Medici morti di Covid, nessun indennizzo. L’Ordine: disinteresse per la categoria

La Commissione bilancio boccia il ristoro da 100mila euro per le famiglie delle vittime. In Bergamasca 31 i «camici bianchi» deceduti. Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, si dice «esterrefatto»: «Sembrava una cosa normale, per chi muore sul lavoro». Il figlio di un dottore scomparso: «C’è amarezza».

Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, si dice «esterrefatto»: «Sembrava una cosa normale, per chi muore sul lavoro. Perché queste morti le equiparerei ai morti di guerra. E invece...». E invece non è così: quasi allo scoccare del secondo anno dall’inizio dell’emergenza, un freddo passaggio burocratico in Senato ha fatto decadere la possibilità di riconoscere un indennizzo di 100mila euro in favore delle famiglie dei medici morti per Covid durante la pandemia. Un gesto concreto oltre che simbolico per ricucire una Spoon River maturata sul campo, subendo l’infezione nel lavoro quotidiano di assistenza ai pazienti, e che in tutta Italia ha consegnato da inizio pandemia i nomi di 369 camici bianchi vittime del virus: sono stati 31 i medici morti a causa dell’infezione in provincia di Bergamo, compresi 10 medici di base.

Del provvedimento, proposto dalla leghista Maria Cristina Cantù, se ne discuteva venerdì in Senato nell’ambito della conversione del decreto legge sulla proroga dello stato di emergenza: il sub-emendamento che prevedeva il risarcimento ha però incassato il parere contrario della Commissione Bilancio, dopodiché è stato ritirato e riformulato come un semplice ordine del giorno (accolto dal governo), che però non si traduce in un intervento concreto e immediato. Un passaggio parlamentare che evidenzia «disinteresse e sottovalutazione nei confronti dei sanitari – attacca Marinoni - considerati alla stregua di pedine di giochi fatti chissà dove e chissà con quali finalità politiche. Un episodio triste: stiamo tornando alla normalità dell’arroganza. E fa specie sentire che non ci fosse la copertura, in un momento in cui si finanzia di tutto». Come spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, gran parte dei professionisti caduti a causa del virus era «medico di base o comunque non dipendente del Sistema sanitario nazionale e le loro famiglie non sono dunque indennizzabili da parte dell’Inail, in virtù di un regime assicurativo diverso, mentre le famiglie dei medici dipendenti dal Ssn potrebbero ricevere un ristoro Inail, sia pure a fronte di procedure complesse». Da Anelli arriva l’«invito a tutto il Parlamento a una riflessione» che possa rimettere in discussione il provvedimento: «I medici che hanno perso la vita soprattutto nelle prime fasi della pandemia, quando hanno combattuto a mani nude contro il virus, in un contesto in cui mancavano mascherine, guanti, i più elementari dispositivi di protezione, lo hanno fatto per i loro pazienti, per il loro Paese».

L’amarezza dei familiari

Due anni dopo, l’amarezza recentissima s’intreccia al dolore profondo per la perdita del proprio caro. Domenica 22 marzo 2020, nei giorni più aspri della prima ondata, il virus spegneva la vita del dottor Vincenzo Leone, 65enne medico di base a Urgnano e vicepresidente dello Snami, sindacato dei camici bianchi. «Di questa legge avevo sentito parlare, ma non ho voluto approfondire perché ho perso l’interesse, dopo tutte le ingiustizie via via emerse – sospira Carlo Leone, figlio del medico –. C’è però ancor più amarezza». Il ricordo resta ancorato a quel che accadde quando il virus esplose sconosciuto e improvviso: «È stata una situazione gestita male. Ci saremmo tutti aspettati che chi operava come sanitario fosse maggiormente tutelato, al di là della situazione drammatica e imprevista, o che comunque a posteriori ci fosse stata più vicinanza, più riguardo – prosegue Carlo Leone –. Restano tanti punti oscuri. Mi piacerebbe che le persone riconoscessero il grande sacrificio fatto da tante figure, dai sanitari come dai volontari: in quei momenti di emergenza, alla fine l’aiuto è nato soprattutto dalle persone singole. Per fortuna poi si è scoperto un certo senso di amore per l’umanità che ha in parte tamponato l’emergenza. A lungo andare, però, ci sarebbe piaciuto che anche dall’alto arrivassero dei segni concreti di vicinanza».

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