Un mistero a Pompei all’ombra degli scavi, il nuovo romanzo di Paolo Aresi

Libri. «Lunga notte al tempio», il nuovo romanzo del giornalista bergamasco, sarà presentato sabato 18 marzo alla libreria Mondadori. L’intervista all’autore.

È uscito recentemente «Lunga notte al tempio», nuovo romanzo di Paolo Aresi, scrittore e giornalista bergamasco, edito da Mondadori nel circuito Mondolibri-Bookclub, romanzo che sarà presentato sabato 18 marzo, dalle 16.30 alle 18.30, nella libreria Mondadori di via San Bernardino 29. Abbiamo incontrato l’autore.

Questo, per una volta, non è un romanzo di fantascienza.

«No, questo è un romanzo giallo, sebbene ci siano aspetti da “narrativa dell’insolito”, elementi diciamo esoterici, legati al cuore della storia, che presenta aspetti legati al mondo dell’archeologia».

Il romanzo è ambientato a Pompei.

«Sì, a Pompei, tra gli scavi archeologici e la cittadina moderna. Protagonista è una giovane giornalista, che dirige la piccola redazione pompeiana de “Il Mattino” di Napoli. Siamo nella terribile estate del 1992, quella delle stragi in cui morirono Falcone e Borsellino».

Che cosa succede?

«Il meccanismo è quello del giallo classico, il romanzo si apre con la scoperta di un cadavere, di un uomo assassinato. Soltanto che il cadavere è stato trovato nel Foro dell’antica Pompei, davanti alla basilica e l’omicidio è stato perpetrato secondo un rituale. Scattano le indagini. In apparenza non è il solito omicidio della malavita organizzata, ma potrebbe anche essere un camuffamento… Indaga il commissario di Pompei, ma anche la giornalista avvia le sue indagini. Nelle pagine cerco di dare vita a quel mondo, un mondo napoletano, pieno di colore, di vita, di rabbia».

Perché proprio Pompei?

«La conosco bene, ci ho trascorso una parte della mia vita, mia madre è nata lì. Gli scavi archeologici mi hanno sempre appassionato, la città dissepolta è in se stessa un grande mistero».

Un grande mistero?

«Il destino di Pompei è molto particolare. Era una città dove si viveva benissimo, le cronache del tempo e i ritrovamenti fanno pensare a un luogo fortunato dove anche gli schiavi godevano di condizioni di vita elevate. Non mancava niente, palestre, terme, botteghe di ogni genere, ville. Pompei era considerata la città dell’amore, Venere era la sua dea di riferimento. Il Vesuvio era un bel monte coperto di foreste dove i Romani andavano a caccia di cinghiali. E poi in quel giorno di agosto del 79 dopo Cristo succede il cataclisma, il Vesuvio scatena la sua rabbia trattenuta per secoli, esplode, lancia gas incandescenti e cenere, lapilli. Muoiono migliaia di pompeiani, la città viene sepolta dalla cenere, la vita finisce. Persino il ricordo della città scompare, nessuno sa più dove si trovava l’antica Pompei. Fino ai ritrovamenti del 1748, fino alla decisione del re Carlo III di Borbone di avviare gli scavi in modo sistematico. Ma c’è un particolare interessante».

Sarebbe?

«Il valore delle parole, dei toponimi. Mi spiego. Là dove esisteva l’antica Pompei, nei secoli erano stati costruiti alcuni, pochi, cascinali, la terra veniva coltivata da pochi agricoltori. Ma quella zona veniva chiamata, in maniera paradossale, Civita, cioè città. Il nome conservava in sé la traccia, il ricordo della città dimenticata, che stava sepolta sotto i campi… affascinante, no?».

È stato facile scrivere questo romanzo?

«No, per niente. Si figuri che la prima versione è del 1998. L’ho interamente riscritto per sei volte, mantenendo la stessa trama e buona parte dei personaggi, ma agendo sulle situazioni, sui diversi aspetti dei personaggi, modificandoli e inserendo anche differenti relazioni fra loro, immaginando scene diverse… La protagonista donna in origine non c’era, per esempio. È facile scrivere un romanzo, tutto sommato. È difficile scrivere un buon romanzo».

Perché ha lasciato la fantascienza?

«Non l’ho lasciata, solo che mi piace esplorare anche altri generi narrativi. In passato ho scritto altri romanzi non di fantascienza, per esempio “Toshi si sveglia nel cuore della notte” e “Ho pedalato fino alle stelle”. Ma anche “La vita a pedali”, ispirato all’infanzia di Felice Gimondi».

Qualcosa accomuna la fantascienza al giallo?

«Certo, il senso del mistero, che poi, a mio avviso, è quello che sta in fondo a tutta la nostra realtà, che la permea: lo scorrere del tempo è un mistero, definire l’attimo presente è impossibile, siamo immersi in un grande enigma. Nella fantascienza ci si imbatte sempre in qualche mistero che poi viene spiegato, rivelato, alla luce dell’agire dei personaggi e delle capacità della scienza e della tecnologia. C’è sempre un’indagine. Il giallo non è molto diverso, alla base c’è un enigma, spesso legato a uno o più omicidi e nel romanzo l’enigma viene indagato e, di solito, risolto… Poi tra i due generi ci sono differenze, certo, nella fantascienza l’immaginario deve risultare potente, deve creare sovente un mondo che ancora non c’è, che è futuro. Il giallo invece di norma si muove nel presente o nel passato, in un mondo e in una cultura che ben si conoscono».

Quindi ora tornerà alla fantascienza?

«Di sicuro. Ma sto anche pensando a un nuovo romanzo con gli stessi personaggi e la stessa ambientazione. Un nuovo mistero da risolvere a Pompei».

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