«Io, cardiochirurgo a Kiev e il mio legame con Bergamo»

La storia. La visita in città di Igor Mokryk, che studiò alla scuola di Parenzan «Curiamo i pazienti tra i bombardamenti. Distrutto il nostro centro a Irpin».

«I russi erano a 10 chilometri, gli accessi alla città erano interrotti, in clinica non arrivavano più malati. Per settimane abbiamo dormito nei nostri ambulatori, perché dovevano essere pronti se da un momento all’altro fossero arrivati i feriti del conflitto». Igor Mokryk, direttore del dipartimento di Cardiochirurgia dell’Heart Institute di Kiev, il più grande ospedale per i malati di cuore dell’Ucraina, ricorda così i momenti più difficili dei primissimi mesi di guerra, «quando - dice - la caduta della capitale sembrava davvero una questione di giorni». Poi i russi si sono ritirati, i malati hanno ricominciato ad affollare i reparti dell’ospedale e l’attività è ripresa quasi normalmente.

«Ma le bombe, alla periferia di Kiev e nelle città vicine, continuano a scoppiare - racconta il medico -. Il nostro centro di riabilitazione di Irpin è stato distrutto e con esso tutte le attrezzature, e ora non sappiamo più dove mandare i nostri pazienti. Riceviamo aiuti dall’estero, ma ancora oggi in ospedale mancano tanti dispositivi, come le valvole cardiache per eseguire gli interventi a cuore aperto». Nella capitale i residenti provano a vivere una vita «normale», nonostante l’eco dei bombardamenti: «La gente va a lavorare - dice ancora Igor Mokryk -, i negozi sono aperti e lavorano anche bar e ristoranti, ma nessuno si ritrova per fare festa».

«Il nostro timone adesso è che il conflitto in corso possa protrarsi per anni»

Igor Mokryk è tornato in questi giorni a Bergamo con la sua famiglia per un breve periodo di vacanza, lontano dalla guerra e finalmente insieme alla moglie e ai suoi tre figli, che dall’inizio del conflitto vivono al sicuro in Polonia, ospiti di amici. Alla nostra città Igor Mokyk è legato da quando, nel 1999, arrivò per la prima volta da studente di medicina all’International Heart School di Lucio Parenzan. A Bergamo è rimasto due anni ed è allora che ha conosciuto i cardiochirurghi Roberto Tiraboschi e Vittorio Vanini, entrambi assistenti stretti di Lucio Parenzan, con i quali ha intrattenuto per tanti anni un’assidua collaborazione, anche attraverso l’associazione «The Heart of Children», di cui Vanini è presidente, che molte missioni ha organizzato nel mondo, anche in Ucraina.

Tornato in patria nel 2001, sei anni più tardi Igor Mokryk è stato chiamato a dirigere il reparto di Cardiochirurgia pediatrica a Donetsk, nel Donbass, dov’ è rimasto fino al 2014, anno in cui è scoppiata la guerra in quella regione. È rientrato Kiev, è stato in Polonia e dal 2016 è di nuovo nella capitale ucraina. «Sono voluto tornare a Bergamo per far conoscere la città a mia moglie e ai miei tre bambini - dice -, qui ho tanti amici e sono contento di aver rivisto anche la signora Laura, moglie del professor Parenzan». I riflettori sulla guerra in Ucraina non si sono mai spenti, ma oggi l’impressione è che il conflitto stia vivendo una fase di stallo, dalla quale è difficile dire quando e come si uscirà: «All’inizio si ragionava in termini di giorni - dice ancora Igor Mokryk -, poi quando i nostri soldati hanno fatto vedere che erano in grado di resistere, abbiamo cominciato a pensare in termini di settimane, ora di mesi.

E non vorrei che si cominciasse a parlare di anni, perché nessuno in Ucraina può permettersi di vivere in questa situazione così a lungo. Non sappiamo quanto durerà il conflitto, non abbiamo probabilmente neanche tutte le informazioni per saperlo; gli esperti dicono che potrebbe terminare tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Nessuno vuole la guerra, ma non vogliamo lasciare ai russi nemmeno un centimetro del nostro territorio, dobbiamo tenere il Donbass e riprenderci la Crimea. Non so come, ma la gente ci crede: queste sono questioni che dovranno risolvere i nostri politici e i nostri militari. La fiducia nel presidente Zelensky e nei suoi collaboratori è altissima, siamo tutti uniti intorno a loro: hanno dimostrato un grande coraggio, non hanno mai abbandonato il Paese, neppure all’inizio, quando erano sotto attacco. Per questo oggi tutti li sostengono».

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