Sanità territoriale, è allarme infermieri: in Bergamasca ne serviranno tra 230 e 350

La riforma In base agli standard del decreto ministeriale è questo il fabbisogno per Ospedali e Case di comunità. Solitro: «Anche a livello locale possibili problemi». Marinoni: «La carenza di personale resta la criticità più forte».

Il capitale umano. È questo, in fondo, a fare la differenza. Vale anche per la sanità territoriale: oltre le sigle e le nuove strutture, saranno le risorse di personale a fare la differenza. Una svolta – su cui però la strada pare ancora in salita – dovrebbe essere rappresentata dal cosiddetto Dm 71, il decreto ministeriale sui «nuovi standard per l’assistenza territoriale» in corso di discussione nella Conferenza Stato-Regioni: nel documento, infatti, si definiscono anche i fabbisogni di personale per le nuove strutture della medicina del territorio. Compresi gli organici ipotetici di Case di comunità (Cdc), Ospedali di comunità (Odc) e Centrali operative territoriali (Cot). Una proiezione contenuta nell’ultima bozza del Dm 71 tratteggia un primo orizzonte: per la Bergamasca, quando Cdc, Odc e Cot saranno a pieno regime, lo standard di personale richiesto oscillerebbe tra i 230 e i 346 infermieri, 20 assistenti sociali, poi una forbice tra 142 e 232 altre figure di supporto di carattere sociosanitario o amministrativo, e un numero non precisato di medici.

I range fissati dalla normativa

È la somma dei range fissati per ciascuna tipologia di struttura. Per le Case di comunità – sono 20 quelle previste in Bergamasca – lo standard è di 7-11 infermieri, 1 assistente sociale, 5-8 unità di personale di supporto (sociosanitario, amministrativo); per ciascun Ospedale di comunità – ne sono indicati 6 in terra orobica – la bozza ipotizza 7-9 infermieri (di cui un coordinatore infermieristico), 4-6 oss, 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative e un medico per 4,5 ore al giorno 6 giorni su 7; per le Centrali operative territoriali – 12 quelle previste in provincia di Bergamo – lo standard è di 1 coordinatore infermieristico, 3-5 infermieri, 1-2 unità di personale di supporto.

«Con l’emergenza pandemica le strutture sanitarie pubbliche hanno riaperto i concorsi, con condizioni attrattive, e si è osservato un “travaso” da Rsa e privato verso il pubblico»

«Valorizzare gli infermieri»

Sono bozze, appunto, su cui ancora si deve trovare la quadra a livello centrale, per darne corso poi in chiave territoriale. Il problema atavico delle carenze di personale però è noto: «A livello nazionale, per ottemperare alle esigenze delle riforme imposte dal Pnrr (anche la riforma lombarda recepisce indicazioni del Pnrr, ndr), è stata stimata un’esigenza di circa 100mila infermieri in più – spiega Gianluca Solitro, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Bergamo –. È un gap importante, se calcoliamo che ogni anno sono solo 29mila gli infermieri che escono dalle università». In chiave bergamasca, per le stime è ancora prematuro: «Potrebbero esserci problemi anche a livello locale – ipotizza Solitro –. Il tema è più ampio: le sofferenze di organico le stiamo già vivendo tra Rsa e medicina del territorio, e ora inizia a soffrire anche il privato convenzionato. Con l’emergenza pandemica le strutture sanitarie pubbliche hanno riaperto i concorsi, con condizioni attrattive, e si è osservato un “travaso” da Rsa e privato verso appunto il pubblico».

Il problema «qualitativo»

La questione non è solo quantitativa. «Si rischia anche un problema qualitativo – evidenza Solitro –: riducendo gli staff negli ospedali perché non c’è personale infermieristico, fisiologicamente ne risente anche la qualità del lavoro». È una «situazione non facile», rimarca il presidente dell’Opi bergamasco, ma alcune proposte sono state avanzate a livello nazionale. «Non sarà la panacea – premette Solitro –, ma l’idea di togliere il vincolo di esclusività ai lavoratori pubblici potrebbe aiutare: sul territorio si incentiverebbe la possibilità della libera professione da parte degli infermieri, così da incrementare la loro attività. In attesa di una pianificazione più di lungo periodo, questa può essere una prima risposta». Sullo sfondo però c’è un nodo ineludibile: «Occorre rendere più attrattiva la professione dell’infermiere – specifica Solitro –, attraverso l’aumento degli stipendi e la costruzione di possibilità di carriera. Dietro la professionalità dell’infermiere c’è un lavoro di continua formazione, di studio, di aggiornamento, oltre a un valore umano molto forte».

«Non sarà la panacea, ma l’idea di togliere il vincolo di esclusività ai lavoratori pubblici potrebbe aiutare»

«Questione di numeri»

Per Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, il Dm 71 è un «passo necessario» per dare attuazione alla riforma della sanità territoriale: «Dal decreto discende per esempio anche il nuovo contratto dei medici di medicina generale. In Regione c’è un tavolo che sta definendo ulteriormente le caratteristiche delle Case di comunità: un lavoro encomiabile, ma su cui appunto serve un supporto normativo di base, quello rappresentato dal decreto». Oltre le strutture e le sigle, si torna appunto al capitale umano. «Quella della carenza di personale resta la criticità più forte – ribadisce Marinoni –, e vale anche per i medici. È una questione di numeri: l’attività ambulatoriale dei medici di base, allo stato attuale delle cose, renderà molto difficile far sì che possano dare il loro contributo anche nelle Case di comunità».

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