Il lavoro, il mare, il teatro, l’aiuto agli altri: oltre i pregiudizi sul «cromosoma in più»

Pietro Bianchi. Il giovane di Grumello del Monte e la sindrome di down: una storia di forza e voglia di vivere.

Stendere sul tavolo una tovaglia stirata, disporre in ordine piatti, bicchieri e posate: sono tutti gesti che contribuiscono a creare un ambiente accogliente, eseguirli bene è un segno di attenzione. Per questo Pietro Bianchi, che lavora come cameriere per tre giorni alla settimana alla Cascina dei Filagni di Grumello del Monte, si prende cura in modo particolare dei dettagli. Tiene molto all’eleganza, e quel «cromosoma in più» che determina la sindrome di Down e che così tanto condiziona la sua vita scivola in secondo piano quando lui, serio e intento nel suo compito, porta in giro per la sala del ristorante il carrello con le stoviglie.

Non toglie forza e bellezza al suo sorriso, e in un mondo ideale e davvero inclusivo non dovrebbe impedirgli di prendersi il suo posto nel mondo. In realtà lui e la sua famiglia da sempre devono fare i conti con tanti stereotipi e pregiudizi. Per sconfiggerli finora hanno profuso una gentile tenacia e un impegno costante, entrando in modo attivo nella rete delle associazioni e dei servizi presenti sul territorio e tessendo rapporti di amicizia e collaborazione.

Pietro vive a Grumello del Monte con papà Antonio, ingegnere elettronico, la mamma Cinzia e la sorella maggiore Irene. Quando parla di lei lo sguardo di Pietro si illumina: «Andiamo molto d’accordo», racconta. Condividono diverse attività, a partire dagli incontri del gruppo Anffas di «Fratelli e sorelle» con e senza disabilità, in cui, spiega papà Antonio «sono nati saldi rapporti di amicizia, si condividono gioie, fatiche ed eventi importanti come matrimoni e nascite».

Ogni lunedì sera Pietro si presenta puntuale con Irene alle prove del gruppo di teatro «Gocce dell’Oceano»

Impegna due pomeriggi alla settimana con le attività ricreative promosse dall’Aipd (Associazione italiana persone con sindrome di Down): aperitivi, passeggiate, visite culturali: «Scegliamo insieme cosa fare. A me piace camminare e guardare le vetrine dei negozi, ma anche osservare i quadri nei musei». Sono momenti importanti per chi non sempre ha l’occasione di inserirsi spontaneamente nel gruppo dei coetanei.

Ogni lunedì sera, poi, Pietro si presenta puntuale con Irene alle prove del gruppo di teatro «Gocce dell’Oceano»: «Ha iniziato da solo - osserva Antonio - sei o sette anni fa. All’inizio la sorella lo accompagnava e andava a prenderlo, poi le hanno offerto una parte in uno spettacolo e così è entrata anche lei a far parte della compagnia. In questo spazio non occorre che si comporti in modo protettivo, da sorella maggiore, come a volte le capita. Pietro infatti è più audace e spesso la incoraggia quando arriva il momento di andare in scena».

Lui recita con molta naturalezza, si capisce che non gli costa fatica: «Facciamo molte prove - commenta - prima di presentarci davanti agli spettatori. Quando si tratta di andare in scena sono abbastanza coraggioso. Mi piace molto partecipare agli spettacoli. Ho interpretato la parte di Cupido, che lancia frecce e fa innamorare tutti». L’ultima piéce che il gruppo ha rappresentato, infatti, è ispirata alla mitologia greca, e racconta come gli dei dell’Olimpo, sdegnati dalla trascuratezza con cui gli uomini trattano la natura, deturpandola, scendano sulla terra per rimediare. Una giornalista - con il volto di Irene - accorre sul posto per raccontare questo straordinario intervento.

Ha iniziato a esercitarsi nelle percussioni frequentando le lezioni del corpo musicale Don Sennhauser a Grumello in seguito ha preferito smettere per giocare a Baskin, ma la passione gli è rimasta

Pietro osserva il mondo con occhi attenti e con una sensibilità particolare. Fin da piccolo ha sviluppato una grande passione per il disegno. Quando ha del tempo libero lo trascorre in camera sua, immerso tra i colori, componendo sui suoi fogli singolari intrecci di foglie, rami, elementi della natura e note musicali. «Ha iniziato a esercitarsi nelle percussioni frequentando le lezioni del corpo musicale Don Sennhauser a Grumello - dice Antonio -, in seguito ha preferito smettere per giocare a Baskin ma la passione gli è rimasta: continua a suonare per conto suo il tamburo, lo xilofono e l’armonica e usa i pentagrammi per scrivere una notazione tutta sua, come se componesse melodie».

Il periodo del Baskin, uno sport di squadra inclusivo ispirato al basket in cui persone con e senza disabilità giocano insieme, resta un bel ricordo: «Segnavo molti punti per la mia squadra». Poi però ha obbedito al suo desiderio di sperimentare, dedicandosi ad altro. «Vado in piscina per due volte alla settimana», racconta. La creatività apre le porte a soluzioni che si ritenevano impossibili: così tutti gli stimoli e le tante attività hanno contribuito a fare di Pietro un giovane consapevole di sé che mette in gioco le sue qualità in tutte le imprese che intraprende.

