
(Foto di agazzi)
IL PROGETTO. L’area, proprietà di Atb, ospiterà i mezzi che con Porta Sud «traslocheranno» dalla stazione. Valesini: «Cambierà la viabilità». Felli: «Grande opportunità». Via anche i murales dell’Atalanta. Ma tempi incerti.
Il silenzio nell’area degli ex Magazzini generali e negli uffici dell’ex dogana di via Rovelli è calato circa vent’anni fa. Da allora di ipotesi e di progetti per dare una nuova vita all’intero comparto se ne sono fatti tanti. Una dozzina di anni fa il sogno dell’amministrazione comunale e dell’allora proprietario dell’area e degli immobili, Ubi Banca, era di trasformare una parte di quegli stabili in un polo museale, per la precisione nella nuova Gamec, ma non se ne fece nulla.
Oggi ancora quegli edifici restano chiusi, sigillati da cancelli arrugginiti e robusti lucchetti anti intrusione. Eppure qualcosa, fuori da quei locali, adesso si muove. Tre anni fa l’area di oltre 30mila metri quadrati è stata acquistata da Atb; con l’avanzare del progetto di Porta Sud, il destino del comparto è tornato al centro dell’attenzione. Nulla è ancora deciso, ma si sta ragionando su una trasformazione che potrebbe cambiare (e di parecchio) il volto della zona. La destinazione sarebbe duplice: da una parte un nuovo deposito per gli autobus, dall’altra nuovi spazi per un riassetto viabilistico che prevederebbe il raddrizzamento di via Tommaseo verso via Rovelli, a due passi dalla «nuova» via Gavazzeni.
«Siamo agli inizi del ragionamento – spiega Francesco Valesini, assessore comunale alla Rigenerazione urbana – e non c’è ancora una chiara definizione. Ma l’area potrà avere un ruolo importante soprattutto nel riassetto complessivo del sistema del trasporto pubblico su gomma e di tutto il comparto della stazione. L’idea di raddrizzare via Tommaseo per farla confluire su via Rovelli, evitando la chicane su via Piatti, nasce da qui».
Anche per Atb la prospettiva è strategica. «Abbiamo acquistato l’area da Intesa Sanpaolo – ricorda Enrico Felli, presidente di Atb – perché, d’intesa con il Comune, è stata ritenuta di interesse per il sistema dei trasporti pubblici. Quando verrà realizzata la nuova stazione, parte dell’attuale deposito dovrà essere liberata e serviranno nuovi spazi. Quella di via Rovelli, a ridosso della ferrovia e di Porta Sud, è un’opportunità unica». Felli aggiunge però che «a breve non verrà demolito nulla. In futuro però la parte dei silos andrà inevitabilmente abbattuta perché non è più utilizzabile. Per gli altri edifici si vedrà in base agli sviluppi urbanistici».
Chi attraversa oggi via Rovelli e via Piatti percepisce chiaramente l’abbandono. I capannoni, con le finestre murate e le facciate scolorite, emergono come quinte immobili tra i binari e la città. L’erba alta e i rovi si sono ripresi ampi spazi un tempo battuti dai mezzi di servizio, mentre un tratto di circa 20 metri del muro perimetrale in via Piatti, crollato in estate, è stato messo in sicurezza con una barriera provvisoria. Anche quello sarà abbattuto. Sul lato più vicino alla ferrovia, emergono dal terreno i binari che un tempo portavano i vagoni merci all’interno dei magazzini: un reticolo di ferro ormai arrugginito, ma che racconta con forza la vocazione originaria del luogo.
Solo un capannone ha ripreso a vivere, almeno un po’: una delle aree di scarico è stata affittata temporaneamente, e a titolo gratuito, all’associazione ucraina Zlaghoda, che ne ha fatto un punto di ritrovo e solidarietà. Tutto il resto è immobile, immerso in un silenzio che ha il sapore di una lunga attesa.
I Magazzini generali nacquero negli anni Trenta del secolo scorso come nodo logistico cruciale per Bergamo. Qui le merci in transito venivano custodite, controllate, smistate. L’iniziativa fu della Società Anonima Magazzini Generali Bergamaschi, fondata con il sostegno della Banca Popolare di Bergamo, degli enti agrari e dei commercianti: un progetto nato per sostenere l’economia locale di allora. Negli anni successivi vennero ampliati i capannoni di via Piatti, portando la capacità di stoccaggio a oltre 60mila metri cubi, e nella seconda metà del Novecento furono costruiti i silos granari, simbolo dell’operosità di un’epoca.
Con il progressivo declino del traffico merci e la riorganizzazione delle dogane, la funzione dell’area perse centralità. Le attività si ridussero fino a cessare del tutto, e il comparto, dopo decenni di servizio al tessuto economico bergamasco, si spense lentamente. Il prossimo anno ricorrerà il centenario della fondazione della società, ma la ricorrenza cade in un momento di passaggio, forse l’ultimo, prima che tutto cambi definitivamente.
Il futuro, per ora, resta sospeso. Nessuna demolizione è prevista a breve, ma la direzione è tracciata. Come sottolinea Valesini, «il ragionamento è collegato al progetto di Porta Sud. L’obiettivo è ridurre l’impatto urbanistico e migliorare la connessione con il resto della città»
Sulla grande parete del silo resiste ancora il murale dedicato all’Atalanta, realizzato nel 2019 dagli artisti siciliani Rosk & Loste. Un’opera monumentale, con Gasperini, Iličić, Gómez e Zapata, che celebra la squadra nel suo momento più luminoso. È diventata un’icona cittadina, un segno d’affetto e d’identità destinato a sparire insieme alla parete che lo ospita. Il futuro, per ora, resta sospeso. Nessuna demolizione è prevista a breve, ma la direzione è tracciata. Come sottolinea Valesini, «il ragionamento è collegato al progetto di Porta Sud. L’obiettivo è ridurre l’impatto urbanistico e migliorare la connessione con il resto della città».
Intanto l’area resta lì, chiusa, silenziosa, avvolta da un’atmosfera sospesa tra memoria e attesa. Tra i binari interrotti, i mattoni scrostati e le erbacce che si arrampicano sui muri, sopravvive un frammento della Bergamo che fu: la città del lavoro, della logistica, dei commerci. Un pezzo di storia che, forse, è pronto a lasciare spazio al futuro.
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