«Nella grande bellezza dei capolavori ho scoperto una parte sconosciuta di me»

«Incontrarsi nell’arte». Humanitas, The Bridge for Hope e Accademia Carrara insieme per aiutare i malati.

Visitare un museo, sostare davanti a un quadro, può diventare qualcosa di più di un’esperienza di conoscenza e osservazione. Si può entrare in molti modi in un dipinto, e uscirne dopo aver scoperto una parte sconosciuta di sé. Akira Kurosawa lo racconta in modo coinvolgente nel film «Sogni», quando un giovane per magia si ritrova all’interno del «Campo di grano con volo di corvi» di Van Gogh e il suo viaggio, accompagnato dalle note di Chopin, diventa una singolare meditazione sulla solitudine. Allo stesso modo negli appuntamenti di «Incontrarsi nell’arte» persone in condizione di malattia e fragilità possono passeggiare fra i dipinti dell’Accademia Carrara, in un percorso fatto di scoperta e di emozioni. Può diventare un modo per trovare una prospettiva diversa sulla fragilità e sulla vita.

L’iniziativa è ideata da Carrara Educazione con l’associazione The Bridge for Hope Onlus e realizzata con Humanitas Gavazzeni e con il patrocinio del Comune di Bergamo. Ha proposto tra la scorsa primavera e l’estate un ciclo di incontri gratuiti in museo rivolti a persone in trattamento oncologico e altri pazienti di Humanitas Gavazzeni. Il programma proseguirà alla riapertura della Pinacoteca. Dicono che la bellezza abbia un potere curativo. E in effetti, come spiega Lucia Cecio, responsabile di Carrara Educazione, «Incontrarsi nell’arte non è una semplice esperienza nel museo, ma un incontro con noi stessi, con i vissuti, le emozioni, i desideri più profondi, la prova che il nostro patrimonio è una risorsa preziosa e disponibile per il benessere di tutte le persone».

L’ospedale è un luogo di separazione e lontananza, in cui le persone rischiano spesso di perdere il contatto con la propria vita e le proprie passioni, anche per questo diventa preziosa un’iniziativa come questa: «Cerchiamo di intrecciare una rete di sostegno - sottolinea Serena Panzeri, presidente dell’associazione The Bridge for Hope - utilizzando attività che mantengono al centro dell’attenzione l’individuo, e non la malattia che sta affrontando. Incontrare gli altri, costruire relazioni, esprimere le proprie emozioni sono aspetti molto importanti e l’arte è uno strumento delicato e al tempo stesso potentissimo di condivisione. La bellezza in sé è uno strumento di supporto».

Partecipare a questo progetto ha rappresentato una scelta di campo ben precisa anche per Humanitas Gavazzeni e Castelli, come spiega Massimo Castoldi, direttore sanitario: «L’iniziativa arricchisce il nostro progetto di arte in ospedale, che si propone di offrire percorsi per la persona nella sua interezza e unicità, utilizzando la relazione con l’arte». A condurre gli incontri, con sensibilità e competenza, è Rita Ceresoli, che traccia traiettorie tematiche profonde e intriganti attraverso i capolavori della pinacoteca. Una giornata speciale è stata dedicata ai pazienti del reparto di dialisi di Humanitas Gavazzeni, che al pari dei pazienti oncologici devono adeguare i loro ritmi di vita ai trattamenti ospedalieri, spesso con un effetto di straniamento: «Una volta mi piaceva andare a pesca - racconta Gianfranco Butticé, 77 anni, di Nembro - da quando sono in dialisi, però, mi sposto su una sedia a rotelle e non posso più. I miei figli sono grandi e ormai fuori casa, vivo con mia moglie, ci prendiamo buona cura uno dell’altro. Da otto anni ho scoperto di avere i reni policistici e devo sottopormi a dialisi. L’attività d’arte che ci hanno proposto in questo contesto ha rappresentato un bel diversivo. Non ero mai stato all’Accademia Carrara, è stata un’occasione per entrarci. Certo è stato faticoso, dato che non posso camminare e purtroppo in tutti i miei spostamenti devo fare i conti con le barriere architettoniche. Ma ne è valsa la pena».

«Non rimando più niente»