Sta partecipando anche al progetto «Home page», promosso in partnership da Cooperativa L’Impronta, oratori di Grumello del Monte e Chiuduno e associazione In Cordata nato per promuovere l’autonomia

«Sta partecipando anche al progetto “Home page”, promosso in partnership da Cooperativa L’Impronta, oratori di Grumello del Monte e Chiuduno e associazione In Cordata - sottolinea Antonio - nato per promuovere l’autonomia. Partecipano giovani con e senza disabilità che convivono per uno o due giorni a settimana a rotazione. Nell’ambito di questo progetto svolgono anche alcuni compiti a servizio della comunità come la manutenzione del verde. Un aspetto importante anche dal punto di vista simbolico: le persone con disabilità non sono soltanto destinatarie di assistenza, ma capaci di rendersi utili agli altri. Per un giovane come Pietro, che tiene molto al suo lavoro, questo è molto importante». Ognuno contribuisce alla gestione della casa: «Devo pulire - racconta Pietro -, tenere in ordine, buttare la spazzatura, cucinare, e mi piace molto. Ho provato a farlo anche con la mia famiglia in vacanza».

Gli esperimenti in cucina, iniziati già al tempo della scuola professionale, hanno portato Pietro a elaborare anche qualche ricetta personale. «Ho inventato la salsa B. come Bianchi con pomodoro, sedano, carote, radicchio e grana». Pietro non legge l’alfabeto, ma questo nella sua famiglia è diventato un punto di partenza per un’avventura straordinaria: i suoi genitori si sono dedicati ad approfondire il modello inbook sviluppato dal Centro sovrazonale di Comunicazione aumentativa del Policlinico di Milano, che pone grande attenzione nel rappresentare in simboli tutti gli elementi della lingua. Fra i primi esperimenti - condotti da mamma Cinzia con l’aiuto di un’amica - c’è stato quello della traduzione del «Padre nostro», stampato in poche copie per Pietro e alcuni amici, con i disegni di don Giuseppe Sala. Poi Antonio ha proseguito la sfida della traduzione in simboli, affrontando storie diverse, con l’intento di renderle accessibili a tutti: «Mi è sempre interessato l’ambito del linguaggio, poi quando è nato Pietro ho deciso di approfondirlo». Col tempo è nata l’occasione di trasformare questo importante compito in un vero e proprio lavoro, in collaborazione con Antonella Costantino, neuropsichiatra e coordinatrice del Centro sovrazonale di Comunicazione aumentativa.

Quando prende in mano uno di questi libri Pietro sente che «sono fatti per lui», con una cura particolare, e riesce a leggerli. Li traduce in parole a modo suo, li commenta e nel farlo trasmette le emozioni che le storie suscitano in lui. Le collega a volte a persone che ha incontrato, a esperienze che ha vissuto. «Uno dei lavori più interessanti che abbiamo fatto insieme - racconta Antonio - riguarda una fiaba nata nella nostra famiglia. Ogni tanto portavo entrambi i miei figli a vedere l’alba, e così Pietro, una domenica mattina, si è alzato prestissimo, quando era ancora buio si è vestito di tutto punto ed è venuto a svegliarmi dicendo “Sole nasce”, sollecitandomi ad uscire, perché voleva vedere l’alba. “Dai, andiamo”. Era il 2006, lui aveva circa otto anni. Partendo da questo momento abbiamo costruito una narrazione, che per noi ha un valore speciale». «È una storia che ho inventato io - precisa Pietro - e mi piace molto». Altre volte Antonio traduce in simboli trame già esistenti, come quella di «Kirikù e la strega Karabà» dal film di Michel Ocelot, un percorso intenso di formazione ambientato in un villaggio africano.

Alla Cascina dei Filagni Pietro è stato inserito con una mansione molto importante, quella della preparazione della sala

Solare e spontaneo, Pietro intreccia facilmente rapporti affettuosi con le persone che lo circondano, anche nell’ambiente di lavoro, come spiega Angelo Latini, de La Cascina dei Filagni: «Pietro è stato inserito con una mansione molto importante, quella della preparazione della sala. È in grado di svolgere il suo lavoro bene e in autonomia, è attento e preciso. È stato affiancato inizialmente da un tutor e pian piano ha imparato ad arrangiarsi da solo. Arriva, prepara le sue cose, e più tempo passa meno impiega a preparare i tavoli. Nel rapporto con lo staff Pietro è la gioia del gruppo, porta un’atmosfera di serenità». È approdato al ristorante dopo un percorso formativo «classico»: prima la scuola professionale, poi il tirocinio, infine un inserimento lavorativo vero e proprio. Va e torna in bici, senza essere accompagnato. «È sempre puntuale - sottolinea Sabrina, co-titolare -. Ha elaborato tecniche personali per organizzarsi, per esempio disponendo il materiale che gli occorre sui carrelli. Collabora volentieri con i colleghi, si sente parte del gruppo e ogni tanto ci regala forti abbracci. Ci aiuta a essere più sereni, a concentrarci sugli aspetti importanti della vita».

Se un tempo, ricorda papà Antonio, l’insegnante di sostegno della scuola dell’infanzia, l’ultimo anno, diceva: «Pietro è un bambino appassionato, protagonista delle sue scelte», ora questa previsione si è realizzata. Usando un’immagine poetica, potremmo dire che la famiglia di Pietro si è impegnata a fondo per donargli «radici» - un forte senso di appartenenza, legami profondi su cui contare - ma anche ali per volare: «La cosa più importante per noi - conclude Antonio - è offrirgli i mezzi perché possa decidere da solo del suo futuro, e possa realizzare i suoi sogni, come chiunque altro».

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