Frane e alluvioni, oltre 88mila persone in zone a rischio nella Bergamasca

Prevenzione.Nell’analisi di Merati, ex capo del Genio civile, in base ai dati di Ispra emerge il quadro di un territorio dalla conformazione molto variegata e con edifici vulnerabili.

«La Bergamasca non è messa bene», e a incidere sono sia i fattori geomorfologici sia quelli più legati alla mano dell’uomo. Il tema del dissesto idrogeologico resta al centro dell’attenzione: lunedì ne ha parlato anche Claudio Merati, l’ultimo «ingegnere capo» del Genio civile, che ha speso 40 anni di carriera in Regione Lombardia, dove ha ricoperto anche il ruolo di Dirigente di Unità Organizzativa per la sede territoriale di Bergamo. Un profondo conoscitore del territorio, delle sue fragilità e anche di ciò che serve per prevenire le tragedie; tema al centro di un incontro al Mutuo soccorso di Bergamo promosso da Terza Università.

Per ribadire la concretezza del rischio, Merati è partito dai dati dell’Ispra (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale): 9.183 bergamaschi vivono in aree a rischio elevato o molto elevato di frana; in 78.948 abitano invece in zone a rischio medio o elevato di esondazione. In sostanza oltre 88mila persone nella Bergamasca sono esposte a fattori di rischio. «Oltre il 7% della popolazione è coinvolta in queste situazione di rischio: non sono dati irrilevanti. La provincia di Bergamo – ha spiegato Merati – contempla tutti i tipi di rischio. C’è persino quello tsunami, rappresentato dalla sarneghera: un vento con direzione sud-nord, piuttosto raro, ma che venendo dalla pianura può impattare la realtà del lago anche generando onde superiori al metro, pericolose rispetto al nostro contesto».

La fragilità cresce con la diminuzione della permeabilità del suolo e la scarsa manutenzione

Quanto al rischio sismico, il ragionamento è distinto: «È un rischio – specifica Merati – che per tipologia, impatto, dimensioni e modalità di risposta si caratterizza in maniera diversa. Un metro di paragone per capire la pericolosità del nostro territorio è rappresentato dal terremoto di Salò del 2004, che in molti ricordano perché fu molto avvertito: pur senza vittime, è questa l’entità di terremoto che potremmo avere nel territorio bergamasco. Il nostro territorio non è paragonabile ad altri contesti italiani, per esempio al Molise: anche qui il rischio c’è, ma è basso».

La «formula del rischio», per quel che riguarda il dissesto idrogeologico, è rappresentata dalla somma tra due fattori: la conformazione geomorfologica, che è «molto variegata», e la densità edificatoria. Tra le cause antropiche – oltre ai cambiamenti climatici – c’è il fatto che «abbiamo aumentato il numero di edifici vulnerabili, in particolare con nuove urbanizzazioni in zone di rischio – ha spiegato Merati -. Ad aumentare il rischio ci sono anche la diminuzione della permeabilità dei suoi, la manomissione dei reticoli idrici e la scarsa manutenzione». Ma il tema centrale è «l’impermeabilizzazione: quando abbiamo un terreno vegetato, senza costruzioni, abbiamo una forte quota di assorbimento dell’acqua in caso di precipitazioni – chiarisce l’ingegnere –. Sul suolo urbanizzato, invece, l’infiltrazione in falda è residuale e gran parte dell’acqua deve scorrere in superficie. È qui che si crea il rischio». E di fronte alle immagini dell’alluvione della val Brembana del 1987 o della frana di Camorone nel 2002, la filosofia deve essere anche quella di «ricordare per agire – chiosa Merati –: la sensibilità sul tema risente sia dell’attenzione mediatica sia degli insegnamenti degli eventi».

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