Generosità, vocazione: tre sguardi sulla maternità

TENDENZE. La maternità ha molti volti. Può essere pazienza, sacrificio, dedizione, oppure tenerezza intermittente, rifiuto e solitudine, ma anche il gesto antico di mani che aiutano a nascere.

Tre romanzi la raccontano da angolature diverse, come se ognuno ne avesse intrappolato un frammento.
Ne «Il mestiere di mia madre» (Piemme), Costanza Ghezzi intreccia il destino di Lucetta e di sua figlia Flaminia. Una madre che appare e scompare come una cometa: bellissima, sfuggente, capace di un amore che brucia in un’ora e poi si dissolve in assenza. Una figlia che resta in attesa, con lo sguardo mite e smarrito di chi non sa ancora se perdonare o rimproverare. Sullo sfondo, la Sicilia ruvida e Roma nel dopoguerra.

Con «La disobbediente» (Marsilio), Mavie Da Ponte dà voce a una generazione che cova semi di ribellione. Monda rifiuta la maternità biologica e con essa l’idea che una donna nasca per generare. Ma nel vuoto lasciato dal rifiuto nasce un’altra possibilità: essere madre senza figli, prendersi cura al di là del sangue.

Ne «La levatrice» (Nord), infine, Bibbiana Cau ci porta in una Sardegna d’inizio Novecento, dove il maestrale soffia tra le case di un paese di mare. Mallena, levatrice senza titolo, custodisce il sapere antico tramandato dalla madre, e con le sue mani difende il futuro delle donne più umili. Accanto a lei arriva Angelica, giovane ostetrica diplomata venuta dal continente: anch’essa in lotta per affermare la propria libertà. Si scoprono unite dal compito di dare voce a chi non ne ha. Tre libri che non parlano di «maternità» come di un destino obbligato, ma come di istinto, vocazione, generosità, passaggio interiore: irregolare, luminoso e fragile, in cui ogni donna lascia la propria impronta.

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