«Pronti a ripartire in piena sicurezza». E agli indecisi un invito: «Vaccinatevi»

Il prefetto: «L’obiettivo è un anno scolastico al 100% in presenza, scuole e trasporti organizzati». Controlli intensificati e attenzione alla zona della stazione «dove gli interventi sono già continui e costanti».

Qualcuno scherzando, ma nemmeno tanto, dice che il nuovo anno non cominci a gennaio ma a settembre, quando ripartono le scuole. Una scadenza che coinvolge sì gli studenti, ma nel contempo scandisce i ritmi di vita di migliaia di famiglie.

Con l’emergenza Covid e dopo mesi e mesi di lezioni in Dad questa ripartenza assume un significato ancora più importante, anche perché si ritorna in classe davvero e soprattutto con l’obiettivo di restarci. «Ricominciamo, e lo facciamo in condizioni sicuramente diverse rispetto alle volte precedenti», sottolinea convinto il prefetto Enrico Ricci.

Cosa la rassicura di più?

«I numeri delle vaccinazioni soprattutto: l’adesione nella Bergamasca è superiore alla media nazionale. La risposta della gente è stata massiccia e responsabile, a cominciare proprio dalla fascia dai 12 anni in su: tra chi ha già finito il percorso vaccinale, chi ha ricevuto solo una dose e chi si è comunque iscritto ed è in attesa del proprio turno siamo all’80%. Ecco, questo dato ci rende più sereni in vista del ritorno a scuola, unitamente a quello delle vaccinazioni del personale docente e non. Le basi di partenza sono positive, nella prospettiva che quest’anno scolastico si svolga al 100% in presenza: questo è l’obiettivo».

Le scuole sono pronte?

«Assolutamente e in piena sicurezza: in più nella Bergamasca non c’è quel problema di inadeguatezza delle aule che si riscontra in altre realtà, dove spesso si è ricorsi alla Dad anche per motivi di natura strutturale. Abbiamo aule sufficientemente capienti così da mantenere le distanze richieste».

E i trasporti?

«Sono pronti anche quelli: abbiamo una certa qual esperienza in materia».

In effetti avete iniziato ben prima delle indicazioni del governo.

«Maggio 2020, 6-7 mesi prima del Dpcm che indicava la necessità di un tavolo prefettizio di coordinamento: abbiamo sempre lavorato bene e in squadra. Per la ripartenza ci sarà un potenziamento dei mezzi pubblici, mentre abbiamo meglio distribuito l’ingresso degli studenti nelle due fasce: due terzi alle 8, la restante parte alle 10. In questo modo evitiamo che chi viene da fuori resti troppo tempo in giro, garantendo nel contempo un rientro a casa in un orario accettabile».

Sinceramente, c’è qualcosa che vi preoccupa?

«Eventuali nuove varianti, ma qui purtroppo entriamo nel campo dell’imponderabile. Per il resto, tutto quello che potevamo fare è stato fatto. L’invito è quello di sempre: rispettare le regole, quindi mascherine e distanziamento. I controlli a terra nelle fermate più affollate verranno intensificati sia con la presenza del personale delle aziende di trasporto che, soprattutto nelle prime settimane, delle forze dell’ordine. E le aziende potranno assumere personale destinato ai controlli: le risorse stanziate a livello nazionale per il trasporto coprono anche questa esigenza».

Non avete pensato anche a una differenziazione degli orari delle altre attività, negozi, uffici…?

«No, fin dall’inizio sia le stesse aziende che le amministrazioni locali non hanno ritenuto rilevante l’incidenza di queste attività ai fini della gestione del trasporto pubblico».

Restando sull’argomento sicurezza, molte scuole gravitano nella zona delle stazioni. Vi preoccupa la situazione di quell’area?

«Comincerei con un dato generale, parlando di sicurezza: se compariamo i primi 8 mesi di quest’anno con lo stesso periodo del 2019 i reati nella Bergamasca sono scesi del 18%. Questo per inquadrare con qualche numero la situazione complessiva. Nello specifico delle stazioni, stiamo parlando della zona più controllata della città, con interventi continui e coordinati delle forze dell’ordine: polizia locale, carabinieri e polizia sono presenti in modo costante. Purtroppo un disordine quasi inevitabile nella zona delle stazioni c’è in ogni città: pensare a una risoluzione completa dei problemi è difficile, ma oggettivamente quell’area è ampiamente controllata».

Ma le lamentele non mancano...

