(Foto di Agazzi)
LA RISTRUTTURAZIONE. Conclusi i lavori alle due palazzine, sono durati 14 mesi. Don Davide Rota: «Tanta generosità, un’opera che non smette di sorprendere».
Quando, dopo mesi di polvere, ponteggi e cantieri, sabato 20 dicembre si tornerà a varcare la soglia del Patronato San Vincenzo in via Gavazzeni, non si inaugurerà solo la fine di una ristrutturazione edilizia, ma si entrerà in un luogo che ha saputo attraversare il cambiamento senza perdere la propria anima, rilanciando con forza la sua vocazione all’accoglienza.
Alla vigilia del suo primo secolo di vita - il Patronato nasce nel 1927 da un’intuizione di don Bepo Vavassori - si conclude l’intervento più importante mai realizzato sulla Casa centrale, le due palazzine costruite negli anni ’70 dedicate agli «ultimi». Un progetto promosso dalla Fondazione don Fausto Resmini, che gestisce gli spazi, e portato a termine in tempi record: 14 mesi di lavori, avviati a settembre 2024, senza interrompere neppure per un giorno i servizi dedicati a chi ha più bisogno.
Un risultato che racconta molto più di un’efficienza organizzativa. Dietro ogni muro rinforzato, ogni impianto modernizzato, ogni spazio ripensato per essere più sicuro, efficiente e dignitoso, c’è la scelta di continuare a prendersi cura delle persone, prima ancora degli edifici. «Tutti coloro che hanno lavorato al cantiere hanno saputo andare oltre il proprio ruolo e la propria professionalità - sottolinea il presidente del Patronato, Massimo Cincera -. Per rispettare tempi strettissimi, ciascuno ha messo in campo competenze e intelligenza, ma soprattutto passione e cuore, ciò che questo luogo naturalmente chiede di dare».
Il progetto nasce infatti da una lettura attenta delle fragilità sociali di Bergamo. Adeguare la struttura ai criteri di sicurezza sismica ed efficienza energetica non è stato solo un obbligo tecnico, ma un atto di responsabilità verso persone che spesso vivono condizioni di vulnerabilità estrema. Oggi il Patronato San Vincenzo accoglie circa 500 persone nelle sue sedi, 300 delle quali proprio in via Gavazzeni.
«I ragazzi del Patronato hanno dato una mano, si sono prestati, hanno partecipato»
Durante i lavori, questa attenzione non è mai venuta meno. I duecento ospiti delle palazzine sono stati trasferiti nel cosiddetto «villaggio», una serie di container allestiti nelle vicinanze grazie al contributo della Fondazione Pesenti. «Credo che per ognuno sia stato significativo vivere un intero anno accanto al “villaggio”», racconta ancora Cincera. «Questa convivenza tra il cantiere e gli ospiti ha aiutato tutti, le circa 80 persone che hanno abitato il cantiere, a riconoscere il valore profondo di quest’opera».
Pensare a un luogo di accoglienza solo come a uno spazio da «mettere in regola» significherebbe però non coglierne appieno il senso. Qui si parla di uomini e donne senza dimora, di persone in cerca di ascolto, di un pasto caldo, di un letto per la notte. Rendere gli ambienti più sobri, ordinati e funzionali è un modo concreto per dire ad ognuno di loro: la tua dignità conta.
«L’idea di condividere lo stesso stile a Sorisole e a Bergamo è stata la spinta decisiva»
Un’esperienza, quella del Patronato, che continua a sorprendere anche chi vive al suo interno: «C’è una cosa che non finisce mai di stupirmi - osserva don Davide Rota, superiore dei sacerdoti del Patronato - ed è che la realtà è sempre di più di ciò che si giudica e di ciò che si programma». Un «di più» che si misura negli effetti inattesi dell’accoglienza, nella capacità di rispondere ai bisogni anche quando mancano le risorse: «Per anni, in passato, abbiamo accolto moltissime persone anche senza finanziamenti, eppure siamo sempre riusciti ad accoglierle», dice don Davide Rota.
Un segno della Provvidenza, ma anche del legame con il territorio: «La generosità di Bergamo è potentissima e spesso nascosta - dice ancora il sacerdote -. È una generosità “spicciola”, quotidiana, che fa tantissimo, a volte più di quanto si immagini». Una carità che, nella visione del Patronato, è profondamente intrecciata con la fede: «Quando c’è un aggancio reale, una vicinanza con i poveri e i bisognosi, la Provvidenza si manifesta. Il protagonista è Dio: noi siamo soltanto operatori, e neanche tanto bravi».
Il rifacimento delle palazzine rappresenta anche il coronamento di un cammino più lungo. «Quindici anni fa, quando sono arrivato, la parte meglio organizzata del Patronato era quella di Sorisole - ricorda don Rota -. Oggi tutto il Patronato è rivitalizzato. Questo significa che si è lavorato bene ed è il risultato di un percorso di accoglienza». Un’accoglienza che non si lascia guidare solo dai numeri, perché, conclude don Davide Rota, la capienza degli spazi non conta: «Non possiamo mettere limiti all’accoglienza», dice.
Un ruolo centrale lo ha avuto la Fondazione don Fausto Resmini, cui è affidata la gestione degli spazi. «L’idea di condividere lo stesso stile a Sorisole e a Bergamo è stata la spinta decisiva», spiega il presidente Luigi Zucchinali. «C’è passione, Provvidenza, amore, il desiderio di dare giorno per giorno quello per cui siamo qui». Un impegno che richiede tempo e alleanze: «Le richieste sono tante, pian piano cerchiamo di portare tutto a termine nel miglior modo possibile. È fondamentale avere accanto persone che aiutano», prosegue Zucchinali.
I primi a crederci, però, sono stati proprio gli ospiti. «I ragazzi del Patronato hanno dato una mano, si sono prestati, hanno partecipato - aggiunge -. Abbiamo sistemato le case, adesso bisogna sistemare le teste»: perché la ristrutturazione non si ferma ai muri, ma continua nelle relazioni, nei percorsi di rinascita personale. Ecco perché il senso di questi lavori va oltre i mattoni. Domani, al momento del taglio del nastro, non si festeggerà solo la fine di un cantiere, ma la forza di una comunità che ha scelto di non voltarsi dall’altra parte. Un luogo che, rinnovato nelle strutture, continua a dire ogni giorno che la solidarietà non è un’opzione accessoria, ma una componente essenziale di una società che vuole restare umana.
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