Bergamo Brescia 2023, lo chef Chicco Cerea: «Sulla tavola non ho visto tanta coesione»

L’INTERVISTA. Per lo chef stellato l’occasione va sfruttata meglio. «Di bresciano metterei in menu la gallina bollita»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con «Il Giornale di Brescia» e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a «Il Giornale di Brescia»: il link in fondo all’intervista.

Con Chicco Cerea, chef del ristorante «Da Vittorio» di Brusaporto – tre stelle Michelin, uno dei pilastri della ristorazione italiana –, proviamo a mettere subito un po’ di pepe tra Bergamo e Brescia che, nonostante i «proclami» di fratellanza di questo 2023 che le vede insieme Capitale Italiana della Cultura, una certa rivalità a tavola non l’hanno mai nascosta.

Diciamolo subito, i casoncelli veri sono bergamaschi o bresciani?

«In verità li abbiamo entrambi, ma i nostri sono più buoni».

Che differenza c’è?

«A parte la forma, non vedo grandi differenze. Dopotutto anche noi bergamaschi utilizziamo ricette diverse: c’è chi nel ripieno mette l’uvetta e chi la pera, chi mette l’uovo nell’impasto e chi no. Una ricetta “tradizionale” è stata codificata, ma nessuno la segue perché tutti si rifanno a come li preparavano le mamme o le nonne di famiglia».

Casoncelli a parte, esiste davvero una rivalità tra la cucina bergamasca e quella bresciana?

«Io non parlerei di rivalità, piuttosto di tradizioni e di culture diverse. Loro, per esempio, hanno la cultura dello spiedo, che a noi manca, noi bergamaschi abbiamo invece una tradizione più solida per brasati e stufati».

C’è una ricetta bresciana che, secondo lei, potrebbe entrare nel menu di qualche ristorante bergamasco?

«Direi la gallina bollita, che cucinano soprattutto nelle feste e ai matrimoni. È senz’altro qualcosa che apprezzeremmo anche noi bergamaschi, perché non abbiamo questa tradizione».

Sei mesi di Capitale della Cultura: è stato fatto abbastanza per l’enogastronomia?

«Potevamo essere un po’ più brillanti. Forse in autunno ci sarà qualche evento, ma non vedo ancora nulla all’orizzonte, e soprattutto sto notando che nessuno dei miei colleghi - che come me lavorano tanto per far arrivare la gente da ogni dove - è stato coinvolto. Non vedo coesione: sono stati chiamati in causa i pasticcieri per la preparazione di un dolce, ma non mi pare di notare un gran fermento. Avevano chiesto anche a me, poi non se n’è fatto più nulla».

Cosa si poteva fare?

«Penso a qualche manifestazione di piazza capace di coinvolgere di più anche le persone. Si potevano promuovere delle serate sul Sentierone o in piazza della Loggia, sulla falsariga della Cena dei Mille di Parma, con cui siamo gemellati come Città creativa Unesco per la gastronomia».

A chi è rivolta questa critica?

«Non è una critica, dico solo che avrei semplicemente fatto qualcosa di diverso. Potevamo cogliere l’occasione per promuovere le nostre cantine e nostri i caseifici, proporre la zona Valcalepio che, rispetto alla Franciacorta, è molto più bistrattata. Si sarebbe partiti svantaggiati, ma sarebbe stato un modo per far vedere che c’è anche la Valcalepio. E non parliamo dei ristoranti: potevamo organizzare iniziative periodiche con una stessa promozione. Forse si è partiti un po’ tardi, ma c’è ancora tempo per recuperare in autunno».

Si può immaginare una collaborazione tra Bergamo e Brescia nella ristorazione, anche dopo la Capitale?

«Non lo so. Quando parlo con i miei colleghi, molti si considerano concorrenti gli uni degli altri, ma non è così. Un turista non può andare tutte le sere a mangiare nello stesso ristorante. Sarebbe fantastico creare dei tour enogastronomici».

Forse non siamo ancora maturi per questo passaggio.

«Bergamo e Brescia sono notoriamente terre di grandi lavoratori, che però sono un po’ chiusi. Hanno paura delle novità, ma in questo caso aprirsi potrebbe essere una bella occasione: la cultura è libertà e aiuta ad avere la mente più propensa al bene comune».

Accennava al dolce preparato per la Capitale, una sorta di connubio tra Torta del Donizetti e Bussolà. Lei quale preferisce?

«Sono due torte fantastiche, due colonne della pasticceria bresciana e bergamasca. Per questo non vedo l’ora di provare quel dolce. Non dimentichiamoci che la Torta del Donizetti è stata creata da Angelo Balzer, il nostro più grande pasticciere, nel 1948. Allora era un dolce innovativo, negli ingredienti e perché era pensato per essere trasportabile e rimanere buono per un certo un periodo di tempo; e ancora oggi rimane una torta squisita».

Lasciamoci con un consiglio, anzi due: una ricetta bresciana da abbinare al Valcalepio e una bergamasca con un Franciacorta.

«Direi un manzo all’olio da gustare con un nostro Valcalepio, e i capponcini di verza farciti con un buon Franciacorta».

Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista allo chef Stefano Cerveni pubblicata anche sull’edizione cartacea de L’Eco di Bergamo di domenica 18 giugno.

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