«Certo, ma posso assicurare che il confronto è costante, sia con le associazioni di commercianti che il Comune. Ricordo anche gli interventi urbanistici fatti, le iniziative culturali in piazzale Alpini, il potenziamento del servizio di presa in carico delle persone in situazioni di marginalità. Credo che anche in questo caso tutto quello che sia possibile fare sia in termini sociali che di sicurezza si stia facendo: l’attenzione è continua».

Uscendo un attimo dalle statistiche, lei considera Bergamo sicura?

«Direi di sì, ma la percezione della sicurezza da parte dei cittadini è qualcosa di molto importante. Quindi se ci sono situazioni di disagio o zone che vengono percepite come insicure dobbiamo tenerne conto. Diciamo così, rispetto ad altre realtà abbiamo condizioni di sicurezza buone, ma è giusto che i cittadini o le associazioni segnalino le cose che non vanno e s’impegnino per cambiarle insieme a noi: lo ritengo un importante segnale di partecipazione».

Anche quando si scivola sul piano della bagarre politica?

«Beh, del resto è uno degli argomenti sul quale da sempre c’è confronto».

È riuscito a iniziare il suo giro dei paesi della Bergamasca?

«Poco a dire la verità, ma conto di partire a breve con maggiore intensità».

Torniamo per un attimo alla campagna vaccinale, cosa si sente di dire a chi non è ancora convinto?

«Solo una cosa, vaccinatevi. Su questi temi bisogna avere fiducia, lo strumento fondamentale per vincere questa battaglia con il Covid che tante vittime ha fatto proprio qui in terra bergamasca è il vaccino. I dati del resto sono incontrovertibili sia a livello nazionale che locale: la quasi totalità di chi purtroppo si trova in terapia intensiva in questo momento non è vaccinato».

E basterebbe questo...

«Dovrebbe essere giù una buona ragione per farsi carico in termini etici di un problema collettivo. Ma se ci limitiamo anche solo ad un interesse personale, direi che è un ottimo motivo per vaccinarsi».

Lei è arrivato a Bergamo a inizio aprile del 2020, nel bel mezzo della tragedia...

«Sì, in una città quasi spettrale e con le strade vuote».

Ora cosa vede fuori dalle finestre di via Tasso?

«La gente, la vita, e spero tanto che quei giorni terribili non tornino più. Rimango sempre colpito dall’attenzione che i bergamaschi hanno nel rispettare le regole: in molti indossano la mascherina anche per strada, i più l’hanno comunque a portata di mano e pronta a essere usata».

Insomma, nessun «liberi tutti».

«Proprio no, e questi sono comportamenti che mi fanno davvero ben sperare. Continuiamo così e questo incubo finirà. Nel frattempo siamo già impegnati a gestire un altro fronte, questa volta umanitario».

L’arrivo dei profughi afghani?

«Sì, martedì sera sono arrivate cinque famiglie per un totale di 27 persone. Si uniscono ad un primo gruppo che era arrivato nelle scorse settimane e ad una famiglia già qui da inizio luglio».

Che numeri sono attesi, complessivamente?

«In Lombardia stiamo parlando di 735 persone, nella nostra provincia arriveranno in 75 ai quali si aggiungono quelle del cosiddetto “Programma Aquila”, gestito dal ministero della Difesa che portano il totale a un centinaio circa».

Gli afghani che hanno collaborato a vario titolo con il nostro contingente...

«Esatto, è il caso della prima famiglia arrivata a luglio e di quelle precedenti agli arrivi di martedì scorso. L’accoglienza è stata garantita grazie ai Cas, le strutture che abbiamo realizzato per l’accoglienza degli stranieri. Voglio ringraziare la Caritas e le cooperative che si sono messi subito a disposizione per reperire gli appartamenti necessari, perché qui si parla appunto di famiglie. Sottolineo anche la disponibilità del Comune di Bergamo con il sindaco Giorgio Gori che si è detto pronto ad ampliare la rete Sai (Sistema accoglienza integrazione - ndr) gestita dagli enti locali, per quanto competenza del ministero dell’Interno».

La preoccupa la situazione?

«No, ci sarà una valutazione della Commissione territoriale ma avranno sicuramente lo status di rifugiato: sono persone che abbiamo portato via noi, non c’è dubbio che otterranno il riconoscimento. Partono anche da una condizione di favore, quelli che hanno lavorato con noi in Afghanistan parlano la nostra lingua e conoscono le nostre abitudini, ma cercheremo di facilitare ulteriormente la loro integrazione grazie alla collaborazione con gli enti locali».

Che non è mancata nemmeno stavolta.

«Guardi, questa è una terra che sa occuparsi di se stessa, ma anche degli altri».

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