». Stefano ha raccontato la sua storia per la prima volta quasi per caso, su richiesta di un collega, che era volontario Admo nella sezione di Cividino, poco distante da dove vive, a Cologne.

«Mi ha chiesto di portare la mia testimonianza in una serata dedicata in modo particolare ai diciottenni del paese. Gli ho detto: “Guarda che io non sono un grande oratore”. Poi, però, le parole sono arrivate senza sforzo. Ho detto ciò che sentivo. Aver avuto la possibilità di donare ha cambiato in meglio la mia vita, lo considero un privilegio». La sua storia è intrecciata per sempre a quel filo che unisce chi dà e chi riceve. Da allora, ha partecipato ad altre serate, altre campagne. È diventato una delle voci di Admo Cividino, una presenza discreta ma costante.

Il volontariato è un filo che attraversa tutta la vita di Stefano, che per molti anni ha prestato servizio anche nell’Associazione Auxilium fondata da don Silvio Galli a Chiari: «Servivo pasti ai senzatetto, parlavo con chi arrivava stanco e invisibile». E, sullo sfondo, la sua vita di ogni giorno: un lavoro in un’azienda di materie plastiche, una famiglia, i figli, qualche gita in montagna. Ogni tanto, pensa a quella persona che ha ricevuto il suo midollo. Non sa se sia ancora viva, se abbia figli, se si sia mai chiesta chi fosse il donatore che le ha regalato una possibilità di rinascita.

«Ognuno ha i suoi tempi»

«Mi piacerebbe sapere che ha avuto una bella vita - dice -. Ma va bene anche solo essere consapevole che per un po’, grazie a me, ha potuto viverla. Il mio unico merito è quello di esserci stato, al momento giusto». La gratitudine è un filo che l’ha accompagnato sempre da allora, in ogni momento, ogni gesto. Dentro le sue parole si sente la materia dei gesti veri: «Se tutti potessimo donare, curare malattie come la leucemia sarebbe più semplice - racconta -. Ma ognuno ha i suoi tempi, le sue paure. Non tutti sono informati, non tutti ci arrivano nello stesso modo. Forse era destino che capitasse a me, in quegli anni».

Il corpo come linguaggio di solidarietà

La donazione di midollo osseo gli ha permesso di scoprire che il corpo, quando si mette a disposizione, diventa linguaggio di solidarietà, un codice universale che non ha bisogno di traduzioni. Le condizioni necessarie per diventare donatore, ricorda, sono poche: «Un’età tra 17 e 35 anni, un peso superiore a 50 chili, buone condizioni di salute». E fra le righe di ciò che è successo Stefano ha colto anche una sfumatura sottile, perché donare non è solo dare qualcosa di sé, ma anche accettare di essere scelti dalla vita, chiamati a qualcosa di speciale: «Qualcuno, tra tanti, ha scelto me - sottolinea -. E allora era giusto dire sì».

La vita di Stefano oggi scorre tranquilla, fra lavoro e famiglia. Ma ogni tanto, nelle serate organizzate da Admo o Avis, quando parla ai giovani, si accende una luce diversa nei suoi occhi. Ricorda quel tavolo con i volantini, l’inizio inconsapevole di tutto, e ancora l’attenzione, la professionalità e la cura dei medici, la stanza bianca dell’ospedale di Brescia. La telefonata che gli ha detto, molto tempo dopo: «È andato tutto bene».

«Ho dato quello che avevo»

Forse è questo, il dono più grande: sapere che il proprio corpo può farsi passaggio, ponte, soglia. Che, a volte, basta offrire la propria disponibilità, accogliere un invito con semplicità per cambiare il destino di qualcuno, anche senza averlo mai incontrato. Stefano Iore è volontario, donatore, uomo comune. Ha avuto per due volte l’opportunità di donare il midollo osseo, una cosa assolutamente rara, ed è riuscito a salvare una vita. Ma quando glielo ricordano, scuote la testa, con la sua calma di sempre: «Non ho fatto niente di straordinario - conferma -. Ho solo dato quello che avevo. E in fondo, sarebbe bello che lo facessero tutti».

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