Cronaca / Bergamo Città
Sabato 22 Novembre 2025
Cuore, dal primo trapianto a Bergamo un battito lungo 40 anni
L’ANNIVERSARIO. Nel 1985 lo storico intervento dell’équipe di Lucio Parenzan. Le voci di chi era in sala operatoria: «Si percepì l’apertura di una nuova era».
Quando scoccano le 2,25 della notte tra venerdì 22 e sabato 23 novembre 1985, nella sala operatoria dei Riuniti un rumore quasi impercettibile scandisce indelebilmente quell’attimo. È il battito delicato di un cuore che ricomincia a pompare sangue, dopo essere passato da un corpo all’altro. L’anatomia di un istante inciso nella storia: quarant’anni fa l’ospedale di Bergamo realizzava il suo primo trapianto di cuore, il terzo in Italia dopo Padova (14 novembre) e Pavia (18 novembre).
Non ci si è più fermati
L’équipe guidata da Lucio Parenzan riuscì a esplorare questa nuova frontiera. Dal dono di Emanuela Brambilla, 19enne estetista di Fara d’Adda morta in un incidente stradale, divenne possibile regalare nuova vita a Roberto Failoni, pensionato 48enne di Romano di Lombardia affetto da una miocardiopatia dilatativa, che poi visse fino al 1998. Non ci si è più fermati: da quell’incipit, a Bergamo sono stati 1.110 i trapianti di cuore.
«Si percepiva l’apertura di una nuova era, uno spirito pionieristico che contagiava tutti»
«Una scelta coraggiosa»
A operare fu Paolo Ferrazzi, con Vittorio Vanini, Roberto Tiraboschi e Federico Brunelli, assistiti da altri specialisti e infermieri. «Ricordo benissimo soprattutto la vigilia e una scelta coraggiosa – racconta Paolo Ferrazzi, all’epoca 37enne, oggi direttore dell’International Heart School -. Il primo paziente in lista era relativamente semplice. Il giorno prima dell’intervento, però, in pronto soccorso arriva un signore, Roberto Failoni, già operato di bypass e con edema polmonare: in quelle condizioni, senza un cuore nuovo non avrebbe avuto che pochi giorni di vita. Con Parenzan prendemmo questa decisione, facendo di Failoni il primo paziente e trapiantando invece per secondo, pochi giorni dopo, colui che avrebbe dovuto essere il primo. Entrambi hanno poi vissuto bene. Ecco, questo è l’insegnamento del trapianto: trovarsi alle tre di notte ad assumerti una responsabilità, mettendo al centro la cura del malato». «In quel mese siamo partiti tutti come matti – è l’ironia di Vittorio Vanini -. C’era anche un po’ di concorrenza tra ospedali, ma che ha permesso di raggiungere traguardi storici per i pazienti. Nel 1987 a Bergamo fu poi eseguito il primo trapianto di cuore pediatrico in Italia». Maurizio Merlo oggi è il direttore della Cardiochirurgia del «Papa Giovanni», allora era uno specializzando 25enne e poté entrare in sala: «Si percepiva l’apertura di una nuova era, uno spirito pionieristico che contagiava tutti. La filosofia di Parenzan è rimasta immutata fino ai giorni nostri».
La corsa per l’autorizzazione
Accanto alla scienza, però, serviva anche la burocrazia: «A un certo punto tutti gli aspetti prettamente medici erano definiti: eravamo pronti, ma non avevamo ancora le autorizzazioni – è l’aneddoto di Giancarlo Borra, in quel periodo direttore sanitario dei Riuniti -. Avevo ottimi rapporti con i colleghi del ministero della Salute, servì uno sforzo notevole per avere in tempi rapidi tutti i via libera».
