Braccialetti elettronici, si usano poco: a Bergamo 34 dispositivi

GIUSTIZIA. Il 65% applicato a chi è ai domiciliari per droga o minacce e il 35% agli stalker. L’appello degli avvocati: «Si utilizzi di più, fa risparmiare tempo e risorse». Ma i gip: «Via di mezzo che non piace».

Si chiama comunemente braccialetto elettronico anche se, per comodità, viene indossato alla caviglia. Ed è uno strumento di controllo che il giudice può applicare in due circostanze: in alternativa al carcere per chi viene messo ai domiciliari oppure nei confronti degli stalker. Nel primo caso si attiva se il soggetto lascia l’appartamento, nel secondo se si avvicina alla sua vittima che, nel contempo, è dotata di uno strumento elettronico che la avvisa di quanto sta avvenendo. In entrambi i casi viene avvisata in tempo reale la centrale operativa di carabinieri e questura, da dove è possibile monitorare in tempo reale, grazie al segnale gps del satellite con cui è collegato, la posizione del braccialetto.

I dati

Una misura che a Bergamo e provincia, in linea con il resto d’Italia, è pochissimo utilizzata: a oggi lo indossano soltanto 34 persone. Di queste, il 10% vive in città e il 90% nel resto della provincia. Per questo 3 braccialetti sono gestiti dalla polizia di Stato (presente principalmente nel capoluogo) e 31 dai carabinieri (presenti capillarmente con le stazioni in tutto il territorio bergamasco). Nel 65% dei casi il braccialetto è indossato da persone che, per esigenze cautelari o a seguito di condanne, sono state poste agli arresti domiciliari anziché in carcere: quasi tutte sono finite davanti al giudice – che stabilisce se applicare o meno questa misura – per reati legati agli stupefacenti oppure contro la persona, soprattutto le minacce.

Questi sono i casi in cui la posizione del dispositivo può essere costantemente monitorata dalle forze dell’ordine, in tempo reale, con l’allarme che si attiva quando viene lasciato il domicilio: il dispositivo è comunque programmabile e può essere previsto che non suoni se, per esempio, chi lo indossa è stato autorizzato dal giudice a lasciare casa per andare al lavoro in precise ore del giorno. A gestire la fornitura, la programmazione e l’applicazione fisica dei braccialetti è la società privata «Fastweb», a seguito di un accordo con il ministero dell’Interno.

Gli altri casi – circa il 35% – riguardano i cosiddetti stalker, cui il braccialetto viene applicato come misura preventiva per evitare che si avvicinino alle vittime: in quest’ambito l’utilizzo è cresciuto negli ultimi anni, contestualmente all’aumento delle denunce per atti persecutori. Inutile aggiungere che, in caso di manomissione o assenza improvvisa del segnale gps, scatta immediatamente un allarme. A livello nazionale i braccialetti al momento in uso sono circa cinquemila, anche se la disponibilità degli strumenti è pari al doppio. Le persone poste agli arresti domiciliari sono invece quarantamila. E poi i costi: oggi detenere una persona in carcere costa allo Stato 137 euro, mentre applicargli il braccialetto elettronico fa scendere la cifra a 115. Ancora parecchi rispetto ai soli 7 euro della Germania e ai 5 dollari degli Stati Uniti.

Questi i dati. Ma perché in Italia e nella Bergamasca questo strumento che potrebbe potenzialmente risolvere il problema del sovraffollamento carcerario viene così poco sfruttato? Del resto, a Bergamo in via Gleno circa 300 dei 500 detenuti devono scontare meno di 4 anni di pena residua e, dunque, potrebbero essere posti ai domiciliari. Per l’avvocato Riccardo Tropea, presidente della Camera penale di Bergamo, il sistema non è ancora entrato bene nella mentalità del sistema giudiziario italiano: «Basti pensare che, soltanto per quanto riguarda i miei assistiti, di tutte le volte che ne ho chiesta l’applicazione, alla fine è stata concessa soltanto in un caso. Di fatto i magistrati preferiscono optare tra il carcere e gli arresti domiciliari senza alcun tipo di controllo. Questo è un peccato, perché il braccialetto elettronico non fa altro che dare maggiore garanzia e sicurezza allo stesso giudice a livello di controllo, oltre a garantire un consistente risparmio di tempo e risorse da parte delle forze dell’ordine, che possono verificare se la persona si trova agli arresti domiciliari in tempo reale e direttamente dalla centrale, anziché recarsi con la pattuglia all’abitazione».

Per l’avvocato Tropea non si tratta di una carenza solo bergamasca: «In tutta Italia è così e l’utilizzo di questo dispositivo andrebbe rilanciato. È chiaro che per l’applicazione del braccialetto è necessaria la preventiva autorizzazione dell’interessato, senza la quale il dispositivo non può comunque essere autorizzato». Vero è che la maggior parte dei condannati preferisce stare ai domiciliari con il braccialetto piuttosto che dietro le sbarre del carcere.

Dalle parti del tribunale, però, c’è freddezza sull’argomento: «Come spiego nelle sentenze – illustra il giudice Vito Di Vita, presidente della sezione gip/gup –, la scelta è solo duplice: o mi fido della persona e allora applico i domiciliari, oppure non mi fido e allora applico la custodia in carcere. La via di mezzo del braccialetto non mi piace. A questo aggiungo che la difficoltà di reperire questi strumenti, quando vengono autorizzati, è un ulteriore impedimento alla loro diffusione».

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