L'Editoriale
Domenica 26 Novembre 2023
Le mosse di Putin tra bluff e realtà
IL COMMENTO. Sono passati appena tre giorni da quando scrivevamo, proprio su queste colonne, che il momento in cui Vladimir Putin fa il conciliante è proprio quello in cui più bisogna preoccuparsi. E il massiccio attacco aereo contro Kiev delle scorse ore dimostra che quella precauzione non va mai abbandonata.
La Russia ha lanciato 74 droni contro la capitale ucraina mentre ancora non si era spenta l’eco delle parole di Putin al G20 virtuale («Dobbiamo pensare a come fermare questa tragedia», ovvero la guerra in Ucraina), mentre gli ucraini ricordavano l’anniversario dell’Holodomor (la strage per fame compiuta dal regime staliniano all’inizio degli anni Trenta, con sette milioni di vittime) e mentre i primi scambi di prigionieri siglavano la tregua tra Israele e Gaza.
Mettiamo insieme questi tre aspetti, anche molto diversi tra loro, perché l’incursione su Kiev non aveva stringenti obiettivi militari (solo una dozzina di droni russi è riuscita a superare la contraerea ucraina) né civili (la Russia continua a non attaccare i palazzi governativi o i centri direzionali della capitale) e nemmeno quello di terrorizzare i civili, come dimostra il fatto che sono «solo» cinque i feriti a Kiev, e nemmeno in gravi condizioni. Il che concorre a dimostrare che sia l’ondata di droni sia le parole di Putin al G20 erano destinate a produrre un effetto soprattutto psicologico: ribadire che la Russia si sente in vantaggio, pensa di aver superato i momenti peggiori, considera le forze armate ucraine in difficoltà, il presidente Zelens’kyj in crisi di fiducia e gli alleati occidentali dell’Ucraina confusi ed esitanti come mai prima. Quindi prova a dettare le proprie condizioni. Questo il senso delle affermazioni di Putin al G20 (alludeva a un negoziato ma in realtà diceva: dovreste smetterla, noi possiamo tranquillamente andare avanti), questo anche il senso dell’attacco su Kiev, che dal punto di vista militare non aveva grande importanza (tra l’altro l’impatto dei droni va in calando, con lo sviluppo dei sistemi di difesa aerea) ma che era stato pianificato per attrarre, in quel momento, il massimo dell’attenzione e del risalto.
È difficile valutare quanti motivi abbia Putin per sentirsi così sicuro. Al fronte l’offensiva ucraina è fallita, è vero, ma nemmeno i russi ottengono chissà quali risultati, nonostante che abbiano provato ad avanzare il più possibile prima che il gelo invernale blocchi le operazioni. Il Cremlino, semmai, può pensare che la situazione vada meglio del previsto sotto un altro aspetto, quello politico-economico. La Russia, ora lo si può dire apertamente, ha superato le sanzioni dell’Occidente. Ma soprattutto è riuscita a tenere aperti certi canali vitali per la sua economia. Un solo esempio: il Financial Times, qualche giorno fa, ha rilevato che nell’ultimo anno il petrolio russo è sempre stato venduto a un prezzo più alto dei 60 dollari a barile previsti dal «tetto» deciso dal G7 nel settembre 2022, restando sempre su quotazioni tra i 75-80 dollari a barile. Questo non sarebbe avvenuto se l’Arabia Saudita, di cui la Russia è partner nell’Opec+, non avesse deciso di tagliare la produzione per tenere alto il prezzo del greggio. Per la Russia, un successo sia economico sia politico. E mentre l’Unione Europea ammette di non essere in grado di fornire quel milione di proiettili per l’artiglieria che aveva solennemente promesso all’Ucraina, i servizi segreti della Corea del Sud pubblicano un preoccupato rapporto che parla di enormi quantità di proiettili forniti alla Russia dalla Corea del Nord, avvertendo che con quelli potrebbero essere in viaggio anche missili tattici di nuova concezione. Di fatto, il regime di Pyongyang dà il cambio a quello di Teheran, che in una fase precedente ma altrettanto cruciale della guerra fornì alla Russia i droni di cui, per un certo periodo, l’Ucraina ebbe quasi il monopolio grazie alla Turchia.
In altre parole, sembra che al Cremlino ormai confidino in una guerra di durata e nella capacità della Russia di reggere uno sforzo prolungato. I Paesi occidentali saranno in grado di fare altrettanto prima che l’Ucraina, l’unica a combattere sul proprio territorio e con i propri uomini, rischi il tracollo?
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