Neet, lo scenario sta migliorando. In due anni diminuiti del 30%: 9.500 in meno

IN BERGAMASCA. Secondo l’Istat erano 31.500 nel 2020, scesi a 22mila nel ’22. Si tratta del 12,8% dei giovani tra i 15 e i 29 anni. Nel 2020 erano il 18,5%.

Non c’è solo la narrazione negativa, quella che dipinge i giovani come «lazzaroni» o svogliati. C’è un’altra realtà, che – dati alla mano – smonta certi stereotipi: dopo che nel biennio pandemico i numeri erano sì aumentati, e anche in maniera piuttosto forte, ora i «Neet» – cioè i giovani tra i 15 e i 29 anni che né studiano né lavorano – si sono ridotti ai minimi storici. Il balzo (in positivo, s’intende) è fotografato dalle nuove rilevazioni elaborate dall’Istat e riferite da ultimo alla situazione del 2022: in Bergamasca i Neet sono scesi al 12,8%, contro il 16,3% del 2021 e contro il picco del 18,5% toccato nel 2020, l’anno di deflagrazione dell’emergenza pandemica e dei suoi profondi riflessi sull’economia. Ma oggi lo scenario è migliore anche del 2019, il metro di paragone preCovid, quando i Neet bergamaschi erano il 14%.

Vale un po’ a tutti i livelli: in Lombardia i Neet sono ora il 13,6% mentre nel 2019 erano il 14,7% (a livello regionale il picco s’era registrato nel 2021, col 18,4%), e a livello nazionale ora si tocca il 19% contro il 23,7% del 2020 e il 22,1% del 2019. Bergamo tra l’altro si colloca tra le province lombarde più virtuose, perché solo Lecco (10,5%), Brescia (11,6%) e Varese (11,9%) hanno quote di Neet proporzionalmente più basse, mentre in coda alla graduatoria regionale c’è Pavia (19,3%). Ma quanti sono, in concreto, questi Neet? L’Istat guarda in particolare alla fascia 15-29 anni, e i bergamaschi di quest’età sono complessivamente 172.160 (dato riferito al 2022), di cui circa 22mila sono considerati Neet: nel 2020 – sempre proiettando le stime dell’Istat sul contesto bergamasco – erano invece circa 31.500, dunque la platea dei Neet si è ridotta di circa 9.500 unità rispetto al picco negativo. Quasi 10mila giovani che sono tornati a studiare o che sono entrati nel mondo del lavoro.

Trend legato alla «fame di lavoro»

Proprio l’inclusione occupazionale può essere il fattore più significativo attraverso cui leggere l’erosione dei Neet. «Guardando ai dati dell’Istat, la riduzione dei Neet è un trend positivo che si avverte anche a livello nazionale – premette Federica Origo, professoressa ordinaria di Politica economica all’Università degli Studi di Bergamo e delegata del rettore ai rapporti con le scuole, orientamento in ingresso e in itinere –. Si può ipotizzare che la forte riduzione nel corso del 2022 sia stata trainata dalle performance positive dell’occupazione: la congiuntura favorevole a livello occupazionale ha permesso di inserire nel mercato del lavoro anche una quota di Neet». Il 2022 è stato d’altronde un anno contraddistinto da una «fame di lavoro» – lato imprese – senza precedenti, la cui onda lunga continua in parte a scorgersi ancora oggi: «Lo indicano anche i dati Excelsior dei giorni scorsi, secondo cui a livello nazionale le imprese hanno difficoltà di reperimento di lavoratori per circa il 50% delle assunzioni programmate».

Chi sono i Neet

Rispetto al picco pandemico, cioè al 18,5% del 2020, la platea dei Neet bergamaschi s’è assottigliata appunto sino al 12,8%. Vuol dire – in termini d’incidenza del fenomeno – che s’è ridotta di circa il 30%.

Però uno «zoccolo duro» resiste, e racconta di giovani che hanno lasciato gli studi e che allo stesso tempo non hanno un lavoro. Il tema interroga anche gli attori istituzionali del territorio: «Abbiamo appena concluso un’analisi, in collaborazione con l’Osservatorio provinciale sul mercato del lavoro, dedicata ai fattori che in Bergamasca portano un giovane a essere Neet – spiega Origo –. Si tratta di una analisi più strutturale che congiunturale, che permette di cogliere alcuni elementi importanti. Lo zoccolo duro dei Neet è rappresentato soprattutto da giovani donne inattive provenienti da famiglie straniere, soprattutto da contesti socioeconomici svantaggiati. Le spiegazioni sono relative anche ad aspetti sociali e culturali: soprattutto per alcuni gruppi di immigrati, può esserci ancora una forte resistenza nel permettere alle ragazze di partecipare al mercato del lavoro o di raggiungere elevati livelli di istruzione». Contemporaneamente, gli esiti della ricerca cancellano una oleografia che sembrava andare affermandosi: «Eravamo partiti con l’ipotesi che in un’area ricca come Bergamo i Neet potessero essere i famosi “sdraiati” (la definizione richiama un celebre libro di Michele Serra dedicato ai giovani “svogliati”, ndr), figli di famiglie agiate. È invece emerso che non è così, cioè che in quei contesti il tasso di Neet non è particolarmente elevato». Il 12,8% di Neet vuol comunque dire che quasi un giovane su 8 non studia e non lavora. E nel lungo termine, «le ricerche mostrano chiaramente che esser Neet porta a problemi di emarginazione, povertà ed esclusione sociale – conclude Origo –. Dove l’incidenza è maggiore, ci sono effetti negativi sulla crescita e sullo sviluppo economico di quel territorio».

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