Cronaca / Val Calepio e Sebino
Mercoledì 22 Novembre 2023
Val Calepio, picchiata e costretta a dormire in auto dal fidanzato geloso
LA STORIA. Vessata per cinque anni dal fidanzato geloso: condannato a 10 anni dopo che lei ha trovato il coraggio di denunciarlo. Per controllarla durante i turni notturni, la obbligava a passare la notte nel parcheggio della fabbrica.
Vessata, picchiata, umiliata, minacciata, trattata come un cane dal fidanzato geloso che la costringeva a dormire in auto nel parcheggio della ditta quando lui, operaio, era impegnato nel turno di notte. Avanti così per 5 anni, dal 2014 al 5 ottobre 2019, quando il compagno la stava picchiando all’esterno di un bar e il conducente di un furgone è intervenuto in difesa della ragazza. Lei ha trovato poi il coraggio di denunciare, i carabinieri hanno compiuto le indagini, la Procura ha aperto un’inchiesta e alla fine la giustizia ha fatto il suo corso. Martedì 21 novembre il giudice Laura Garufi ha condannato il giovane a 10 anni per stalking, rapina, lesioni, ricettazione e detenzione di sostanza stupefacente.
Il cambiamento
Lui è un 32enne bergamasco della Val Calepio e pure lei - che chiameremo Maria, nome di fantasia per proteggerne la privacy - è una ragazza bergamasca della Val Calepio, che ora ha 30 anni e lavora come impiegata. All’inizio le cose fra i due vanno bene, fanno anche una vacanza insieme in Egitto. Ma col tempo lui diventa sempre più geloso e ossessivo. Il racconto che la vittima ha reso ieri in aula è lo spaccato di vita di una donna sottomessa, in balia degli umori e della violenza del compagno, mai intenzionata - fino all’episodio scatenante - a prendere iniziative per ribellarsi alla sua condizione. Maria aveva terrore di lui, ha raccontato ieri a processo, «pensavo di essere uccisa». E per far capire cosa ha rischiato, la giovane ha rivelato un episodio in cui, forse, a scongiurare un esito infausto ha contribuito un benigno capriccio del fato. Nel 2018 lui, è il racconto di Maria, l’aveva costretta a salire in auto dicendole: «Adesso andiamo da un mio amico che ha una pistola e ti deve uccidere». La ragazza era in preda al panico, ma durante il tragitto avevano avuto un incidente con l’auto e i propositi del fidanzato erano rimasti fortunatamente confinati all’ambito delle minacce.
I controlli ossessivi di lui
Lui le impediva di intrattenere rapporti anche con i parenti, la picchiava per i più futili motivi. Il giovane lavorava saltuariamente e quando non aveva un impiego si manteneva, è il sospetto degli inquirenti, spacciando o facendosi pagare le spese da Maria. Spesso lui stazionava sotto il condominio di lei, insospettendosi per qualsiasi uomo che varcava il portone d’ingresso del palazzo. Una notte, secondo quanto raccontato ieri dalla vittima, arrivò a entrare dalla finestra nell’appartamento dove la giovane abita con i familiari, per verificare che con lei non ci fossero estranei. In un’occasione, sempre quand’era appostato sotto casa di lei, l’aveva vista uscire con l’auto di un parente e aveva sferrato calci alla carrozzeria.
Le telefonate di controllo, poi, non si contavano. Ma,al capitolo cellulare, l’imputato è arrivato a livelli maniacali. Ha modificato la password di accesso dello smartphone di Maria e come codice facciale ha inserito i parametri del proprio viso, di modo che, anche per fare una chiamata, la fidanzata dovesse passare da lui. Aveva ovviamente inserito la funzione del «parental control», come si fa con i bambini, e la geolocalizzazione. Inoltre controllava le chiamate e bloccava gli amici di lei che non erano simpatici a lui. E non di rado arrivava a sequestrarle il cellulare.
Lui era solito maltrattarla, spingendola, insultandola e, almeno in un paio di occasioni, spegnendole una sigaretta sulla coscia. E poi le umiliazioni, le peggiori di tutte quelle in cui la sera, quando lui era impegnato in fabbrica per il turno notturno, la obbligava a dormire in auto nel parcheggio della ditta per scongiurare il rischio che lei lo tradisse.
L’autista di un furgone la salva
La goccia che fa traboccare il vaso, la notte del 5 ottobre 2019. Lui al bar dove hanno trascorso la serata perde il telefonino e, quando tornano a casa, incolpa lei di averglielo preso. Maria cade dalle nuvole, per tentare di calmarlo gli chiede di tornare nel locale per vedere se lo ritrovano. Ma è tardi, il bar ha già chiuso. Così, la rabbia dell’imputato esplode nel piazzale antistante al locale. Lui la afferra per i capelli e urla: «Se non ritrovi il cellulare ti ammazzo!». Poi le strappa il telefonino di mano per cercare di contattare il numero del proprio cellulare e capire dove è finito. Le urla dei due attirano l’attenzione di un passante, che però non interviene. Lo fa poco dopo il conducente di un furgone, oggi 51enne, che vede il giovane aggredire la ragazza. Scende dal mezzo e gli intima: «Lasciala stare!». L’imputato sale così sulla sua auto e se ne esce dalla vita di Maria.Da allora non si è più fatto vivo, ma da allora, traumatizzata, la ragazza non ha più avuto il coraggio di instaurare una relazione sentimentale.
È il conducente del furgone che accompagna Maria dai carabinieri. E qui lei trova la forza di raccontare cosa erano stati quei 5 anni. I militari partono subito in direzione dell’abitazione del fidanzato. Quando li sente suonare il citofono, lui scappa dalla finestra. In casa i militari scoprono una quarantina di grammi di marijuana, una pistola giocattolo senza tappino rosso, un bancoposta e due tessere rubate a una donna francese residente in zona. Lui si presenta in caserma tre giorni dopo con l’avvocato e viene denunciato a piede libero. A processo, invece, non è mai comparso. L’avvocato d’ufficio ieri ha chiesto una pena di giustizia. L’accusa sei anni e mezzo. Il giudice è andato oltre: 8 anni per lo stalking, la rapina del cellulare e le lesioni, un anno per la droga, uno per il bancoposta rubato. Se la pena dovesse essere confermata anche negli altri gradi di giudizio, per l’imputato, che finora non è mai stato sottoposto ad alcuna misura cautelare, si spalancheranno le porte del carcere.
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