Inchiesta Covid. Mascherine, il caos delle autorizzazioni

Il retroscena. Finite in pochi giorni le Ffp2 negli ospedali, la Regione si attivò per far approvare l’uso delle chirurgiche per il personale in corsia ed evitare il collasso. I dubbi di Roma, la paura di Milano: «Senza l’ok, qui saltiamo per aria».

Al 28 di febbraio 2020, ben otto giorni dopo l’individuazione del primo positivo a Codogno e a cinque giorni di distanza dai primi casi ad Alzano Lombardo, ancora non era chiaro quale tipo di mascherine dovessero utilizzare gli operatori sanitari per proteggersi dal contagio durante il lavoro a contatto con i pazienti Covid. Le chat tra addetti ai lavori – acquisite fra le carte dell’inchiesta sul Covid della Procura di Bergamo – ribollivano in un autentico ping-pong di bozze di circolari, e-mail, pareri, (in)decisioni, tentennamenti. E intanto le poche mascherine a disposizione in corsia andavano esaurite.

Le Ffp2 introvabili

Secondo le indicazioni in vigore fino a quel momento in Lombardia, gli operatori sanitari avrebbero dovuto utilizzare dispositivi protettivi del tipo Ffp2. Dato però che erano terminati praticamente ovunque nel giro di pochissimi giorni, e che l’approvvigionamento era praticamente impossibile se non per quantitativi ampiamente insufficienti , i dirigenti del Welfare di Regione Lombardia si adoperarono per cambiare le regole in corsa e ammettere come «indicate» le chirurgiche, quantomeno nel corso di manovre ritenute «a basso rischio» sulla scorta di un parere dell’Oms.

Un tentativo metterci una pezza dato che non si era provveduto per tempo a fare scorta delle più protettive Ffp2? O semplicemente una manovra per aggiustare il tiro e razionalizzare, in modo virtuoso, l’uso dei Dpi? Lo stabiliranno i giudici. Di certo c’è che, a emergenza già cominciata, sul tema Dpi vigeva ancora assoluta incertezza e rimpallo di competenze. Intanto la questione era diventata estremamente urgente perché di Ffp2 per gli operatori non ce n’erano più. La situazione fu ben sintetizzata in un messaggio del 28 febbraio 2020 dell’allora direttore generale del Welfare di Regione Lombardia, Luigi Cajazzo , al capo della protezione civile Angelo Borrelli (entrambi indagati nell’inchiesta): «Qui rischiamo la chiusura degli ospedali».

La questione delle chirurgiche

Intanto lo stesso giorno Cajazzo si prodiga per mandare in porto l’autorizzazione alle chirurgiche: «Ho parlato con Brusaferro, domani mattina porta il nostro quesito sulle mascherine al Comitato tecnico scientifico. Gli ho spiegato che una risposta negativa sarebbe devastante», scriveva al consigliere giuridico della direzione Welfare Pio Vivone. «Si deve scrivere: in conformità alle indicazioni dell’Oms si ritiene che le mascherine chirurgiche siano idonee a garantire la protezione degli operatori sanitari nell’emergenza in atto, fatta salva l’esecuzione delle procedure...» riferendosi alle procedure «che generano aerosol». La sera del 28 febbraio sempre Cajazzo scrive a Gianni Rezza, direttore della prevenzione al ministero, e a Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss: «Come noto, è in atto una vera e propria emergenza relativa alla assoluta carenza di mascherine modello Ffp 3 ed Ffp2. Regione Lombardia sta mettendo in atto ogni possibile tentativo di approvvigionamento (...) ma dato l’insuccesso, e considerato l’andamento epidemiologico, ritenuto che i servizi sanitari debbano proseguire la loro attività, sono state elaborate delle indicazioni, a tutela del personale sanitario, che prevedono l’utilizzo sia da parte dei pazienti che degli operatori sanitari delle mascherine chirurgiche in mancanza dei modelli Ffp3 e Ffp2. A tal fine si chiede a codesto Istituto un urgente parere circa l’appropriatezza delle indicazioni».

«Saltiamo per aria entro le 14»

La sera stessa l’assessore Giulio Gallera è più diretto e allarmato: è preoccupato in particolare per le reazioni dei sindacati dei lavoratori, vista la mancanza di dispositivi di protezione. Si teme il blocco degli ospedali. L’assessore scrive al ministro Speranza: «Abbiamo mandato mail a Brusaferro e a te per farci autorizzare le mascherine a 4 strati invece delle Ffp2 e Ffp3 (in attesa che arrivino) perché i sindacati ci svuotano la sede e tolgono l’operatività a RL (Regione Lombardia, ndr)».

