Emigrazione ospedaliera, Bergamo virtuosa. Solo il 2,3% dei pazienti si cura fuori regione

Sanità. Secondo il report dell’Istat nel 2021 la nostra provincia ha registrato il 3° miglior risultato a livello nazionale Marinoni: «Un dato di cui andare orgogliosi».

È uno dei disagi più pesanti: doversi spostare – addirittura da una regione all’altra – per poter avere le proprie cure. Bergamo però «tiene», anzi è tra i territori più virtuosi d’Italia. Nel 2021, solo il 2,3% dei pazienti bergamaschi ha dovuto «emigrare» verso un’altra regione: è il terzo miglior risultato del Paese, preceduto solo dal 2,1% di Lecco e dall’1,8% di Sondrio. Lo rileva un recente report dell’Istat sulle «misure del benessere equo e sostenibile dei territori», un’ampia rassegna di fattori sulla vita dei cittadini, salute inclusa. Più precisamente, l’Istat calcola come «emigrazione ospedaliera» la «percentuale di persone che hanno avuto un ricovero ospedaliero in regime ordinario fuori dalla propria regione di residenza», fornendo poi il dato su scala provinciale. Il 2,3% della Bergamasca è appunto decisamente al di sotto della media nazionale, che si attesta al 7,3% (il 7,3% dei ricoveri, in sostanza, è avvenuto al di fuori della regione di residenza del paziente).

«Per una parte di questi pazienti il ricovero in un’altra regione è una scelta, ma spesso è dovuto alla carenza di strutture e figure professionali adeguate», rileva l’Istat. I dati si riferiscono tra l’altro a un periodo ancora segnato dall’emergenza pandemica, con un calo medio «fisiologico» dei ricoveri extra-regione, considerato che in generale è diminuito il volume complessivo di prestazioni chirurgiche. Emerge un Paese sostanzialmente spaccato in due: al Nord l’emigrazione è più contenuta (nella top-ten ci sono solo province lombarde, dell’Emilia-Romagna o piemontesi; Sud Sardegna è la prima del Centro Sud in 12 posizione, poi c’è Palermo in 17), al Sud si hanno invece le performance peggiori. Anche l’Istat conferma che «le differenze territoriali restano grandi: si è spostato fuori dalla propria regione per motivi di cura l’11,4% dei ricoverati residenti nel Sud e il 5,6% dei residenti del Nord», e in particolare «la mobilità sanitaria è invece più elevata nelle piccole regioni».

I dati di Agenas

Anche un altro recente rapporto, presentato a dicembre dall’Agenas («branca» del ministero della Salute dedicata ai servizi sanitari regionali), ha fornito elementi aggiuntivi sul tema: nel 2021 la Lombardia ha «attirato» mobilità sanitaria per prestazioni sanitarie equivalenti a un volume di 526 milioni di euro, mentre l emigrazione dei lombardi verso altre regioni ha determinato prestazioni per quasi 252 milioni di euro, con una differenza tra mobilità in entrata e mobilità in uscita di circa 274 milioni di euro.

Tra ospedali e territorio

Il fatto che Bergamo sia sul podio (nel 2019, ultimo anno pre-Covid, era seconda in Italia, sempre con un tasso di emigrazione ospedaliera extra-regionale del 2,3%) è un «dato di cui andare orgogliosi», premette Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo. «Bergamo è sempre stata un territorio dalla buona sanità, di eccellenza ospedaliera e non solo: da un lato, accanto all’attività di alta specializzazione come quella del “Papa Giovanni”, c’è il livello importante anche delle altre Asst e delle strutture del privato accreditato; dall’altro lato, c’è una medicina di territorio importante».

Spesso, però, ospedali e medicina di territorio sembrano in «conflitto»: «Di questi tempi sembra passare il messaggio di una débâcle della medicina territoriale: ci sono certo delle carenze e c’è un fiume di burocrazia che frena l’attività medica, ma bisogna anche guardare a elementi oggettivi. La gestione della cronicità, per esempio, nasce di fatto a Bergamo, così come le medicine di gruppo». C’è dunque «una buona tradizione alle spalle», ed è in fondo anche per questo che «fa più paura e dà più fastidio il fatto che negli ultimi anni ci sia stata una diminuzione degli investimenti sul territorio. Con la carenza dei professionisti che ben conosciamo, si sono verificati gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti».

Le difficoltà più recenti incontrate dalla medicina di territorio sono dunque anche un monito per quella ospedaliera. «La speranza è che non vada in crisi – sottolinea Marinoni -. Se vengono tagliate le risorse umane, uno può avere anche i reparti e le tecnologie migliori, ma è spesso il fattore umano che fa la differenza. Occorre prendere a modello ciò che già avevamo, tenerlo come bussola e far tesoro del passato. Se si depotenziano i posti letto, calando al di sotto del fabbisogno, si va verso una flessione che non rispecchia la grande storia bergamasca». Le differenze territoriali nel Paese sono evidenti: il progetto di autonomia differenziata può portare a squilibri ancora più marcati? «È presto per dirlo – premette Guido Marinoni -. Ciò che è evidente, però, è che il Sud è infinitamente più debole del Nord».

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