«La città di Dio» nel cuore di Bergamo

IL PROGETTO. Se Sant’Agostino dovesse indicare all’uomo di oggi cosa avesse in mente quando immaginava «La città di Dio» mostrerebbe senza alcuna incertezza «Casa Marina Lerma».

La struttura dedicata ai bambini in situazioni di gravissima fragilità inaugurata sabato 14 giugno in quell’angolo della Malpensata che più passano i giorni e più acquista i contorni di una cittadella della carità e della speranza, persino della gioia (pur lavorando quotidianamente di fronte al volto dell’emarginazione, della povertà, della morte) è ciò che più si avvicina al pensiero del santo di Ippona. Perché qui, piaccia o non piaccia a qualcuno, c’è il volto di Dio. C’è la mano di Dio che accarezza, lenisce, cura, guarisce. E se non guarisce il corpo, guarisce l’anima, e l’accompagna tra le braccia del Padre con misericordia e con amore. Mentre il nostro mondo fa sempre più fatica a dare valore alla vita umana, qui, al contrario, si difende la dignità intrinseca di ogni uomo, sempre e comunque, anche nella sua ultima ora.

Mentre il nostro mondo fa sempre più fatica a dare valore alla vita umana, qui, al contrario, si difende la dignità intrinseca di ogni uomo, sempre e comunque, anche nella sua ultima ora

A distanza di trent’anni, restano drammaticamente attuali le parole con cui Giovanni Paolo II illuminò l’«Evangelium Vitae», l’enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita, in cui affermava «il diritto di ogni uomo a vedere sommamente rispettato il valore sacro della vita umana, dal primo inizio fino al suo termine». Sul riconoscimento di tale diritto - diceva Papa Wojtyla - «si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica». Oggi - scriveva il Pontefice, ma si era nel marzo del 1995 - «questo annuncio si fa particolarmente urgente per l’impressionante moltiplicarsi e acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando è debole e indifesa. Alle antiche e dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche, della violenza e delle guerre, se ne aggiungono altre, dalle modalità e dalle dimensioni inquietanti». E con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico, ammoniva Giovanni Paolo II, «nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale, che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e - se possibile - ancora più iniquo, suscitando ulteriori gravi preoccupazioni: larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie (...). Scelte un tempo unanimemente considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco socialmente rispettabili (...). L’esito al quale si giunge è drammatico: se è quanto mai grave e inquietante il fenomeno dell’eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla via del tramonto, non meno grave e inquietante è il fatto che la stessa coscienza, quasi ottenebrata da così vasti condizionamenti, fatica sempre più a percepire la distinzione tra il bene e il male in ciò che tocca lo stesso fondamentale valore della vita umana».

A distanza di tre decenni il piano inclinato su cui poggiava quell’incipiente deriva si è piegato ancora di più, e oggi il risultato è sotto gli occhi di ciascuno di noi. Ecco perché «Casa Lerma» ha un inestimabile valore etico, perché l’umanità dell’uomo la si custodisce e la si coltiva così, con lo spirito che letteralmente si respira tra queste mura. «Non risolveremo i problemi del mondo - osserva con sapienza il Vescovo, monsignor Francesco Beschi, nell’inaugurare con emozione e commozione la nuova “Casa” - ma diamo un segno di ciò che a noi sembra importante per il mondo». È un segno, ma un segno che dice molto di questa Diocesi e di quello che fa, spesso anche nel nascondimento, per tradurre il Vangelo nella vita di ogni giorno, per vivere la vita dove la vita accade, perché la vita vive – e s’incarna – tra gli ultimi, tra chi sopravvive ai margini, ignorato da tutti, tra chi soffre nell’abbandono e nella solitudine. È un segno di come questa Diocesi interpreta l’amore verso il prossimo, un amore che, come ha ricordato il Vescovo, conosce i bisogni - grandi, profondi, dolorosi - di colui che dice di amare. «Guardiamo dall’alto in basso solo per aiutare il prossimo ad alzarsi» diceva spesso Papa Francesco, che poi aggiungeva: «Siate pazzi d’amore per aiutare gli altri». Solo così si può umanizzare la modernità, ben sapendo come spiega il filosofo Mauro Ceruti, che «l’eccezionalità dell’uomo sta nella capacità di essere responsabile».

È un segno di come questa Diocesi interpreta l’amore verso il prossimo, un amore che, come ha ricordato il Vescovo, conosce i bisogni - grandi, profondi, dolorosi - di colui che dice di amare

«Un progetto di intelligenza comunitaria»

Il Vescovo Beschi ha più volte ricordato come «Casa Lerma» sia il frutto di «un’intelligenza comunitaria», una forma «di intelletto, di affetto, di emozioni, di razionalità, di relazione» ben diversa dall’Intelligenza artificiale e che - così composta - ci consente ancora di sperare nella pace. Solo così le crepe che oggi costellano l’umanità e il suo agire non rappresentano solo la mediocrità dell’uomo, ma diventano strumento per far filtrare all’interno del cuore di ciascuno di noi la luce dell’amore e della speranza. Un’immagine che Monsignor Beschi ha preso a prestito da Leonard Coen e dal suo «Anthem» (Inno): «Suona le campane che ancora possono suonare - canta l’artista canadese -, dimentica la tua offerta perfetta, c’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce». Perché solo la luce fende le tenebre e sbriciola l’oscurità, anche quella dell’animo umano. Abbracciamo dunque le crepe, esorta Monsignor Beschi, che non sono altro che le sofferenze del presente. «Solo abbracciandole possiamo costruire insieme la speranza, che non è l’arte di camminare da soli, ma è la mistica del camminare insieme. La crepa della nostra debolezza e dei nostri fratelli lascia entrare la luce di Dio».

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