Ogni incontro prevede anche un momento di elaborazione personale e creativa, un invito a esprimere le proprie forze migliori: «Noi pazienti dello stesso reparto - osserva Liviana Piazzalunga, 71 anni, di Petosino - non ci vediamo mai come persone “normali” ma come “malati”. È bello poter uscire da questa logica e pensare ad altro per una volta. I contatti con gli altri pazienti quando siamo in ospedale sono limitati, soprattutto da quando c’è la pandemia, dobbiamo stare distanziati e con la mascherina. Siamo più fragili, molti si sono ammalati di covid, qualcuno ha rischiato di perdere la vita. Le mie attività girano intorno a tre sedute di dialisi alla settimana all’Humanitas Gavazzeni, a cui si sono aggiunti ora accertamenti ed esami al Papa Giovanni XXIII per poter entrare nelle liste d’attesa per il trapianto di fegato e di reni. Le mie giornate sono piene di impegni legati alla salute, e ovviamente devo metterli al primo posto. Nonostante questo, però, non voglio rinunciare ad essere me stessa e a stare bene, per quanto possibile. Quando il tempo è bello mi piace andare in montagna e al lago. Da quando mi sono ammalata non rimando più niente, se sto bene cerco di approfittarne. Ho la fortuna di poter contare su mio marito, che è in pensione perciò può accompagnarmi, sostenermi e aiutarmi in casa. Ho anche due figli di 27 e 25 anni. Avere intorno la mia famiglia rappresenta uno stimolo a reagire. Non voglio far pesare sugli altri la mia condizione. Queste belle esperienze sono un nutrimento e spero che si possano ripetere in futuro. Ero già stata all’Accademia Carrara ma grazie alla guida Rita è stato tutto diverso, più bello, ha rappresentato un valore aggiunto dal punto di vista culturale e umano. Non ho molte possibilità di svagarmi, ma quando mi sento in forma vado in palestra con le amiche del mio paese. Lo sport è importante ma anche l’arte aiuta a guardare la vita con maggiore gioia e serenità».

C’è «San Sebastiano», opera di Raffaello, con il suo aspetto luminoso, in cima alle preferenze di Danilo Moretti, 62 anni, di Osio Sopra, anche lui paziente di Humanitas Gavazzeni: «Nel dipinto il santo tiene in mano una freccia rivolta verso il basso - commenta - ed è un giovane ben vestito, dai tratti delicati, con un viso pensieroso ma non triste. Non è la solita rappresentazione del martirio, con il corpo trafitto dalle frecce e il volto stravolto dal dolore». Appare come un malato che voglia tenere in mano il suo destino e vincere sulla sofferenza, un po’ come accade a Danilo: «Da molto tempo devo fare i conti con problemi di salute, ma ho sempre cercato di reagire in modo positivo, di non farmi condizionare e di portare avanti la mia vita» con la stessa compostezza di San Sebastiano.

Al centro delle giornate di Danilo ci sono gli affetti familiari, come accade nel quadro della «Sacra Famiglia» di Sofonisba Anguissola, tela del 1559: «La guida ci ha spiegato che a dipingerla è stata un’artista anticonformista, una delle prime donne che siano riuscite a emergere nelle corti. Nella composizione Gesù Bambino è in braccio a Giuseppe e gioca con la sua barba, con un gesto molto affettuoso, e la Madonna, giovane e bellissima, gli porge un fiore. Trasmette il calore e l’intimità di una famiglia qualunque, legata da sentimenti di affetto e rispetto reciproco. Mi è sembrata una rappresentazione piena di tenerezza». Danilo considera «Incontrarsi con l’arte» come l’inizio di un percorso affascinante: «Pur essendo bergamasco non avevo mai visitato l’Accademia Carrara, anche se mi è capitato di trovarmi in quella zona per andare al Palazzetto dello sport. Ho apprezzato molto la visita e i commenti sensibili e competenti della nostra guida Rita Ceresoli, che ci ha incantato con le sue parole. Questa visita ha contribuito a risvegliarmi da un momento di torpore e mi ha offerto tanti nuovi stimoli, quando sono tornato a casa mi è venuto il desiderio di riprendere e approfondire ciò che avevo visto. È stata una bella giornata e spero di poter continuare ancora. In passato a causa del lavoro e delle cure familiari ho perso tante opportunità, ora è arrivato il momento di dedicarmi di più a me stesso, a partire dalle mie condizioni di salute. Vengo da una famiglia di mugnai, è toccato a me portare avanti questa impresa e mi sono dedicato in particolare alla produzione di farine e di cibo per gli animali. Prima di ammalarmi giravo moltissimo per gli allevamenti e avevo avviato anche un’attività in Umbria, una regione che amo. Poi ho dovuto ridimensionare il mio impegno. In passato ho sofferto per un adenoma ipofisario, che mi provocava molti problemi, dal diabete al cuore, fino alla debolezza muscolare. Ci è voluto tempo prima di riuscire ad arrivare alla diagnosi e poi all’intervento di asportazione. Intanto purtroppo ha causato danni ai reni, per questo sono in dialisi da due anni. Ora sto eseguendo tutti gli esami per vedere se potrò affrontare un trapianto. Ho festeggiato da poco i 35 anni di matrimonio e mia moglie mi ha sempre affiancato in tutte le battaglie che la vita mi ha presentato. Non abbiamo figli ma nipoti e pronipoti, che ci regalano molta gioia».

La condizione dei dializzati è complessa, pesantemente condizionata dalla necessità di recarsi in ospedale regolarmente per due o tre volte alla settimana: «La pandemia - continua Danilo - ci ha ghettizzati ancora di più. Vediamo solo gli occhi delle infermiere e delle dottoresse, che hanno il volto nascosto dalle mascherine. Quando ci siamo incontrati all’Accademia Carrara all’aperto le hanno tolte e quasi non le riconoscevo. Nonostante tutto sono riuscito a trovare un mio equilibrio e a condurre una vita quasi normale. Ovviamente sono sempre in trepidazione, c’è il rischio che le mie condizioni peggiorino, ma cerco di non pensarci e continuo a combattere. Arrendermi non è nella mia natura».

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