Gigi Pizzaballa: «Per i nipoti nonno disponibile, non introvabile come la figurina»

L’INTERVISTA . L’ex portiere dell'Atalanta: «Per loro ci sono sempre, ma non sono invadente. Insegno il rispetto». Un album simil-Panini in dono: «Mi sono commosso».

«La vita dei miei nipoti è più comoda, ma non li invidio. Le giornate in cui da bambini andavamo a giocare a pallone in un oratorio e poi scappavamo per andare a fare una partita in un altro, senza che i genitori o il prete venissero a saperlo, erano un inno alla libertà. Sentirsi liberi di andare dove si voleva. Certo, quando si arrivava a casa bisognava stare attenti a non avere i calzoni rotti, perché ce n’era solo un paio ed erano guai se non si potevano più mettere». Il passato di Pierluigi «Gigi» Pizzaballa non è solo quello imprigionato dentro a una figurina introvabile. L’ex portiere dell’Atalanta, 84 anni appena compiuti, si volta indietro per ritrovare il nipote che non è stato. «Purtroppo – dice –, i miei nonni sono mancati presto e non ho goduto del loro affetto».

Oggi lunedì 1 ottobre è la «Festa dei Nonni», lui ha giocato d’anticipo festeggiando sabato con i due figli Pierpaolo e Sara, i generi Filippo e Francesca e i quattro nipoti: Maria, 18 anni, fresca diplomata a pieni voti al «Secco Suardo», Anna, 14, Agata, 16 anni da compiere dopodomani, e Andrea, 13. Questi ragazzi sono il suo futuro e Pizzaballa, seduto accanto alla moglie Lucia, detta Luci, nella taverna della villa di Ponteranica, prova a raccontare la sua carriera da nonno che nessun album Panini avrà cura di custodire. Anzi, da ora sì. Perché, come regalo per il compleanno, figli e nipoti ieri gli hanno consegnato un album simil-Panini autoprodotto, insieme alle bustine dentro la quali Gigi ha trovato le figurine della sua vita: lui da ragazzo con i fratelli, lui portiere, poi il matrimonio, i figli, i nipoti. Scartandole, si è emozionato e una lacrimuccia c’è ovviamente scappata. Gli spazi su cui incollarle sono 84, come i suoi anni, ma le figurine che ha trovato sono 83, compresa quella ai tempi introvabile: in onore alla fama di fantasma delle collezioni, figli e nipoti hanno fatto sì che la numero 1 non ci fosse. E così, l’album della sua esistenza inizia con un vuoto, come quello che l’ha reso celebre anche fuori da un campo di calcio.

Cos’ha pensato mentre apriva quelle bustine?

«Ero emozionato, quasi come al debutto in Nazionale. Un regalo impensabile per il lavoro che c’è dietro, bellissimo, commovente».

Quale figurina l’ha fatta più palpitare ieri?

«Quelle del contesto familiare».

Lei che nonno è?

«Io e mia moglie siamo presenti e disponibili, ma non invadenti. Se c’è bisogno ci siamo, ma non vogliamo sovrapporci ai genitori. C’è un grande amore per i nostri nipoti, certo. Però, i nonni devono fare i nonni. Non devono essere un disturbo, non devono sapere tutto, assillare con telefonate. A me darebbe fastidio. Vedo certi nonni che trattano i nipoti come se fossero figli più piccoli. Ma la crescita è responsabilità dei genitori. Il nonno deve essere come un bastone, che aiuta a camminare quando si è in difficoltà». «Ma – interviene la signora Luci – a questa età siamo noi che abbiamo bisogno dei nipoti. Di recente ho cambiato il telefonino e fortunatamente Maria ha provveduto a spiegarmi alcune funzioni che non conoscevo».

Come tutti i nonni sarà più permissivo di padri e madri, vero?

«Quando i miei nipoti erano più piccoli li coccolavamo e, le volte che si fermavano a dormire da noi, gli concedevamo qualcosa, tipo saltare come dei matti sui materassi prima di fare la nanna».

Che valori cerca di trasmettere ai suoi nipoti?

«Ho cercato di far vedere loro come siamo, come io e mia moglie abbiamo vissuto. Con correttezza, sincerità, rispetto delle persone».

Quando racconta il suo passato, loro sbuffano?

«No, di solito sono attenti e interessati, anche se per loro è una storia lontana. Però con questi racconti voglio far loro capire che nella vita bisogna fare sacrifici».

