Pronto soccorso: al «Papa Giovanni» 140 accessi al giorno, 40 per Covid

Cosentini, direttore Centro Eas: siamo sotto stress. «Lavoriamo su due binari. Per i contagiati area con 12 letti, sempre pieni».

«Non uso giri di parole: siamo sotto stress, lavoriamo su un doppio binario, per i casi Covid e quelli non Covid, su un numero complessivo di accessi ormai tornato a livelli prepandemici. E il personale è sempre quello, siamo davvero in sofferenza». Roberto Cosentini, direttore del Centro Eas, Emergenza alta specializzazione dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo fornisce anche i numeri di questa pressione sul pronto soccorso, pressione ormai generalizzata in molte strutture della Lombardia , e che negli ultimi giorni ha visto un crescendo impressionante. E non si vede la fine. «No, per il momento non credo proprio che si possa prevedere un calo di questa esplosione di positivi, certamente dovuta alla Omicron, almeno fino alla fine di gennaio – sottolinea Cosentini – . Voglio essere ottimista: se guardo ai dati di Sudafrica e Gran Bretagna, dove Omicron è divampata prima che da noi, una volta arrivati al picco, i contagi dovrebbero crollare rapidamente così come sono saliti. Ma sono solo comparazioni teoriche, per il momento dobbiamo tenere duro». Esclusi gli ingressi pediatrici, ginecologici e ortopedici, al pronto soccorso generale del «Papa Giovanni» si fanno i conti con 130-140 persone in ingresso al giorno, «di cui, adesso, anche fino a 40 sono per sintomi Covid», spiega Cosentini.

«Numeri in crescita progressiva e costante dai primi di dicembre – continua – . Prima della Omicron, onestamente, i casi di Covid si contavano sulle dita di una mano e anche se l’afflusso dal pronto soccorso era comunque sostenuto, per altre patologie, ripreso a livelli preCovid, la situazione era gestibile. Ora siamo in una condizione critica». Basti pensare che ai primi di dicembre il numero di accessi per sospetto Covid erano tra i 4-5 fino a 7 al giorno, da Natale in avanti si è arrivati, con una crescita rapidissima tra i 16 e i 28, fino ai 31 al giorno. «Con l’anno nuovo anche fino a oltre 40 sospetti al giorno», aggiunge Cosentini. In totale dall’1 dicembre 2021 al 3 gennaio 2022 gli accessi per Covid sono stati 519, e di questi 112 i ricoverati. Gli ultimi accessi per Covid al pronto soccorso sono stati così alti da far sembrare di essere tornati indietro di due anni: «La differenza sta nella gravità della malattia: non tutte le persone che arrivano con sintomi Covid hanno bisogno di un ricovero, la stragrande maggioranza torna a casa, ma se si guarda ai numeri è proprio così: è come se si fosse di nuovo agli accessi del marzo 2020 – rimarca Cosentini – . Con la differenza che allora tutti, quasi tutti avevano bisogno di ossigeno, Cpap o Terapia intensiva, mentre ora, con i vaccini che stanno dimostrando ampiamente la loro efficacia, le condizioni generali degli utenti che arrivano sono meno gravi, nella stragrande maggioranza dei casi, e soprattutto tra i vaccinati. Allora, peraltro, non c’erano accessi di altro genere, ora vediamo tutte le altre patologie e le altre urgenze. Oltretutto la gente non ha più timore di entrare in ospedale, quindi anche per altri disagi lievi diversi dal Covid abbiamo discreti accessi. Non c’è stato, almeno per il momento il picco per casi influenzali: anzi, diciamo che i malanni di stagione proprio non li stiamo vedendo, è il Covid a cancellare il resto. La nuova fiammata di Omicron ci ha portato ad avere un doppio binario di lavoro, sempre al massimo carico. E il personale è lo stesso: nella prima ondata avevamo beneficiato di sostegno di medici che arrivavano da ogni dove, ora tutto il mondo ha la stessa emergenza. Dedichiamo almeno una o due équipe al Covid, mentre il resto del personale lavora per i pazienti cosiddetti “puliti”: se aggiungiamo anche qualche defezione per contagi, quarantene, o isolamento per contatti con positivi anche tra il personale, il quadro è fatto. Ed è un quadro di grande fatica».

Inevitabilmente, le attese per gli utenti del pronto soccorso sono aumentate: «Ed è un grande dispiacere, prima di questa ondata avevamo cominciato a lavorare su un nuovo modello organizzativo per poter snellire i tempi di attesa, ma non possiamo attuare ora alcuna sperimentazione – conclude Cosentini – . I dati ora ci dicono che oltre il 40% degli accessi attende in media più di due ore per essere visitato, eccezion fatta per i codici rossi e le altre emergenze, e siamo quasi al 40% degli accessi che attende una media di 8 ore per un ricovero. Per i Covid abbiamo anche riaperto gli spazi Pemaf (l’area di emergenza per l’osservazione contemporanea di gruppi di degenti), quelli dove nella prima ondata accoglievamo le persone che necessitavano di Cpap: spazi con almeno 12 letti attrezzati, e sono quasi sempre occupati. Stringiamo i denti, sperando che si raggiunga il picco a breve. La popolazione, intanto, dovrebbe rendersi conto che i numeri dei contagi che abbiamo sono da lockdown, anche se la malattia è meno grave: il “lockdown” non si fa più, per evitare di bloccare il Paese, ma la gente potrebbe contribuire a dare una mano agli ospedali sotto pressione. Come? Evitando i contatti superflui, gli assembramenti: il virus morde, non è il caso di pensare a un “liberi tutti”. E chi non è vaccinato, lo faccia il prima possibile».

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