«Io, in Lolita Lobosco il fruttivendolo over 60 sorpreso dall’amore»

L’INTERVISTA. L’attore bergamasco da lunedì 4 marzo su Rai1 nella terza stagione della fiction: «Il mio personaggio ha sbagliato in passato, ma si è redento ed è riuscito a dare a sé stesso una seconda possibilità. Sul set nessuno fa il divo, tanto rispetto».

La terza stagione de «Le Indagini di Lolita Lobosco» andrà in onda da lunedì 4 marzo su Raiuno alle 21.25, per quattro prime serate, e ha tutte le carte in regola per fare ascolti record come le precedenti. La serie è tratta liberamente dai romanzi di Gabriella Genisi (che a sua volta si è ispirata a quelli sul commissario Montalbano) e vede Luisa Ranieri interpretare un vicequestore che, dopo vari anni al Nord, torna a lavorare nella sua amata Bari, trovandosi a capo di una squadra di soli uomini.

Renato De Maria subentra a Luca Miniero in cabina di regia ma, per il resto, vale il sempiterno «squadra che vince non si cambia» e così, nel cast, ritroviamo il bergamasco Maurizio Donadoni, ancora una volta nei panni di Trifone, il compagno della mamma di Lolita.

Originario delle Ghiaie di Bonate Sopra, Donadoni ha una lunga e prestigiosa carriera di attore teatrale e cinematografico, ma anche una popolarità televisiva nata grazie a ruoli di rilievo in fiction televisive di conclamato successo, ultima delle quali «La lunga notte», andata in onda a gennaio su Rai Uno. L’abbiamo intervistato in attesa della prima puntata dal titolo «Volo pindarico».

Cominciamo dalla fine, ossia dal risultato trionfale in termini di ascolti. «Lolita Lobosco» è una delle fiction Rai più viste degli ultimi anni. Perché secondo lei?

«Secondo me perché ha la caratteristica di non essere mai pesante. Ogni comparto tecnico o artistico brilla per piacevolezza. La vivacità dell’insieme, l’essere una serie piena di colori, girata d’estate e messa in onda a inizio primavera fa sì che metta addosso la voglia di mare e di sole. Ma soprattutto mi sembra un prodotto capace di stare saldamente in equilibrio tra modernità e tradizione, come se avesse un piede in questo secolo e uno in quello precedente. Ci sono tratti contemporanei ma anche un garbo, un modo di vivere gentile che sembrano appartenere più al passato che non all’oggi. Questo equilibrio dialettico si trova anche nella caratterizzazione dei personaggi, ognuno dei quali presenta caratteristiche contraddittorie; la stessa protagonista del resto è una donna moderna e indipendente eppure con delle fragilità a livello di vita privata. Probabilmente il pubblico si riconosce in tutto questo».

Anche la coralità dei personaggi è particolarmente armoniosa.

«Sì, i personaggi coesistono con naturalezza. Questo è anche merito di Luisa, dei registi; nessuno fa il divo; c’è molto rispetto tra colleghi, ci si fida dell’altro. Non è un lavoro individuale ma collettivo, ognuno sa di essere parte di qualcosa e non c’è traccia di arrivismo personale. È importante perché ha per risultato che il racconto sia il vero protagonista».

Lei interpreta Trifone, un amichevole fruttivendolo che il pubblico ha imparato ad amare.

«Si tratta di un uomo a cui viene spontaneo vivere una vita semplice; certo, è uno che ha sbagliato in passato, ma si è redento ed è riuscito a dare a sé stesso, non senza fatica, una seconda possibilità. E poi è un personaggio che viene sorpreso dall’amore dopo i sessanta, come a dire che anche il secondo tempo del film dell’esistenza può regalare inaspettati e felici colpi di scena. L’innamoramento, quando arriva a una certa età, è al contempo vibrante e commovente».

Lei è un attore shakesperiano di grande spessore. «Le indagini di Lolita Lobosco» si presenta invece come un prodotto dalla narrazione dinamica, pieno di svolte curiose e spunti divertenti; è corretto pensare che questa fiction costituisca una boccata d’ossigeno anche per lei?

«Sì, io lo dico sempre: è meglio fare in successione delle cose che siano l’una l’antitesi dell’altra. Ma potremmo anche dire l’antidoto. Mi spiego. Interpretare Otello, Iago, oppure Aiace, non è una passeggiata; sono ruoli forti, che assorbono completamente e non si riesce a sostenerli a lungo con continuità. Bisogna cambiare registro. Il segreto del ritmo è cambiare la velocità. A volte prendi parte a opere molto profonde scritte da Sofocle o Eschilo e la tua capacità come attore deve essere di portare in superficie, visibile, quella buia profondità. Altre volte invece fai il contrario: hai una superficie limpida, assolata e crei tu il riflesso atto a mostrare che possegga anche una profondità inaspettata, proprio come in questa fiction».

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