Salute, per ticket e visite private si spende uno stipendio l’anno

I DATI. La Cgil: in media 973 euro di detrazioni nei modelli 730 dei cittadini. «Occorre rafforzare la sanità pubblica. I fondi? Si recuperi l’Iva non versata».

Qual è il prezzo della salute? 973 euro, in media. È quanto i bergamaschi mettono di tasca propria (oltre alla fiscalità generale) tra ticket e – soprattutto – visite private. La stima arriva dalla Cgil, che ha analizzato le dichiarazioni dei redditi presentate nei propri Caaf quest’anno, e dunque riferite all’anno fiscale 2022. Su 59.298 modelli 730 elaborati (il 73% delle dichiarazioni presenta redditi fino a 28mila euro), in 38.356 dichiarazioni erano presenti spese per le detrazioni di prestazioni sanitarie specialistiche e per il pagamento di ticket sanitari (sono escluse le spese per l’acquisto di farmaci o dispositivi medici). E così, mediamente, chi chiede la detrazione delle spese sanitarie ha speso 973 euro in un anno.

L’analisi

Una cifra certo consistente, quasi uno stipendio, seppur in calo rispetto alla ricognizione di un anno fa: l’analisi presentata a ottobre 2022 (riferita ai redditi del 2021) evidenziava spese sanitarie in media di 1.237 euro per contribuente. Un calo che si può spiegare verosimilmente attraverso diversi fattori, sia positivi (più ricorso alla sanità pubblica?) sia negativi (con l’inflazione alle stelle e il potere d’acquisto eroso, c’è chi rinuncia a curarsi). Si tratta di «un importo elevato che ovviamente non può essere ricondotto al solo pagamento dei ticket, tanto più che nella nostra provincia le persone con almeno un’esenzione sono circa 500mila – ricorda Marco Toscano, segretario generale della Cgil di Bergamo –. La cifra comprende, invece, la spesa per il ricorso a visite ed esami attraverso il canale privato. Il rimborso medio è di circa 160 euro: resta quindi a gravare sulle tasche delle persone una spesa di poco più di 800 euro». Cifre che, alla luce della media delle dichiarazioni nei Caaf della Cgil, gravano «nella maggioranza dei casi su redditi tutt’altro che elevati».

Per Toscano, «questi dati bastano a mettere in evidenza le due emergenze che devono essere seriamente affrontate, ma che questo governo sembra invece scansare. Partendo dalla sanità: è necessario un vero investimento su quella pubblica, che consenta di potenziarla, con un piano di nuove assunzioni e il rafforzamento della medicina territoriale ed extra-ospedaliera, e abbia come naturale ricaduta l’accorciamento di liste d’attesa. Solo così si riduce il fenomeno dell’out of pocket, ovvero il mettere mano alle proprie tasche ricorrendo al canale privato a pagamento. Al contrario il finanziamento alla sanità pubblica in rapporto al Pil è destinato a diminuire nei prossimi anni, passando dal 6,7% del 2023 al 6,2% del 2026. Sia la media Ocse che quella europea del rapporto spesa sanitaria/Pil è del 7,1%. L’altra emergenza resta quella salariale. L’inflazione galoppa, troppi contratti non vengono rinnovati, e intanto lavoratori e pensionati perdono potere d’acquisto». Ma lo Stato da dove può recuperare quelle risorse per rilanciare la sanità? «Tra i diversi canali attraverso cui viene finanziato il Servizio sanitario – sottolinea Toscano – c’è l’Iva. Secondo i dati del Mef, l’Iva non versata è stimabile in 22,9 miliardi di euro. Il governo non dovrebbe allora pensare a una seria lotta all’evasione fiscale?».

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