Capro espiatorio, mito ancestrale ancor oggi attivo nella vita sociale

Il libro. Stefano Tomelleri raccoglie l’eredità di René Girard. Ora presiede l’Associazione Italiana di Sociologia.

Così è scritto nel libro del Levitico (16, 20-22): «Quando [il sacerdote] avrà finito di fare l’espiazione per il santuario, per la tenda di convegno e per l’altare, farà avvicinare il capro vivo. Aaronne poserà tutte e due le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di lui tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo che ha questo incarico, lo manderà via nel deserto. Quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in una regione solitaria; esso sarà lasciato andare nel deserto».

Da questo passo e dalle sue molteplici interpretazioni nel corso della storia, nasce l’istituto religioso del «capro espiatorio», che in epoca moderna diviene un meccanismo di esclusione sociale che legittima la violenza verso minoranze. In scala ridotta, tutti abbiamo visto o vissuto direttamente l’emarginazione del ragazzino troppo sovrappeso, la sottile azione persecutoria ai danni della compagna di classe secchiona con i brufoli e gli occhiali spessi, l’individuazione del membro antipatico del gruppo su cui poter riversare le proprie frustrazioni...

A queste tematiche è dedicato un filone di studi che nell’ultimo mezzo secolo è andato sempre più crescendo, soprattutto grazie all’opera di un grande studioso, il francese René Girard (1923-2015).

In Italia l’eredità di questo pioniere è stata raccolta da diverse discipline, in particolare a Stefano Tomelleri, docente di Sociologia generale all’Università di Bergamo (e da poco eletto presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia) si deve l’originale intuizione di applicare questo metodo di ricerca alla sociologia e allo studio dei modi in cui gli esseri umani si organizzano nella vita quotidiana.

«Il capro espiatorio. Usi strategici della violenza» di Tomelleri, appena uscito per Utet, è quello che si può definire «il libro di una vita». Il lavoro si apre infatti con un’intervista che lo stesso studioso fece, quasi trent’anni fa, a René Girard, che conobbe nel corso di un soggiorno all’Università di Stanford, California. Tutta la ricerca di Tomelleri è stata ed è nell’alveo tracciato da Girard, e il titolo del libro è marcatamente girardiano (lo stesso Girard aveva pubblicato un libro omonimo nel 1982); ma non di plagio si tratta, quanto di ironico omaggio al maestro della «teoria mimetica», che fece appunto dell’imitazione la pratica umana e sociale per eccellenza.

In che cosa consiste in sintesi la teoria mimetica? Gli esseri umani stanno insieme grazie a una coesione sociale, che è il desiderio (di un bene, di ricchezza, di una vita felice, di amore…); esso è dunque il legame che costituisce i gruppi sociali.

All’interno di questi gruppi si distinguono alcune persone che possiedono l’oggetto: non importa se ciò sia vero o no, l’importante è che tutti gli altri ne siano convinti, e che siano anche convinti che l’unico motivo per cui non riescono a possedere ciò che desiderano sia il fatto che il primo gruppo lo tenga tutto per sé. La triangolazione mimetica del desiderio, secondo lo schema di Girard, produce una crisi insostenibile nel gruppo, che porta al sacrificio: questo è il nucleo del meccanismo vittimario noto con la formula «capro espiatorio».

L’origine ancestrale, che l’antropologia classica ha riscontrato in moltissimi miti e che lo stesso Girard ha contribuito a diffondere e a interpretare, rende questo modo di organizzare la vita sociale qualcosa di apparentemente lontano dalla vita ordinaria.

Il merito del lavoro di Tomelleri, e la sua attualità, sta nel fatto che toglie la patina di sacralità e di antichità intoccabile a queste dinamiche, e le mostra vive e operanti nel mondo contemporaneo; illuminante in tal senso il capitolo dedicato a Donald Trump.

Soltanto la consapevolezza di queste strategie può aiutare a combattere una violenza che dilaga non soltanto nei teatri di guerra, ma nei fori interiori di ciascuno di noi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA