Alunni con disabilità: in 15 anni sono più che raddoppiati

I dati. Attualmente nelle scuole statali sono 5.766. Assistenza educativa, Comuni in difficoltà sui conti. Leggi l’approfondimento di due pagine su L’Eco di Bergamo in edicola martedì 7 marzo.

Nell’anno scolastico 2007-’08 gli alunni con disabilità nelle scuole statali bergamasche (dall’infanzia alle superiori, esclusi i Cfp) erano 2.723, su un totale di 124.831 studenti: il 2,19%. Quindici anni dopo, i dati dell’Ufficio scolastico provinciale parlano di 5.766 su 130.333: il 4,42%. Siamo oltre il raddoppio. E il trend di crescita si è mostrato costante nel tempo, anche quando, nel 2017-’18, la popolazione scolastica complessiva in Bergamasca, superati i 137mila studenti, ha mostrato un’inversione di tendenza iniziando a diminuire per via del calo demografico.

«In linea con la media nazionale»

I numeri dei ragazzi con disabilità, invece, sono rimasti in aumento. «Si tratta di un dato che sta crescendo su tutto il territorio italiano, il 4% registrato qui ci vede in linea con la media nazionale», spiega Fortura Di Meo, referente per l’inclusione dell’Ufficio scolastico provinciale.

Si tratta di un fenomeno complesso e in cui concorrono vari fattori: gli addetti ai lavori segnalano in particolare un aumento delle diagnosi nello spettro autistico. «C’è anche un’attenzione crescente della scuola nel rilevare le fragilità già nei primissimi anni, all’infanzia e alla primaria – rileva di Meo –. Oltre all’attenzione della neuropsichiatria nell’inquadramento dei profili diagnostici». I dati non includono i disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) e l’ambito del deficit di attenzione (Adhd). «Aumenta sempre più la richiesta, sia di insegnanti di sostegno, sia di assistenti educatori», rileva Di Meo. Così, inevitabilmente il fenomeno apre interrogativi concreti sulle modalità migliori di seguire questi ragazzi nell’ambito scolastico, di come garantirne l’inclusione in modo efficace. E se per i docenti di sostegno la competenza è ministeriale, sull’assistenza educativa sono i Comuni a doversi attivare. I soldi sono l’ultimo aspetto di cui ci si vorrebbe preoccupare, per parlare di argomenti che toccano da vicino bambini, famiglie, operatori del terzo settore. Eppure, proprio il nodo delle risorse per l’assistenza educativa sta assumendo un profilo allarmante per i Comuni.

Per molte amministrazioni locali la spessa negli ultimi anni è lievitata

I dati nei paesi

I numeri parlano chiaro: la città di Bergamo, per esempio, è passata dai 323 bambini e ragazzi assistiti nel 2015, ai 584 del 2022, con una crescita costante che nello stesso arco di tempo ha portato la spesa da poco più di due milioni, fino a praticamente il doppio: 3.750.000 euro. Il sindaco di Romano Sebastian Nicoli ha visto le cifre raddoppiare rispetto all’inizio del suo mandato, nel 2014, e oggi i costi per il Comune sfiorano i 900mila euro. Un gruppo di 25 sindaci dell’Isola lo scorso anno ha scritto alla Regione, tramite l’Azienda che qui ha in carico il sociale, evidenziando in un solo biennio l’aumento di richieste per alunni certificati di oltre il 41% e risorse economiche dedicate che oggi valgono il 5-6% dei bilanci comunali. Per quest’anno, la spesa per sostenere il servizio è di 4,5 milioni di euro, gli utenti in carico 573 su 25 Comuni.

«La richiesta è di ricevere più contributi dagli enti superiori – non ci gira intorno il sindaco di Ponte San Pietro e vicepresidente della Provincia, Matteo Macoli –. È una stortura che un servizio così importante della scuola dell’obbligo sia demandato esclusivamente ai Comuni». Quello che Macoli chiama «un piccolo segnale» si è visto con la legge di bilancio 2022, quando «per la prima volta lo Stato ha riconosciuto dei contributi ai Comuni per questo servizio». Ma il beneficio economico è stato davvero minimo: per restare ai 25 Comuni dell’ambito Isola, sono arrivati 268mila euro, a fronte dei 4,5 milioni di spesa di cui sopra. «Speriamo che il contributo venga confermato e nel tempo possa diventare più cospicuo», aggiunge Macoli.

Lo scorso anno, per la prima volta, un contributo dallo Stato. «Ma serve di più»

Il servizio è svolto dai Comuni su delega statale, nella logica di una vicinanza territoriale, ma nel tempo si è perso il legame tra interventi erogati e fondi ricevuti: «Prima ogni delega aveva un suo finanziamento, poi si è passati a un fondo unico, complessivo, di finanziamento ai Comuni – spiega l’assessora all’Istruzione del Comune di Bergamo e presidente del Dipartimento Istruzione di Anci Lombardia, Loredana Poli –. Ogni tanto però bisognerebbe fare i conti e capire chi sta pagando cosa: qui ci troviamo nella situazione per cui la finanza comunale copre un diritto costituzionale». Tra le criticità del post-pandemia c’è anche una crescente difficoltà a trovare gli operatori, mentre dal lato delle cooperative sono arrivate segnalazioni su come i bandi dei Comuni non siano sempre omogenei nei contenuti e nella collocazione contrattuale degli educatori.

Per fare il punto della situazione, l’Anci lombarda ha anche avviato un monitoraggio tra i Comuni. Hanno già risposto quasi 400 amministrazioni, di cui oltre 70 bergamasche. Ne emerge anche come, pur a fronte di norme che prevedono tuttora il rapporto uno a uno, «ad personam», tra educatore e alunno, alcuni Comuni stiano portando avanti sperimentazioni per modalità diverse, che possano rispondere a una situazione in forte cambiamento. «L’esperienza ci ha dimostrato che, se in alcuni casi il rapporto uno a uno è effettivamente il più indicato, in altri risulta utile un allargamento al piccolo gruppo, a un contesto più inclusivo – dice Poli –. La nostra proposta come Anci, già dal 2019, è che si riveda quel vincolo normativo. Nell’attesa, alcuni Comuni hanno iniziato a muoversi».

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