
(Foto di Agazzi)
LA RECENSIONE. Lo scrittore Longo ha presentato «La donna della mansarda» il sesto della serie. In preparazione una serie di sei puntate per Sky.
Era stato al Circolino, a fine marzo 2024, per presentare il quinto romanzo, «Requiem di provincia», della «saga» di Bramard e Arcadipane. Giovedì sera, Davide Longo è tornato nella Sala Civica del locale di vicolo Sant’Agata per presentare il successivo e sesto libro della serie, appena uscito per Einaudi: «La donna della mansarda». A dialogare con lui, come allora, Dino Nikpalj, vicepresidente della Cooperativa Città Alta, che ha organizzato l’incontro.
«In quest’ultimo libro a Bramard succede una cosa che non gli era mai accaduta», anticipa l’autore, già vincitore nel 2005 della XXI edizione del Premio Nazionale Narrativa Bergamo con «Il mangiatore di pietre»: si trova alle prese con una sorta di innamoramento. Lato suo molto dolente, segnato da un passato molto doloroso» (un serial killer, molti anni prima, ha rapito e ucciso la moglie Michelle). E però questa volta, pur molto lentamente, «un poco si scioglie».
La storia
Tutta l’inchiesta comincia a metà di giugno, in coincidenza con l’ultimo giorno di scuola di Bramard: nel senso che è l’ultimo giorno della sua carriera di insegnante in una scuola superiore di provincia. Per evitare cerimonie e congedi imbarazzanti, «aspetta in classe che se ne vadano tutti i colleghi. Poi scende in sala insegnanti e lì trova una bella donna che lo sta cercando»: non ha a che fare con la scuola, è una gallerista, agente e confidente di un’artista di fama mondiale. Tina, questo il suo nome, «ha sempre avuto una vita ritirata, da dieci anni si era chiusa in una mansarda - da cui il titolo del libro - dalla quale non usciva mai. Da un anno è scomparsa. Muriel le manda dei messaggi, ma lei non risponde. Molto strano. Muriel si preoccupa, chiama la polizia che comincia a indagare, mossa dalla notorietà del personaggio. Ma non ci sono tracce di violenza, e Tina ha portato con sé dei soldi»: tutto congiura a far pensare ad un caso di allontanamento volontario. Muriel, tuttavia, resta convinta che sia successo qualcosa di brutto, «va da Bramard e gli chiede di indagare su questa scomparsa». Questo l’abbrivio del sesto titolo della serie. Quanti ce ne saranno ancora? «Arriverò, in tutto, a nove, massimo dieci episodi. Ho firmato un contratto per altri tre libri con Bramard, e uno per un altro libro extra saga. Dati i miei tempi di scrittura, ci metterò otto anni. Ora ne ho 53: avrò superato i sessanta, con loro ne avrò trascorsi quasi venti. A quel punto o sarò pronto ad affrontare nuovi personaggi e avventure, oppure… basta». Nikpalj: «Devono morire, alla fine della serie?». «No. Non riesco a immaginare il loro commiato, ma non credo sia quello il loro modo di uscire di scena». Per i due protagonisti, però, è in preparazione un futuro televisivo: «Stiamo scrivendo una serie tratta da Bramard e Arcadipane», informa Longo. «Sei puntate con Sky. Finiremo di scrivere a settembre-ottobre, verrà girata a fine 2025. Se e quando uscirà di preciso non si sa. Tanti progetti magari si interrompono, o non vanno mai in produzione».
«Quello che sta succedendo «non solo nelle serie tv, ma anche nei libri, è che si producono oggetti sempre più semplici e meno sfidanti per la mente del lettore/spettatore. Siamo diventati più stupidi perché ci nutriamo di oggetti troppo semplici»
Il rapporto con la serialità televisiva induce a una riflessione sulla qualità media del prodotto offerto, in ambito televisivo, letterario e non solo: «Le storie hanno un compito a cui stanno venendo meno. Quello di allenare la mente ad accettare la complessità, l’assenza di riposte su tante questioni. Devono essere sempre un po’ sfidanti, spingere a usare più elasticità», ad assumere che «ci sono cose che non si capiscono». Quello che sta succedendo «non solo nelle serie tv, ma anche nei libri, è che si producono oggetti sempre più semplici e meno sfidanti per la mente del lettore/spettatore. Siamo diventati più stupidi perché ci nutriamo di oggetti troppo semplici». Usciamo da lettura o visione «troppo simili a come eravamo. Il modello per me è l’Italia anni Cinquanta e Sessanta, quella di Pasolini, Antonioni, Monicelli, Dino Risi. Con «Il sorpasso» ti diverti, ma a livelli di complessità che fa crescere. I loro sono film ricchi e molto sfaccettati. Noi che facciamo gialli dobbiamo produrre oggetti di intrattenimento ma capaci di restituire, insieme, una complessità che nutra la mente, che faccia sentire la palpitazione umana di una storia».
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