Senza Dpi «Qui rischiamo la chiusura degli ospedali»

La mattina dopo Cajazzo insiste con Borrelli: «L’Oms dice che bastano le mascherine chirurgiche. Ho chiesto parere a Iss, Brusaferro mi dice che c’è problema normativo: sarebbe risolvibile con tua ordinanza?». «Ora sento i nostri» risponde Borrelli. «Risolviamo un grande problema e siamo coperti da Oms», insiste Cajazzo.

Le pressioni di Regione Lombardia sul tema si fanno sempre più forti. Il direttore generale di Areu, Alberto Zoli (non indagato) scrive a Brusaferro ed è tranchant: «La possibilità di usare la mascherina chirurgica, escluse le manovre invasive, è fondamentale. Se non fosse così noi saltiamo per aria alle 14 di oggi!». Intanto la situazione è sempre più critica, ad esempio all’ospedale di Alzano: alle 21.33 del 29 febbraio la responsabile della farmacia dell’ospedale Pesenti Fenaroli, facente capo all’Asst Bergamo Est, sollecitava alla direzione generale Welfare regionale «l’invio urgente di facciali Ffp2, da lunedì non avremo più nulla da distribuire ai nostri 4 pronto soccorso».

La sera del 29 febbraio arriva il verbale del Cts sulla questione mascherine chirurgiche, che non soddisfa per nulla Cajazzo perché non dà un via libera chiaro: «Così non serve a niente» scrive a Maria Gramegna (non indagata) dell’unità operativa Prevenzione della Regione, «il verbale è ridicolo». «Sono sconvolta dal fatto che non si rendano conto della gravità della situazione», risponde lei.

La questione toglie il sonno. Venti minuti prima della mezzanotte di quello stesso giorno, infatti, Cajazzo scrive: «Adesso ho chiamato Gallera, sta chiamando il ministro». Intanto dagli ospedali lombardi arrivano messaggi inquietanti: «Non ho dispositivi per il turno di domani alle 8 » scrivevano dall’spedale di Lecco a Cajazzo la sera del 29 febbraio. «Ma è uno dei tanti», diceva il direttore del Welfare girando il messaggio a Brusaferro.

«Inizio a chiudere gli ospedali»

Nella notte fra il 29 e l’1 marzo Zoli scrive ancora a Brusaferro lamentandosi per l’indecisione: «L’affaire delle chirurgiche è diventato esplosivo: alcuni ospedali lombardi domani a mezzogiorno potrebbero bloccare l’attività per mancanza dei Dpi se non cambiano le direttive per la sicurezza. Perché mai dovevamo arrivare a questo? Spero che domani mattina si voglia affrontare adeguatamente questa problematica. Basta fare come dice l’Oms. Notte». A quel punto Busaferro scrive al segretario generale del ministero Giuseppe Ruocco per sollecitare una decisione, che tarda ad arrivare: «Beppe, come siamo per le autorizzazioni dei dispositivi? Da stamattina non ne hanno più in Lombardia, dovremmo dare una risposta».

«Sono sconvolta dal fatto che non si rendano conto della gravità della situazione»

Mentre a Roma ancora non si decide, Cajazzo a Milano perde la pazienza: «Nell’ultima ora ho parlato con Brusaferro, Borrelli e Ruocco. Secondo Ruocco c’è norma pronta e andrebbe bene. Borrelli mi dà versione diversa. Brusaferro pontifica.. io mi sono incazzato e ho detto che da oggi inizio a chiudere ospedali», scrive la mattina del primo marzo a Gallera, che si compiace della ferma presa di posizione del dirigente: «Grandissimo!».

La mattina del 2 marzo Brusaferro assicura che la situazione è sbloccata e la soluzione è in arrivo con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del provvedimento che autorizza le chirurgiche, ma gli inquirenti rintracciano una mail di Gaetano Pierpaolo Privitera, consulente dell’Iss, in cui emerge che gli esperti non sono tutti concordi: «Non ce la siamo sentita di estendere agli operatori che prestano assistenza diretta ai pazienti l’indicazione della sola mascherina chirurgica. Abbiamo però anticipato alla tabella una nota dicendo che in situazione di penuria di respiratori è ammissibile l’impiego della mascherina chirurgica e che è essenziale fare indossare anche ai pazienti il più precocemente possibile la mascherina chirurgica».

«Non deve passare il messaggio che cambiate mascherina perché le altre sono finite, ma perché quelle chirurgiche sono sufficienti a prevenire il rischio»

E mentre il 2 marzo Luca Vecchi, direttore amministrativo dell’Asst Bergamo Est, scrive alla direzione Welfare regionale: «Siamo completamente sprovvisti di Ffp2 e occhiali», agli atti è acquisto anche un messaggio del 3 marzo che Luigi Cajazzo ricevette da un membro dell’Oms: «Ma i politici e i leaders devono fare la loro parte. Non deve passare il messaggio che cambiate mascherina perché le altre sono finite, ma perché quelle chirurgiche sono sufficienti a prevenire il rischio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA