L’architetto Belloni: «Troppo verde può essere un rischio»

INTERVISTE ALLO SPECCHIO. L’architetto contesta un superficiale «greenwashing». «Piazza della Repubblica è da rifare. Proseguono le interviste parallele su «L’Eco di Bergamo» e «Il Giornale di Brescia».

Belloni, l’architettura è all’attenzione della città? Si sta ragionando sul futuro di Bergamo?

«Mi sembra che la sensibilità da parte della collettività sia aumentata. Ancora oggi c’è, però, un certo pregiudizio sulla modernità, rifugiarsi nella conservazione sembra, ancora ad alcuni livelli, la risposta più semplice per affrontare le sfide della trasformazione. Credo che questo sia un approccio illusorio che in fondo nasconde l’incapacità di affrontare le medesime sfide che da sempre la città affronta nel suo processo di evoluzione. Ma ci sono, per fortuna interventi che, con ottimi risultati, ci dimostrano chiaramente che uno sguardo più propositivo nei confronti del futuro è possibile, direi necessario».

Si potrebbe osare di più?

«Si, ma non è un problema dei progettisti e forse neppure di una certa volontà politica e neppure una questione di “osare” ma semplicemente di progettare, di considerare l’atto creativo come un elemento imprescindibile dell’affrontare i temi dell’architettura. Questo atteggiamento è infatti troppo spesso frustrato da una certa staticità di una serie di apparati di controllo, di vincoli di tutela, che hanno una loro profonda ragione d’essere ma che in troppi casi rappresentano un alibi e una dichiarazione di inadeguatezza».

La questione della nuova mobilità potrebbe cambiare molto l’aspetto di Bergamo?

«È un tema strategico. Alcuni esempi hanno già accompagnato l’evoluzione della città, pensiamo innanzitutto a Piazza Vecchia, poi a via XX Settembre e recentemente alla Cittadella, che sono state pedonalizzate tra mille difficoltà ma oggi rappresentano realtà irrinunciabili. Va però considerato che se il blocco alle auto libera i luoghi per favorire una maggiore fruizione di vita sociale e collettiva, un eccesso di spazi aperti senza una densità di funzioni che li circondano rischia di introdurre situazioni critiche. Penso a piazzale degli Alpini, che quando non è animato da eventi torna a essere uno spazio desolante. Che è un po’ il problema storico del centro piacentiniano, luogo di uffici e attività terziarie, che quando chiudono diventa un enorme spazio vuoto che non funziona. Alcuni problemi delle grandi urbanizzazioni del ‘900 sono nati proprio da questa perdita di densità e da uno sguardo ideologico sul tema dello spazio verde e dello spazio aperto».

Lei va controcorrente rispetto a certe parole d’ordine di oggi.

«Insegno Progettazione del paesaggio e credo che il paesaggio e il progetto dello spazio pubblico siano la chiave strategica per il disegno della città, ma oggi se nei progetti e nei rendering non si vede una grande quantità di verde, non c’è modo di renderli graditi dalla politica e alla popolazione e questo credo che sia più il risultato di un approccio superficiale e ideologico che il risultato di un reale lavoro sulla risoluzione dei problemi. Credo che questo eccesso definito “greenwashing” creerà qualche problema di gestione dello spazio pubblico».

Bergamo e Brescia sono diverse?

«Sono entrambe molto operose, dinamiche, e con una dimensione di provincia, con tutte le qualità e i limiti che questo determina. Bergamo in virtù della sua dimensione ridotta, ulteriormente sottolineata dalla divisione in Città alta e città bassa, ha però una relazione più controllata con il paesaggio, è meglio risolta, mi pare. Grandi errori urbanistici o edilizi non sono stati compiuti. Brescia a mio avviso è un territorio un po’ più compromesso proprio perché ha avuto sviluppi industriali molto più importanti, ha una periferia più estesa. Da noi il problema della periferia è limitato a situazioni molto puntuali. Ma sono entrambe città stupende che meritano di essere ulteriormente valorizzate».

Le aree su cui intervenire con più urgenza?

«Alla scala territoriale direi Porta Sud, che è stata oggetto dell’attenzione della pianificazione della città di tutti questi ultimi anni; alla scala più urbana piazza della Repubblica, dove c’è un grande vuoto: è uno spazio irrisolto, con grandi potenzialità; dovrebbe essere oggetto di un intervento di riqualificazione, che non riguarda solo un tema di cosmesi, di superficie e di arredo ma di un intervento più radicale».

L’errore da evitare?

«Fare tabula rasa nei processi di rigenerazione urbana. Troppo spesso gli ambienti industriali e postindustriali che hanno dismesso la loro funzione originaria vengono semplicemente rasi al suolo azzerando quel processo di stratificazione di storie che da sempre rappresenta la ricchezza del tessuto urbano».

Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista all’architetto Benno Albrecht pubblicata anche sull’edizione cartacea de L’Eco di Bergamo di domenica 3 settembre.

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