Lotta al Covid, una nuova fase a giugno. «Ora è importante convincere tutti i giovani a vaccinarsi»

Paolo Spada (Humanitas): «Con la situazione in miglioramento potrebbe calare l’interesse: utile introdurre un meccanismo premiale».

L’«altalena dei dati», nella metafora di Paolo Spada, chirurgo dell’Humanitas di Rozzano, tra i divulgatori del seguitissimo progetto «Pillole di ottimismo» dedicato al Covid, descrive «una situazione abbastanza stabile di discesa». Un insieme di fattori – dalla stagionalità e quindi dal caldo passando per i primi impatti delle vaccinazioni – ha contribuito a restituire un quadro confortante e consolidato, che però, oltre alla fiducia, innesca anche sfide e domande. Su tutte, il rush finale della campagna di immunizzazione.

Dottor Spada, a che punto siamo?

«I dati si commentano in gran parte da soli, il giudizio è condiviso praticamente da tutti gli osservatori. Le ragioni della discesa sono state anticipate da tempo: abbiamo sempre sottolineato che questo è un virus respiratorio, e che in quanto tale è stagionale. Alle nostre latitudini, la discesa dei contagi è largamente spiegata così, senza dover ricorrere a dare meriti alle restrizioni, che francamente in questo momento non hanno un ruolo decisivo nella limitazione della diffusione del virus. Intendiamoci: lo hanno avuto per limitare i danni nei momenti peggiori, ora l’analisi è diversa».

L’impatto delle vaccinazioni si nota?

«La campagna inizia a farsi sentire adesso sulle fasce anziane, ma la riduzione generale della circolazione del virus è legata anche ad altri fattori. Stando in ospedale ce ne rendiamo conto, sta avvenendo quel che accadde un anno fa: a un certo punto, i pazienti smettono di arrivare e smaltisci quelli che hai. Evidentemente, la stagione è un elemento trainante».

E cosa succederà quando la stagione cambierà?

«Quello che cambierà, rispetto all’autunno di un anno fa, è che ora abbiamo le vaccinazioni. Non c’è da nutrire alcun dubbio sulle vaccinazioni, e di nuovo chi lavora in ospedale se ne è reso conto: non ci si ammala più, se non qualche sporadica positività occasionale e asintomatica, mentre lo scorso anno gli operatori sanitari erano toccati significativamente dal virus».

Le varianti sono un pericolo?

«Occorre ridimensionare i timori. La vaccinazione protegge, soprattutto protegge nel momento in cui si è vaccinati in numero sempre maggiore: è su questo che dobbiamo concentrare i nostri sforzi».

Con i contagi che scendono e i pericoli che paiono allontanarsi, non c’è il rischio che qualcuno sia meno propenso a vaccinarsi?

«Questo è un tema importante di riflessione. Il numero di vaccinati sale, c’è la sensazione che il tempo sia dalla nostra parte e che la quarta ondata non ci sarà: se scende la curva, aumenta la sensazione di “impunità”. È probabile che ci accorgeremo di uno zoccolo duro di persone che non si vaccinerà perché non avverte il pericolo. È un problema rilevante, da affrontare».

A cosa è dovuto?

«C’è ignoranza sugli effetti collaterali, per esempio: sono quelli di qualsiasi vaccino, assolutamente abbordabili. Scientificamente, serve il sostegno vaccinale da tutti: il tema è ridurre le persone esposte al virus, che possono essere vittime di forme severe di malattia, e i cui rischi non sono zero neanche nei giovani. Ma i rischi della malattia sono certamente più frequenti degli effetti collaterali del vaccino».

Come si può convincere chi è scettico?

«Il concetto di obbligo vaccinale non mi piace, perché con l’imposizione si affilano le armi dei no-vax, ma temo si dovrà arrivare a questo. Si deve però fare i conti anche con le necessità collettive di protezione, che sono una priorità: non può prevalere solo il diritto individuale, la libertà individuale, senza dimenticare gli effetti economici di nuove restrizioni generalizzate. Non possiamo convivere con la malattia perenne, e l’unico modo per superare questa situazione è vaccinarsi. Un meccanismo premiale sarebbe più efficace rispetto all’obbligo, per convincere gli individualisti: per esempio per i giovani, la possibilità di poter viaggiare grazie alla vaccinazione può essere un “incentivo” utile».

Qual è il «futuro» di questo virus?

«Verosimilmente non diventerà un raffreddore nel giro di due anni, forse resterà più a lungo perché le spinte a mutare in senso più dolce sono ben poche. Il virus muta e seleziona le varianti più contagiose e resistenti; circola tantissimo, ha 4-5 giorni di diffusività prima della comparsa dei sintomi, e questo gli dà la spinta più importante. Il problema non si risolverà eradicando il virus, ma eradicando la malattia: cioè evitando che possa avere gli effetti clinici, e questo lo si ottiene con le vaccinazioni. Lo vediamo col morbillo: appena la percentuale di vaccinati si abbassa, torna la malattia».

Quanto dura l’immunità data dal vaccino?

«Le evidenze sono relativamente tranquillizzanti. La sensazione è che l’immunità sarà discretamente lunga. È probabile che ci si debbano fare richiami periodici, ma non più di una volta l’anno».

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