Delitto di via Novelli, la compagna in aula: «Mi ha guardato, due sospiri poi è morto»

Al processo Testimonia la compagna del tunisino ucciso a coltellate dal giardiniere 19enne. «L’imputato l’ha sfidato con l’arma in mano, Marwen era pacifico». Sentita a porte chiuse la figlia tredicenne.

«Quando si è alzato da terra aveva la maglietta e i pantaloncini di jeans inzuppati di sangue. Io gli ho detto: “Vieni”. Lui ha preso il sacchetto con dentro le bottiglie di birra e ha fatto qualche passo verso di me. Barcollava, non è arrivato ai gradini dove eravamo seduti prima. È stramazzato e nella caduta la bottiglia di birra s’è rotta. L’ho trascinato verso i gradini. Non riuscivo a dire nulla. Io e mia figlia (all’epoca dodicenne, ndr) ci siamo guardate. Non c’era nessuno per strada. Il mio compagno mi ha guardato, non ha detto una parola. Ha fatto due sospiri, poi basta».

Sono gli ultimi istanti di vita di Marwen Tayari, il 34enne tunisino accoltellato alle 13 dell’8 agosto scorso in via Novelli, e a raccontarli in aula è stata la compagna Eleonora Turco, 37 anni, di Terno d’Isola. Una testimonianza lucida e sofferta, interrotta da qualche lacrima che ha indotto il presidente della Corte d’assise Giovanni Petillo a sospendere per qualche minuto l’udienza. A pochi metri da lei c’era Alessandro Patelli, giardiniere di 19 anni, ora agli arresti domiciliari, che seguiva contrito - come aveva fatto nella prima udienza -, senza quasi alzare lo sguardo dal banco degli imputati. È accusato di aver sferrato sei coltellate a Tayari per futili motivi, che potrebbero intravedersi nel racconto di Eleonora Turco (il difensore Enrico Pelillo, sostiene invece che Patelli ha agito per paura, dopo che la vittima l’aveva trascinato a terra).

Il primo diverbio

«Ci siamo seduti sui gradini del palazzo dove abitava l’imputato perché io avevo mal di piedi - ha spiegato la donna, costituitasi parte civile insieme alle due figlie di 13 e 3 anni e la madre, la sorella e il fratello della vittima che vivono in Tunisia -. È arrivato il ragazzo, ha salito i gradini in modo irruento, urtando leggermente al piede la nostra figlia maggiore. “Stai attento”, gli ha urlato Marwen. L’altro aggressivo ha risposto: “Pensa te, adesso devo chiedere permesso per entrare in casa mia”. Lo ha detto pronunciando parolacce e questo ha infastidito Marwen perché c’erano anche due bambine. Si è alzato dai gradini e si è avvicinato invitandolo a usare un altro linguaggio, anche perché in fondo gli aveva solo detto di stare attento a non far male alla figlia. Glielo ha detto in modo pacifico. Poi ha aggiunto: “Comunque, vattene che è meglio”».

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A quel punto sembrava tutto risolto, perché Patelli è salito in casa e la famigliola s’è alzata per dirigersi nel negozietto pakistano a comprare birre da portare a casa. «Dopo un paio di minuti siamo stati attirati da una voce, un richiamo alle nostre spalle - ha ricordato la 37enne, sollecitata dalle domande del pm Paolo Mandurino -. Mi sono voltata: era il ragazzo in cima ai gradini, indossava un casco integrale e impugnava un coltello. “Vieni qua adesso se hai coraggio (il termine realmente usato è irriferibile, ndr). Eravamo a 3-4 metri da lui. Il mio compagno è tornato indietro. Aveva una bottiglia da 66 cl di birra nel sacchetto. Il ragazzo gli ha gridato: “Voi arabi siete capaci di fare casino solo con le bottiglie rotte”. Marwen, per fargli capire che non voleva fargli nulla di male, ha posato a terra il sacchetto con la bottiglia. Erano uno di fronte all’altro, il ragazzo teneva il coltello puntato all’altezza dell’addome del mio compagno. “Sei il doppio di me, io ho la metà dei tuoi anni, ma vuoi vedere cosa ti faccio?”, ha urlato quello. Marwen non diceva nulla. Poi quello si è abbassato la visiera del casco e ho visto il mio compagno che gli ha fatto lo sgambetto».

La colluttazione a terra

Cadono entrambi a terra, in una colluttazione che alla donna sembra esser durata poco più di un minuto. «Non dicevano nulla. Il primo a rialzarsi è stato il ragazzo». Si rialza anche il tunisino, che poi stramazzerà al suolo. «Ho provato a lavargli le ferite con un bottiglietta d’acqua e mi sono accorta che aveva un taglio all’altezza della gola e uno al cuore da cui usciva molto sangue». Un senzatetto, che la famiglia aveva conosciuto pochi minuti prima, accorre e cerca di tamponare le ferite con un giubbetto. «”Me l’hai ammazzato, ora chiamo i carabinieri”, ho urlato - è sempre il racconto di Eleonora Turco -. Lui mi ha risposto di chiamare l’ambulanza anziché i carabinieri. A un certo punto ho notato piovere dall’alto un sacchetto di rifiuti dell’umido. Ho alzato la testa e ho visto un uomo e una donna affacciati a una finestra che mi hanno detto che l’ambulanza l’avevano già chiamata loro. I carabinieri sono arrivati tempestivamente, l’ambulanza ci ha messo mezz’oretta. Poi è arrivato su una Mini Cooper quello che doveva essere il padre del ragazzo, perché s’è messo le mani sul viso e gli ha gridato: “Cosa hai combinato?”».

«Nessuna scusa dall’imputato»

«Questo fatto - ha concluso la donna - ha generato due tragedie: io e le mie figlie abbiamo subito un lutto che stiamo ancora metabolizzando, la famiglia di Patelli ha dovuto fare i conti con l’arresto di un giovane figlio. Ma in tutto questo tempo da loro non sono arrivate scuse, condoglianze né aiuti». Il giudice Petillo: «C’è sempre tempo, signora». La figlia 13enne della vittima ha testimoniato a porte chiuse, essendo minorenne, e ha ribadito le stesse cose della madre. È toccato poi al consulente informatico del pm, che ha estrapolato alcune chat dallo smartphone di Patelli. La ricerca s’è concentrata su frasi che potrebbero celare insofferenze di stampo razzistico (ma l’aggravante non è contestata). L’esperto ha trovato due volte la parola «negro», citata in quelli che potrebbero essere testi di una canzone “trap”, anche se per la difesa uno dei due pare prendere la parte delle persone di colore. E poi un messaggio a un amico in cui il 19enne si vanta: «C’era un negro che voleva pisciare sotto casa mia, ma gli ho schiarito le idee». Infine, un altro testo stile “trap” in cui si fa cenno a un «coltello a farfalla che ti sta volando intorno». Prossima udienza il 1° giugno.

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