Quando cambiò tutto
Già nel 1985 se n’era fatta di strada dal primo rivoluzionario trapianto di cuore, avvenuto il 3 dicembre 1967 in Sudafrica, a opera di Christiaan Barnard. «Ho un brutto ricordo del primo trapianto di cuore di Barnard – sorride Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, all’epoca prossimo all’iscrizione a Medicina -: nel corso della proiezione al Donizetti, alla vista del sangue sono svenuto. Quel malato visse due settimane soltanto; anche quelli fatti dopo andavano male, non c’era verso di prevenire il rigetto. Si stava per abbandonare tutto quando Alkis Kostakis, a Cambridge, provò a sciogliere la ciclosporina (farmaco antirigetto, ndr) nell’olio che la mamma gli mandava dalla Grecia. Da quel momento cambiò tutto, e il primo trapianto a Bergamo fu una conquista dell’ospedale e un grande evento anche per la gente».
Presente e futuro
Il filo conduttore col presente è saldo. «Grazie al coraggio, alla visione e al talento di Lucio Parenzan e Paolo Ferrazzi, Bergamo è diventata non solo un punto di riferimento nazionale, ma una capitale della trapiantologia in tutto il mondo – commenta Francesco Locati, direttore generale dell’Asst Papa Giovanni -. È una storia fatta di ricerca, di dedizione e di una rete di competenze che ha reso possibile ciò che quarant’anni fa sembrava quasi impossibile. In questi quattro decenni, più di mille trapianti di cuore sono stati eseguiti nel nostro ospedale, restituendo vita, speranza e futuro. È un risultato che onora l’intera comunità e che testimonia il valore di un sistema sanitario che ha saputo crescere, innovarsi e restare fedele alla propria missione». «È la testimonianza di quanto la sanità lombarda sappia innovare e prendersi cura delle persone con visione e responsabilità – è la sintesi di Guido Bertolaso, assessore regionale al Welfare -. Il mio grazie va a tutti gli operatori che hanno costruito questa storia e un pensiero speciale ai donatori e alle loro famiglie, la cui generosità è alla base di ogni trapianto».
«Quarant’anni fa le persone con scompenso cardiaco erano considerate senza soluzione, oggi non è più così»
Le innovazioni da allora
In ambito clinico, quant’è cambiato da allora? «Le innovazioni sono soprattutto tre – risponde Amedeo Terzi, direttore del Centro trapianti di cuore dell’ospedale di Bergamo -. Le tecniche chirurgiche consentono di trapiantare persone più malate di un tempo. La gestione dell’organo donato ha soluzioni che facilitano il trasporto e le tempistiche. E anche la farmacologia s’è evoluta drasticamente, migliorando le terapie che evitano il rigetto». Anche per questo, ragiona Michele Senni, direttore del Dipartimento Cardiovascolare, «il trapianto di cuore è quello che cambia più radicalmente la qualità della vita del paziente. Dalla storia impariamo quale è il futuro: quarant’anni fa le persone con scompenso cardiaco erano considerate senza soluzione, oggi non è più così. Il problema rimane la carenza di organi, che potrà essere forse superata dagli xenotrapianti, cioè l’utilizzo di organi dagli animali: questo, insieme alle nuove terapie geniche, ci porta a essere non così lontani da una soluzione definitiva».
«C’è spazio per l’emozione»
Da anestesista-rianimatore, ancora prima che da direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza e Area critica, Luca Lorini conserva indelebili le immagini della prima volta in cui prese parte a un trapianto cardiaco: «La precisione è fondamentale, così come la preparazione e la comunicazione con il team. Ma la lezione più grande è che c’è spazio per l’emozione. Senti che il tuo lavoro invisibile diventa protagonista, che il tuo impegno cambia davvero la vita di qualcuno. Quel giorno, quel battito, me lo ha ricordato più di ogni altra cosa». E l’elemento decisivo «è l’importanza della donazione: serve sensibilità, informazione, consapevolezza».
«È un punto di partenza»
L’umanità è anche quella che passa dagli infermieri: «Il tempo di cura è tempo di relazione – è il pensiero di Annalisa Capelli, coordinatrice infermieristica della Cardiochirurgia-Degenza adulti e Pediatrica -. Molto spesso i pazienti attendono il trapianto in ospedale e s’instaura un legame profondo, proprio recentemente abbiamo dimesso una signora ricoverata da quasi un anno. Ma il trapianto è un punto di partenza, non di arrivo». È così, da quarant’anni.
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