Ottavio Alfieri, cardiochirurgo da «Oscar»

IL PREMIO. Al bergamasco sarà conferito a New York il prestigioso Mitral Conclave Lifetime Achievement Award. Conosciuto in tutto il mondo per la tecnica che porta il suo nome. «La multidisciplinarietà è il segreto del progresso».

Quest’anno il Mitral Conclave Lifetime Achievement Award sarà conferito al cardiochirurgo bergamasco Ottavio Alfieri. Si tratta del premio internazionale più prestigioso del settore, un «Oscar alla carriera» istituito dall’ Aats, la Società americana di Chirurgia toracica. Il riconoscimento, suggello a una carriera scientifica stellare, gli sarà consegnato a New York giovedì, nel corso del maggiore evento scientifico dedicato al trattamento della valvola mitrale, il Mitral Conclave, appunto.

Con più di 15.000 interventi cardiochirurgici maggiori all’attivo, Alfieri è conosciuto in tutto il mondo per la tecnica che porta il suo nome (Alfieri stitch, letteralmente il punto Alfieri) che permette di riparare la valvola mitrale con il metodo «Edge to edge» (margine su margine) che ha aperto la via alla tecnologia percutanea non invasiva, utilizzata oggi in 65 Paesi per 250.000 pazienti. Il 10% della popolazione mondiale sopra i 75 anni soffre infatti di patologie valvolari che oggi possono essere curate così, senza sottoporre pazienti fragili al rischio di interventi pesanti.

Bravo quanto schivo, il cardiochirurgo racconta in poche parole l’impresa: «L’idea mi è venuta nel 1991, osservando un tipo di anomalia congenita che causa una valvola mitrale a doppio orifizio. Non è la norma, ma la valvola funziona comunque bene. Ho pensato che si poteva utilizzare questa via per riparare l’insufficienza mitralica. All’inizio si eseguiva tutto chirurgicamente, unendo con un punto i due lembi della valvola nel punto dell’insufficienza». Furono eseguiti così migliaia di interventi. Allora la cardiochirurgia si svolgeva ancora tutta a torace aperto. Nel 1999, però, in California una start up hightech si propone di creare una clip che possa sostituire il punto chirurgico. Con la consulenza di Alfieri e del suo staff il dispositivo fu realizzato e nel 2003 fu eseguito il primo intervento su uomo con un catetere che posizionava la clip, riparando la valvola difettosa in modo molto meno invasivo. La metodica «Alfieri repair» era nata.

«All’inizio del millennio – ricorda il cardiochirurgo – assistemmo all’evoluzione verso metodi, resi possibili dall’alleanza fra chirurgia e tecnologia, sempre meno traumatici, la cui massima espressione è l’uso del catetere per correggere una malformazione: angioplastica, stent, palloncino, valvole... uno sviluppo impensabile in passato, che la nostra tecnica ha favorito».

Tanti studenti e allievi

Alfieri parla sempre al plurale, includendo nei suoi successi i collaboratori e gli studenti. Anche la gioia per il riconoscimento americano è condivisa con l’ospedale San Raffaele, dove è oggi Senior Consultant nell’Unità operativa di Cardiochirurgia e presidente della «Alfieri Heart Foundation», creata per supportare la ricerca e l’innovazione dopo essere stato, dal 1996 al 2017, direttore dell’Unità operativa di Cardiochirurgia e professore di Cardiochirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele.

«A Milano ho trascorso l’ultima parte della mia carriera – osserva il professore – grazie al San Raffaele ho potuto fare molta ricerca, chiamare persone dall’estero, con uno scambio continuo di esperienze e competenze. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone giovani, piene di entusiasmo. La presenza dell’università conta molto, ci sono talenti sui quali puoi puntare subito. Una delle mie soddisfazioni è vedere oggi che i primari di Brescia, Firenze, di Humanitas, dello stesso San Raffaele sono stati tutti miei allievi…. Li ho visti nascere, crescere, fare sempre meglio. Un’équipe è bella se si rinnova: se uno comincia ad avere aiuti di 50, 60 anni... se invece diventano primari, si staccano, si crea ricambio per i giovani e si dissemina una scuola, questo è importante. Quando te ne vai, le cose devono andare ancora meglio, la storia, l’innovazione devono continuare. Non ho mai creduto nell’essere insostituibili: credo nel lasciare un cammino che altri proseguano».

Per esempio, con la Fondazione Alfieri: «La multidisciplinarietà è il segreto del progresso. I nostri specializzandi in chirurgia collaborano con i bioingegneri del Politecnico di Milano, cerchiamo di selezionare e sviluppare i progetti migliori. È la lezione che ho imparato dalla start up californiana. Vent’anni fa si faceva solo nella Silicon Valley, in Israele, un poco in Svizzera. Ora è un modello operativo diffuso, non si può fare a meno di mettere insieme competenze diverse se si vogliono risultati».

La carriera

Ottavio Alfieri ha scoperto la cardiochirurgia al quarto anno di Medicina, quando, dopo il liceo Sarpi e l’iscrizione all’Università di Parma (dove poteva contare sulla base logistica della casa dei nonni) trascorre un trimestre di scambio al Children’s Hospital di Buffalo, nello Stato di New York. Dopo la laurea assiste Lucio Parenzan nel pionieristico reparto di Cardiochirurgia infantile dell’ospedale di Bergamo (allora si interveniva quasi solo sulle patologie congenite). Lavora poi negli Stati Uniti e dal 1980, per sei anni al St. Antonius Hospital a Neuwegein, in Olanda. Fra le grandi emozioni della sua carriera mette, dopo le storie umane dei pazienti (molti famosi, ma la discrezione professionale gli impedisce di nominarli se non coloro che si sono autorivelati, come Berlusconi) il rientro in Italia. «Nel 1986 mi chiamarono gli Spedali Civili di Brescia. In Olanda avevo raggiunto una posizione importante, ma l’idea di tornare, potendo fare qui tutto quello che avevo imparato, mi rese felice e rese felice anche la mia famiglia. A Brescia furono anni molto intensi, creammo un centro di altissimo livello, i pazienti venivano da tutta Italia». Poi, il salto definitivo nella metropoli lombarda: «Non fu una decisione facile da prendere. Ma il San Raffaele significava molta più possibilità di ricerca, e questo decise le cose».

A Brescia resta comunque legato ed è felicissimo della doppia Capitale della cultura: «Bergamo e Brescia sono due città bellissime, con animi e modi di operare simili per molti aspetti e grandi potenzialità».

Proprio in questi giorni, per le manifestazioni congiunte fra le due città, BergamoScienza e San Raffaele aprono a Brescia la mostra «Svalvolati», che approderà poi a Bergamo per il festival scientifico. La mostra è un viaggio interattivo nella storia della cardiochirurgia dagli egizi al futuro prossimo.

«Collaborare a “Svalvolati” è stato per tutti bellissimo» afferma il cardiochirurgo, che non potrà essere presente all’inaugurazione perché a New York per ritirare il Mitral Conclave Lifetime Achievement Award. «Mi hanno chiesto di tenere un discorso introduttivo – rivela – e mi hanno dato il titolo: “My Journey”, il mio viaggio. Mi sono procurato foto bellissime della mia città e comincerò parlando di Bergamo». Di nuovo, non «io» ma «noi»: è cuore anche questo.

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