
L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 15 Ottobre 2025
La povertà non è emergenza ma relazione spezzata: serve il coraggio di guardarla
ITALIA. C’è una parola che usiamo spesso, ma che rischiamo di aver svuotato del suo significato più vero: povertà. La riduciamo a un problema da risolvere in fretta, a una bolletta da pagare, a un letto che manca.
La povertà, però, è molto di più: è una condizione che attraversa la vita di ciascuno, in modi diversi, spesso silenziosi, a volte invisibili. È una ferita che non riguarda solo «gli altri», ma anche noi, quando ci accorgiamo di non bastarci, di non essere visti, di non trovare senso. Bergamo è una «terra» forte, generosa, capace di rialzarsi dopo ogni prova. Oggi la sfida non è rialzarsi: è guardare. Guardare con sincerità la fragilità che ci circonda e quella che ci abita dentro. Perché la povertà non si trova solamente nei dormitori o nei centri di ascolto: vive anche negli occhi di chi si sente solo, di chi lavora senza tregua e non arriva alla fine del mese, di chi perde fiducia, di chi non si sente più riconosciuto.
È la solitudine che cresce quando si spezzano le relazioni, quando ci si sente inutili o invisibili, quando nessuno ti chiama per nome
La povertà non è solo mancanza di denaro, è anche assenza di legami, di tempo, di ascolto, di possibilità. È la solitudine che cresce quando si spezzano le relazioni, quando ci si sente inutili o invisibili, quando nessuno ti chiama per nome. Forse è questa la povertà più diffusa. Finché continueremo a trattarla come una questione da gestire, la povertà resterà un’emergenza. Bisogna che impariamo a riconoscerla come una relazione da abitare: allora può diventare luogo di incontro, spazio di rinascita, possibilità di cambiamento per tutti. Non abbiamo bisogno di pietà, ma di responsabilità condivisa. La solidarietà vera non è fare qualcosa «per» l’altro, ma camminare «con» l’altro, lasciandoci toccare dalla sua storia. Perché nella povertà degli altri scopriamo anche la nostra, e nel bisogno dell’altro ritroviamo il senso del nostro vivere.
Abbiamo confuso la ricchezza con il possesso e dimenticato che la vera ricchezza è la relazione che costruisce futuro.
Viviamo in un tempo in cui tutto abbonda: le cose, le parole, le connessioni. Eppure, manca proprio ciò che più ci fa umani: il tempo, l’ascolto, la prossimità. Abbiamo confuso la ricchezza con il possesso e dimenticato che la vera ricchezza è la relazione che costruisce futuro. Chi vive la povertà materiale ci ricorda che la vita non si misura da ciò che si ha, ma da ciò che si condivide. La povertà non è una vergogna, e non è una colpa. È un invito a riconoscere la nostra interdipendenza, a capire che nessuno si salva da solo, che la vita fiorisce solo insieme. È una possibilità per ripensare la città, la comunità, le nostre relazioni.
La nostra terra di Bergamo può scegliere: può essere una terra che produce benessere, o una comunità che genera umanità. Può continuare a correre, o può scegliere di fermarsi per ascoltare. Può guardare ai numeri, o può guardare ai volti. Il futuro di una città non si misura solo nel Pil o nei servizi, ma nella capacità di prendersi cura, di restare umana dentro la complessità. Solo così la nostra provincia potrà diventare davvero una casa abitata da persone in relazione, e non solo uno spazio popolato da individui che si sfiorano senza incontrarsi. La povertà è lo specchio in cui riconoscere la nostra umanità. Guardarlo con coraggio è il primo passo per trasformarla in speranza.
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