Telefonia, stangata in vista sulle tariffe

CAROVITA. Dai gestori nuovi prezzi indicizzati all’inflazione, con aumenti tra 2 e 3 euro al mese. L’incremento sarebbe definito parte integrante delle condizioni contrattuali e quindi senza il diritto di recesso.

Nuove tariffe indicizzate all’inflazione, con aumenti tra 2 e 3 euro al mese. Si profila un’altra stangata per i bilanci delle famiglie e questa volta è il settore della telefonia a complicare la vita ai clienti, rendendo difficoltoso se non impossibile esercitare il diritto di recesso. Alcuni gestori infatti hanno già incrementato nel 2023 i costi per i clienti, con un meccanismo di aumento dei prezzi legato al carovita e che non prevede invece un ribasso se l’inflazione è in discesa.

L’analisi dell’osservatorio

Qualche esempio, in base all’analisi dell’Osservatorio Tariffe di SOStariffe.it e Segugio.it: per la telefonia mobile Tim chiede ai propri clienti 2 euro in più al mese, WindTre 2 euro in più, Poste Mobile un euro in più; per la telefonia fissa Fastweb ha introdotto tariffe fino a 5 euro in più al mese, Tim 2 euro in più, Vodafone 1,99 euro in più. Tim e WindTre sono le prime compagnie ad aver sperimentato la nuova modulazione delle tariffe indicizzate all’inflazione, ma nel 2024 le tariffe legate al carovita potrebbero diventare il criterio puntuale di riferimento, con un aggiornamento annuale del canone mensile che segue appunto l’andamento dell’inflazione. E un cavillo di cui tener conto: l’incremento sarebbe definito parte integrante delle condizioni contrattuali e quindi non attribuirebbe il diritto di recesso per i clienti.

Busi: le modifiche preoccupano

Come avvenne quattro anni fa con i rinnovi delle bollette ogni 28 giorni e non ogni mese, tutte le compagnie potrebbero uniformarsi agli aumenti. Mina Busi, presidente di Adiconsum Bergamo, invita a una riflessione: «Le modifiche delle condizioni contrattuali preoccupano, stiamo ricevendo da qualche mese segnalazioni. Già in passato le principali compagnie telefoniche avevano incrementato di qualche euro i costi dei vari piani tariffari, ma la nuova frontiera escogitata riguarda l’adeguamento delle tariffe di telefonia fissa e mobile ai tassi di inflazione. Le aziende di telecomunicazione stanno cercando quindi di garantirsi la possibilità, dal 1° gennaio 2024, di modificare in qualsiasi momento le tariffe applicate ai loro servizi, adeguandoli al tasso annuale di inflazione Istat, con un incremento minimo fisso del 3,5% o del 5%. Insomma, aumenti automatici - aggiunge Busi -. Chi sta per passare ora a una delle compagnie nuova o sta per firmare un nuovo contratto, dovrà fare molta attenzione a scegliere una proposta che non preveda l’adeguamento Istat. Si raccomanda quindi di leggere attentamente il contratto che si stipula con la compagnia telefonica. Il cliente deve essere avvisato 30 giorni prima dell’aumento delle tariffe telefoniche. Infatti, se l’utente non vuole accettare, il recesso dal contratto non ha alcun costo. Il rischio reale è che anche le altre società di telefonia si allineino creando un cartello con aumenti generalizzati».

Perria: più difficile disdire

Per Christian Perria, presidente di Federconsumatori Bergamo, non ci sono dubbi: «La decisione di indicizzare all’inflazione le tariffe di telefonia è da ritenersi penalizzante per il consumatore in quanto limita fortemente la sua possibilità di disdire senza costi il contratto. L’inserimento di queste nuove clausole di adeguamento tariffario non permetterebbe all’utente di poter esercitare il recesso per modifica contrattuale al verificarsi dell’aumento, quindi impedendogli di uscire dal contratto senza costi, come invece prevedono le attuali rimodulazioni tariffarie: l’articolo 70, comma 4, del Codice delle telecomunicazioni consente ai gestori di procedere a una modifica unilaterale delle condizioni tariffarie, avendo però l’obbligo di comunicare con congruo preavviso agli utenti la possibilità di recedere dal contratto senza penali, qualora non trovassero convenienti le nuove condizioni. Il rischio di questa novità è quello di rivivere quanto accaduto qualche anno fa con la fatturazione a 28 giorni, con le aziende del settore che decisero una forzatura per massimizzare il più possibile i profitti, senza considerare i diritti della clientela. Sulla tormentata vicenda della periodicità delle bollette le compagnie sono state costrette a tornare sui propri passi, tuttavia con un calvario dei clienti per ottenere i rimborsi».

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