Chiedono della sua vita da calciatore?

«Non tanto. Preferiscono storie più divertenti, di quando ero bambino. Quella della “gamba del lègn”, ad esempio, quando a 10 anni vidi una gamba di legno appoggiata fuori dal bagno della bocciofila dove andava mio padre e la presi per giocare. Dopo un po’ sentii un signore urlare: “Mi hanno rubato la gamba!”. La appoggiai a un muretto e scappai. Adesso, quando sgridiamo i nostri nipoti, mi viene da ridere se penso a quello che ho combinato da ragazzo».

Andrea, il nipote maschio, fa il portiere come lei. Orgoglioso?

«Mi ha chiesto di provare a fare il portiere quando aveva otto anni. Io all’epoca, insieme a mio figlio Pierpaolo, dirigevo la scuola calcio a Gorle. Ero contento e mi sono detto: “Vediamo”. Conosco le fatiche che richiede il ruolo. Ho però messo in chiaro le cose: “Guarda che in campo non si fanno preferenze, gioca il più bravo”. Però gli davo consigli anche in privato, non solo durante l’allenamento. A un certo punto Andrea mi ha confessato che voleva cambiare e andare a giocare a basket».

E lei c’è rimasto male?

«No, non ho insistito perché rimanesse, è giusto che da ragazzi si facciano più esperienze».

Poi Andrea ha ripreso a fare il portiere e ora gioca nei Giovanissimi ad Almè.

«Tecnicamente è migliorato».

Va a vederlo giocare?

«Qualche volta sì, ma in incognito».

Motivo?

«Perché c’è sempre qualcuno tra il pubblico che mi vuole parlare e io per cortesia chiacchiero, ma così finisce che mi perdo la partita. E poi ad Andrea non dico se vado a vederlo, non vorrei mai che si emozionasse. Io quando giocavo non gradivo che i miei fratelli venissero a salutarmi mentre stavo per entrare in campo».

I nipoti le chiedono della sua figurina introvabile?

«Gli ho raccontato la storia, ma adesso la Panini mi rifornisce periodicamente e quindi la figurina non è più così introvabile. La chiedono gli amici dei miei nipoti e pure qualche professore. Maria, quando quest’estate ha fatto gli esami di maturità, si è sentita chiedere da un docente se era mia parente. Il professore le ha detto che da ragazzo veniva sempre a vedermi allo stadio. Allora mio figlio Pierpaolo – ma solo quando erano già usciti i voti – ha regalato a questo docente la mia figurina».

Dà le mance ai nipoti?

«Non ce le chiedono, ma ci sono le scadenze fisse: compleanni, onomastici, Natale, Santa Lucia, primo quadrimestre, fine anno scolastico».

C’è qualche nipote che è venuto a chiederle in regalo il motorino?

«No, ma se me lo chiedessero non acconsentirei. Se succede qualcosa, non voglio assumermi il rischio; questa è una scelta che spetta a padre e madre. La nostra fortuna è di avere figli e generi che fanno il loro dovere di genitori».

Tra le cose che fanno i suoi nipoti qual è quella che le sarebbe piaciuto fare?

«Senza dubbio mi sarebbe piaciuto studiare e frequentare ambienti un po’ meno agitati».

Che cosa augura loro?

«Di potersi godere il più a lungo possibile i genitori. Io, ad esempio, non ho potuto farlo, perché mio padre è morto quando avevo 17 anni e mia madre quando ne avevo 26. Il mio rammarico è di non aver dato loro la soddisfazione di vedere il figlio realizzato».

Come se li immagina in futuro?

«Non lo so, spero solo che facciano una vita libera e le scelte al momento giusto. E che continuino a studiare perché l’istruzione è la cosa più importante. Poi cosa diventeranno, non lo so. Ma se faranno un lavoro che gli piace, quale che sia, allora potranno considerarsi realizzati».

Le nuove generazioni avranno anche una vita meno faticosa della sua, ma un percorso più complicato, non crede?

«Noi adulti dobbiamo capire meglio la generazione dei nostri nipoti. Loro sono alla ricerca di un nuovo sistema di vita e di sviluppo e invece noi continuiamo a dire: “Noi abbiamo fatto qua, noi abbiamo fatto là…”. Non lasciamo lo spazio di cui hanno bisogno i giovani, cerchiamo sempre di soffocarli un po’. Noi anziani dobbiamo avere la forza di mollare».

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