Viaggio in versi tra il dolore e la speranza

LA STORIA. «Esploda il respiro che rimane» di Sole Fontanella, medico e poetessa, viene presentato in città il 4 aprile.

«Esploda il respiro che rimane» è il secondo libro di poesie di Sole Fontanella, edito dalla casa editrice bergamasca Ikonos, che verrà pubblicato il 4 aprile. Lo stesso giorno, alle ore 18, l’autrice lo presenterà al pubblico, dialogando con il giornalista e poeta Luca Barachetti alla libreria Incrocio Quarenghi di Bergamo (via Quarenghi, 32).

A sei anni dall’esordio «Outis - da qui nessuno se ne andrà», e dopo una lavorazione di tre anni, Fontanella – che lavora come medico di Pronto Soccorso all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – torna con un libro suo sin dalla copertina (un quadro della stessa autrice); un volume dal titolo forte, musicale, che è programmatico quanto un’insegna affissa sopra una porta: un endecasillabo mancato per una sinalefe che lo fa decasillabo intercostale, come sono intercostali tante delle poesie del libro.

Seguendo un filo inevitabile, che attraversa tutta la storia della Letteratura, «Esploda il respiro che rimane» (Ikonos Editore) è un corpo a corpo con il dolore e la morte, visti e vissuti a causa della professione dell’autrice. Uno scontro fra malattia e coscienza, espresso in versi che portano (tragicamente, ma anche vitalisticamente) la morte nella vita, gettando la prima nella seconda: «Quel che vedo è un fiorire / nonostante / un grido prima di morire, finalmente / provo tutto / nel denso impatto / nel lutto / nella vita e il suo ricatto».

Pagina dopo pagina, il libro narra tra i versi di una crescita e una maturazione psicologica di fronte alla sofferenza, che non diventa abitudine o cinismo, ma incarnazione di tecnicismi che perdono la loro freddezza di numeri e tassonomie per addetti ai lavori e diventano carne viva, mescolandosi a forme liriche moderne con incisiva densità: «Che cosa succede? / Mi prende il dolore nel fianco, sgronda il mio sangue fuori dai vasi, attorno al surrene».

Dunque, l’osservazione – trafiggente e implacabile – non è solo quella clinica: diviene invece sguardo intenso sul deperimento dell’essere umano, presa d’atto di una condizione esistenziale che trabocca dalle pareti dell’ospedale e si fa status quotidiano, slancio cosmico, a cui viene contrapposta la vita, come una confessione franca e a suo modo dolce («Non voglio con te paradiso. Voglio una casa»), o come un fuoco che s’infiamma qua e là: «Vorrei vederti fuoco:/ rendici cenere, cancella ciò che resta / della nostra cosiddetta coscienza».

Nel suo muoversi palpitante e musicale, fra rime interne, magnetiche concrezioni lessicali – la Storia, «(acufene rimosso)» – e riferimenti decisivi (Anedda, Plath, Achmatova), «Esploda il respiro che rimane» è l’epifania di come consapevolezza e arte si possano interfacciare con la morte, evitando certa stanca retorica della memoria. Sole Fontanella incide le sue parole nell’angoscia della Fine, che i recenti fatti di cronaca ci hanno fatto provare (ma nel libro non compare mai la parola «covid»), e lo fa dentro il (nostro) tempo. Che è flusso maestoso (frequente la parola «era» o «ere») ma anche sintomo della nostra caducità («Ed un’era, come suole, / si concluse»). In fondo, se la poesia serve ancora a qualcosa, è a questo che serve: a rimisurare la nostra vita pagina dopo pagina, a rifondarne il respiro nel ritmo dei versi e tenere stretto giorno dopo giorno ciò che (sempre meno) rimane.

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