Lab 80, mezzo secolo di emozioni vissute sul grande schermo

ANNIVERSARI. La cooperativa oggi è divenuta un punto di riferimento del cinema d’autore. Il presidente Signorelli: nel 1956 volevamo portare nuova cultura cinematografica proponendo autori poco noti e opere dai festival internazionali.

Cinquant’anni fa, nasceva Lab 80 Film come erede dell’esperienza del Cineforum di Bergamo attivo dal 1956, con l’obiettivo di portare sul grande schermo film rari e autori poco conosciuti. Da allora, la cooperativa cinematografica bergamasca è diventata un punto di riferimento per la distribuzione del cinema d’autore, nella produzione e nella didattica, promuovendo autori emergenti e la riscoperta dei grandi classici, gestendo un archivio con oltre 300 titoli e alcune delle principali sale cittadine: Lo Schermo Bianco a Daste (via Daste e Spalenga), la Sala dell’Orologio e l’Auditorium presso CULT! (Piazza della Libertà). Nel 2026 Lab 80 celebra un percorso iniziato nel 1976 e lo fa con una serie di iniziative che inizieranno con un evento il 30 dicembre. La sua storia è un viaggio nella diffusione del cinema come strumento di conoscenza, sperimentazione, relazione con il pubblico, scoperte e passione per il grande schermo, portato avanti dal suo presidente, Angelo Signorelli, 75 anni, unico fondatore ancora attivo della realtà culturale storica della città.

Cinquant’anni di Laboratorio 80... come si sente a guardare indietro?

«È una grande soddisfazione. La cosa che mi emoziona di più è vedere che quell’attività iniziata allora, con pochissimi mezzi e tanta passione, non si è affatto esaurita. Anzi, continua a crescere e a trovare nuovi spazi, soprattutto in un settore, quello dell’audiovisivo, che oggi attraversa fasi complicate e molto confuse non tanto per l’avvento e la presenza sempre più decisiva delle piattaforme, ma per il poco sostegno all’industria cinematografica italiana, soprattutto alle sale, a differenza di ciò che succede in altri paesi europei».

Ripercorriamo le origini: cosa vi spinse a fondare Lab 80?

«La nostra non era solo la voglia di fare qualcosa di alternativo. Negli anni Settanta “alternativo” aveva connotazioni fortemente politiche, e certo il contesto contava: l’Italia era attraversata da conflitti sociali e terrorismo, la censura influenzava la cultura. Ma il nostro obiettivo era più ampio: volevamo contrastare il conformismo, rompere la rigidità del mercato e portare nuova cultura cinematografica a Bergamo. Ci interessava il cinema militante, le nuove wave europee, la cultura off legata ai diritti delle minoranze e allo scardinamento dei valori borghesi. Leggevamo Foucault, Deleuze, Derrida, McLuhan... eravamo convinti che il cinema fosse uno strumento di potere e manipolazione, e che bisognasse liberarsene insieme al pubblico».

Il pubblico rispose come vi aspettavate?

«Sorprendentemente sì. Il Cineforum, che aveva già preso il nome di Lab80, aveva più di cinquemila iscritti e la sala dell’Auditorium era sempre piena. La gente veniva a vedere film provocatori, europei e americani, indipendenti, opere che a Bergamo non sarebbero mai arrivate. Era un modo per affrontare la durezza della realtà, un modo per vivere la cultura come esperienza condivisa».

Com’era allora la distribuzione cinematografica allora?

«All’inizio il mercato italiano era dominato da film italiani o al massimo francesi. Noi volevamo portare ciò che si vedeva nei grandi festival internazionali – come di Cannes o di Berlino – ma che nessuno acquistava per l’Italia: film dall’Est, dal Nord Europa, dall’Estremo Oriente. La nostra prima grande sfida fu “L’uomo di marmo” di Andrei Wajda, figura di punta del cinema polacco. Era un film monumentale, politicamente delicato, ma non avevamo le risorse per distribuirlo pienamente, così dovemmo cederlo ad altri. Fu un’esperienza che ci insegnò quanto fosse difficile operare da provincia, ma anche quanto fosse importante la passione e l’ostinazione».

Da allora non vi siete più fermati e avete puntato su registi come Wajda, Wojciech Has (con il famoso «Il manoscritto trovato a Saragozza»), Wim Wenders, Rainer Werner Fassbinder, Roman Polanski...

«Esatto. Abbiamo continuato a cercare film di autori poco conosciuti in Italia, in versione originale e sottotitolata, come film ungheresi, giapponesi, tedeschi, italiani emergenti. Ci rivolgevamo a cineclub e associazioni culturali: erano loro a garantire un pubblico pronto ad accogliere proposte rischiose, fuori dal mercato commerciale. Poi arrivarono le retrospettive sui classici, i capolavori del cinema americano... eravamo convinti che un cinema “altro” potesse educare, formare uno spettatore più attento e critico».

E il pubblico di Bergamo come ha reagito a questi progetti?

«Con entusiasmo. Gli spettatori erano curiosi, aperti, pronti a discutere. Il cuore di Lab80 oggi resta lo stesso: offrire cinema di qualità, raro e stimolante, per far crescere una comunità di spettatori consapevoli. E siamo felici di vedere come i giovani stiano riscoprendo l’amore per il cinema grazie ai classici che portiamo in sala e che vedono spesso per la prima volta: vedere un film su pellicola, davanti a uno schermo vero, è un’esperienza totalmente diversa dal digitale. Le emozioni sono più vive, la concentrazione maggiore. Questo tipo di esperienza genera una comunità di spettatori fidelizzati, curiosi, appassionati»,

Ha un film preferito tra quelli che ha distribuito?

«No, non potrei sceglierne uno solo. Ogni film ha il suo valore, ogni volta che lo rivedo scopro qualcosa di nuovo, proprio come succede con i grandi classici della letteratura. Tutti hanno contribuito a costruire la mia storia e quella di Lab80».

Come vede i prossimi cinquant’anni?

«Andiamo avanti con la stessa passione. Vogliamo continuare a scoprire autori e film, portare cultura cinematografica sul territorio e mantenere viva la comunità di spettatori. Il cinema resta un giacimento inesauribile di emozioni e conoscenza: ogni proiezione è un’occasione per imparare, riflettere, crescere. Se continueremo così, i prossimi cinquant’anni saranno altrettanto entusiasmanti».

Il primo evento

Martedì 30 dicembre, alle 21 all’Auditorium CULT! in Piazza Libertà, la cooperativa cinematografica bergamasca inaugurerà il percorso celebrativo con la proiezione di «Sciopero!» (1925), capolavoro del cinema muto di Sergej M. Ėjzenštejn, accompagnato da una sonorizzazione dal vivo a cura di Laura Agnusdei, Jacopo Battaglia, Luca Cavina, Giuseppe Franchellucci, Ramon Moro, Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti.

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