Costi troppo alti e ritardi nei pagamenti
Ma i buoni pasto resistono ancora

Nel 2003 erano 450 su 826 gli esercizi in città che accettavano i ticket (54,5%), nel 2020 sono scesi a 435 su 907 (48% ), con un’impennata di incidenza solo alla voce bar e gelaterie e un calo drastico nel comparto ristoranti, trattorie e alimentari.

Sempre meno negozi accettano i buoni pasto, nonostante l’esplosione del settore food. Per gli esercizi alimentari in città il ticket si traduce in una tenaglia di cui meglio disfarsi, tra costi elevati di gestione e ritardi nei pagamenti.

Ma anche ristoranti, trattorie e pizzerie accettano sempre meno i buoni pasto della clientela, mentre a bar e gelaterie non conviene rifiutarli vista la notevole concentrazione di uffici pubblici. In provincia invece il buono pasto resta ancora un elemento per non perdere clientela tra bar e ristoranti, anche se tra gli alimentaristi e la grande distribuzione calano le accettazioni. I dati Ascom sulle imprese che accettano i buoni pasto tra Bergamo e provincia forniscono un quadro preciso, calcolato nell’arco temporale 2003-2020. Numeri alla mano, il dato tendenziale è preoccupante: tanti esercizi commerciali hanno rinunciato alla riscossione dei ticket. «L’attuale sistema è insostenibile – sottolinea Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo –. Bisogna distinguere tra Bergamo e provincia, in presenza di diversi fattori. Ma gli oneri cui sono sottoposti gli esercizi che li accettano incidono anche sulla qualità del servizio». Tradotto: meglio rifiutarli per chi può.

Nello specifico, le imprese che accettavano i buoni pasto in città nel 2003 erano 450 (120 ristoranti, trattorie e pizzerie; 90 alimentaristi, distribuzione organizzata e grande distribuzione; 240 bar, caffè e gelaterie). Nel 2020 il numero è sceso a 435 esercizi che accettano ticket (110 ristoranti; 65 alimentaristi; 260 bar e gelaterie). Un dato che si presta a molteplici interpretazioni: «Più della metà di chi li accetta sono bar e gelaterie – spiega Fusini –. L’elevata concentrazione di uffici pubblici e quindi di beneficiari dei buoni pasto spendibili sul posto fa sì che i bar e le gelaterie facciano fatica a rinunciarvi». Per gli alimentaristi invece si torna al discorso precedente: «Chi vende prodotti alimentari non è più disposto a sopportare il peso di commissioni alte, nonostante sia in città, e nonostante la potenziale clientela che rischia di perdere». In calo anche il numero di ristoranti, trattorie e pizzerie dove i buoni sono spendibili: «Qui bisogna ragionare anche sulla tipologia di esercizio commerciale e di clientela – rimarca Fusini –. In città più è alto il livello qualitativo del servizio offerto e meno si accettano i buoni pasto. Chi lavora sulla qualità ovviamente non si pone il problema di rifiutarli. Il tema della spendibilità qui è diverso, nel contesto comunque di un mercato in grande difficoltà».

Nel 2003 erano 450 su 826 gli esercizi in città che accettavano i ticket (54,5%), nel 2020 sono scesi a 435 su 907 (48% in totale, con un’impennata di incidenza solo alla voce bar e gelaterie e un calo drastico nel comparto ristoranti e trattorie). Qui il quadro si presta a presenta a numeri e interpretazioni diversi: nel 2003 erano 800 le imprese che accettavano ticket (220 ristoranti, trattorie e pizzerie; 180 alimentaristi, distribuzione organizzata e grande distribuzione; 400 bar, caffè e gelaterie). Nel 2020 su 830 imprese che riscuotono regolarmente i ticket, 250 sono ristoranti e pizzerie, 110 alimentaristi e 470 bar e gelaterie. «Il dato che fa riflettere è l’aumento considerevole dei bar dove si possono spendere i ticket – precisa Fusini –. Spesso si tratta di piccoli esercizi che non possono permettersi una scelta. Nel 2003 erano appena 400 su 2.746 i bar che accettavano i pagamenti con i ticket, con un’incidenza del 14,6% sul totale; nel 2020 sono aumentati a 470 su 2.701 (incidenza del 17,4%). Anche in provincia gli alimentaristi hanno deciso di sottrarsi nel tempo alla mannaia dei buoni pasto e alle loro esose commissioni: se 17 anni fa erano 180 su 2.377 ad accettarli (7,6% sul totale), ora sono 110 su 1.774 (incidenza del 6,2%)».

Il trend è confermato in sostanza anche dai gestori di ristoranti e pizzerie tra Bergamo e provincia: nel 2020 sono 250 su 1.391 gli esercizi che accettano ticket (18%), nel 2003 erano 220 ma su un totale di 1.076 (incidenza del 20,4%). «D’altra parte – conclude Fusini – se permangono incertezze sulla tempistica dei rimborsi e certezze solo sui costi, è difficile avere numeri differenti da quelli stimati. Il mercato e la filiera soffrono e non esistono soluzioni magiche se non cambiano le prospettive, in cui non sia solo lo Stato a guadagnarci ai danni di lavoratori e imprese. Esiste un rischio sostenibilità del sistema che va scongiurato, visto che sempre più esercenti si ritirano dall’accettazione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA