Riscaldamento spento, a rischio 35mila famiglie

Povertà energetica. Studio della Cgia di Mestre: per la fragilità economica 80 mila bergamaschi potrebbero rinunciare a caloriferi ed elettrodomestici.

Se l’energia è un bene prezioso, oggi più che mai, c’è allora anche chi non può permettersela. La «povertà energetica» è l’ennesima frontiera verso l’autunno caldo: perché già prima di questa crisi c’era chi – a causa della propria fragilità economica – doveva far rinunce sull’uso del riscaldamento o degli elettrodomestici, e ora la platea rischia di allargarsi. Ed è una platea importante: sarebbero circa 35mila le famiglie bergamasche a rischio di «povertà energetica», secondo una stima tracciata dalla Cgia di Mestre, osservatorio sempre attento alle condizioni di imprese e cittadini.

Precarie condizioni

Ma cosa s’intende per povertà energetica? È la condizione cui devono far fronte quei nuclei – famiglie o persone che vivono da sole – che «non riescono a utilizzare con regolarità l’impianto di riscaldamento d’inverno, quello di raffrescamento d’estate e che, a causa delle precarie condizioni economiche, non dispongono o utilizzano saltuariamente gli elettrodomestici ad elevato consumo di energia», spiega la Cgia di Mestre. Insomma: chi dovrà spegnere i caloriferi (e che quest’estate non ha usato il climatizzatore) o dovrà limitare l’accensione di lavastoviglie, lavatrice, asciugatrice, aspirapolvere, microonde, forno.

In chiave locale, per Bergamo il valore è circa un decimo del dato regionale: in terra orobica, dunque, le famiglie a rischio di povertà energetica sono tra le 26mila e le 44mila, con valore «mediano» di circa 35mila famiglie (che corrispondono a circa 80mila individui).

Lo studio, che incrocia i dati dell’Istat con alcuni studi scientifici sul tema, mette in luce come siano ben 4 milioni le famiglie italiane in questa condizione, per un totale di 9 milioni di cittadini a rischio. Al Centro-Nord, rischia tra il 6% e il 10% delle famiglie: per la Lombardia si parla così di un minimo di 267.767 a un massimo di 446.278 famiglie (la Cgia traccia due scenari, a seconda della possibile intensità reale del fenomeno), con un valore «mediano» di circa 357mila famiglie che potrebbero non permettersi un normale utilizzo di riscaldamento o elettrodomestici; passando dalle famiglie alle singole persone, a rischio ci sono dunque tra i 600mila e il milione di lombardi. In chiave locale, per Bergamo il valore è circa un decimo del dato regionale: in terra orobica, dunque, le famiglie a rischio di povertà energetica sono tra le 26mila e le 44mila, con valore «mediano» di circa 35mila famiglie (che corrispondono a circa 80mila individui). I valori più critici si registrano invece nel Mezzogiorno: lì la povertà energetica arriva a interessare anche il 24-36% delle famiglie, con la Campania in testa.

Le fasce fragili

L’osservatorio traccia il profilo delle situazioni più a rischio. Anche in fatto di «accessibilità» all’energia, le fasce di fragilità sono quelle consuete: «Nell’identikit delle famiglie vulnerabili energeticamente spesso troviamo quelle con un elevato numero di componenti che risiedono in alloggi in cattivo stato di conservazione, con il capofamiglia giovane, spesso inoccupato e/o immigrato», indica la Cgia.

Artigiani e partite Iva

Ma non solo, perché ai fattori classici s’aggiunge la congiuntura difficilissima in vista dell’imminente autunno e soprattutto dell’inverno. La povertà energetica diventa un pericolo anche per una fetta di ceto medio. «L’aumento esponenziale dei prezzi delle bollette prevista per il prossimo autunno potrebbe peggiorare notevolmente la situazione economica di tantissime famiglie, soprattutto quelle composte da lavoratori autonomi – rileva la Cgia –. Nel ricordare che il 70% circa degli artigiani e dei commercianti lavora da solo, ovvero non ha né dipendenti né collaboratori familiari, moltissimi artigiani, piccoli commercianti e partite Iva stanno pagando due volte lo straordinario aumento registrato in questi ultimi 6 mesi dalle bollette di luce e gas».

Gli autonomi rischiano in sostanza di «pagare doppio» i rincari: «La prima volta come utenti domestici e la seconda volta come piccoli imprenditori per riscaldare/raffrescare e illuminare le proprie botteghe e negozi – specifica l’osservatorio –. E nonostante le misure di mitigazione introdotte in questi ultimi mesi dal governo Draghi, i costi energetici sono esplosi, raggiungendo livelli mai visti nel recente passato». Stando all’Inps, in Bergamasca sono circa 38mila i lavoratori autonomi dell’artigianato e 32mila quelli del commercio, a cui aggiungere alcune decine di migliaia di altri «autonomi» delle professioni (dagli architetti agli avvocati, dai medici ai grafici, e via elencando). Un pezzo dell’economia, questo, che ha fatto i conti anche con gli effetti aspri della pandemia e delle restrizioni: «Dagli ultimi dati elaborati dall’Istat e riferiti al 2019 – ricorda la Cgia –, il rischio povertà delle famiglie presenti in Italia con un reddito principale ascrivibile a un lavoratore autonomo era pari al 25,1%, contro il 20% riconducibile a famiglie con fonte di reddito principale da lavoro dipendente. E con la crisi pandemica e il conseguente lockdown imposto a tantissime attività sscoppiate» a inizio marzo del 2020, negli ultimi due anni e mezzo anni il differenziale tra queste due tipologie familiari potrebbe essere addirittura aumentato».

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