
La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 08 Giugno 2025
Quell’anno con «il cuore in valigia». «Poi il trapianto e di nuovo il battito...»
LA STORIA. Giuliano Losi: «È stato come nascere una seconda volta». Ora va in montagna con gli amici di «A spasso con Luisa».
Quasi un anno trascorso vivendo con «il cuore in valigia», un trapianto arrivato in extremis all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Un percorso affrontato con una volontà di ferro che gli ha permesso di sopportare il dolore e superare tutto: Giuliano Losi è uno che non si arrende.
La speranza è il suo motore, e ogni sfida lo fa «rombare» più forte. È sempre pronto a dimostrare di poter superare qualunque prova, anche la più dura, con un coraggio e una tenacia che trascendono le leggi fisiche. Gli piace dimostrarlo sempre, anche con gli amici trapiantati durante le passeggiate in montagna dell’iniziativa «A spasso con Luisa»: «Occasioni preziose - sottolinea Giuliano - per respirare in quota l’aria fina e migliorare il proprio benessere mentale e fisico, affrontando itinerari adatti a tutti». Com’è nella sua natura, alza un po’ la posta: «A me piace osare - scherza -, perciò inserirei nel programma anche percorsi un po’ più difficili, come quello per il Rifugio Coca, che però di sicuro non è adatto a tutti. Per me è stata una soddisfazione incredibile arrivare in cima».
Bergamasco d’adozione
Bergamasco d’adozione (per motivi di salute), Giuliano ha 62 anni e vive con la sua famiglia a Vidigulfo, in provincia di Pavia. Ha scoperto di avere problemi di cuore intorno ai 50 anni, dopo un episodio per lui insolito: «Avevo la pressione e il battito cardiaco elevati, così sono andato a farmi visitare. I medici mi hanno sottoposto ad alcuni esami, ma non hanno riscontrato particolari problemi. Dopo qualche settimana, però, ho avvertito di nuovo dolori al petto e una tosse anomala. Visto l’esito del controllo medico precedente, non gli ho dato troppo peso, pensavo fosse colpa del lavoro e dello stress».
Così ha partecipato tranquillamente a una gara di pesca, una delle sue più grandi passioni. A un certo punto, però, si è sentito male, e stavolta si trattava davvero di un infarto devastante: «Il dolore al petto era così intenso che non riuscivo più a stare in piedi, ho dovuto inginocchiarmi e ho chiamato i soccorsi. Mi hanno portato all’ospedale di Treviglio. Mi ricordo di aver tentato di resistere all’anestesia prima che mi operassero, perché temevo di non svegliarmi più».
Un mese in coma farmacologico
Quando si è risvegliato, un mese dopo, Giuliano ha scoperto di trovarsi in un ospedale diverso, a Monza. «Mi hanno tenuto per un mese in coma farmacologico - racconta - il mio cuore, purtroppo, era in condizioni così critiche che avevano dovuto collegarmi all’Ecmo», una tecnica di supporto vitale che si utilizza per pazienti con gravi insufficienze cardiache o respiratorie, agendo come un bypass temporaneo al cuore e ai polmoni. È rimasto da dicembre 2013 a luglio del 2014 nella terapia intensiva dell’Ospedale San Gerardo, operato da Antonio Formica, dell’équipe del professor Giovanni Paolini. «Mi hanno sottoposto a un intervento per installare il Vad (Ventricular Assist Device), un dispositivo portatile di assistenza ventricolare, che funge da pompa meccanica per sostenere il cuore. Mi accompagnava dappertutto dentro una valigia. Un dispositivo miracoloso, che mi ha salvato la vita, ma non è stato facile abituarsi: non potevo mai toglierlo, dovevo stare attento a mantenere le batterie cariche, avevo un generatore di scorta da usare in caso di black-out. E poi c’era sempre questo fruscio di sottofondo, che aveva preso il posto del battito del cuore, con cui ho dovuto imparare a convivere. Ero comunque grato di essere ancora vivo».
I mesi difficili
Ci sono stati mesi difficili, in cui Giuliano ha lottato per recuperare e riuscire a ritornare a casa: «Mi allenavo di nascosto a fare le scale, uno scalino in più ogni giorno. Ce l’ho messa tutta». Per tenersi aggrappato alla vita gli bastava uno sguardo, un sorriso: «Guardavo fuori dalla finestra e vedere gli operai che lavoravano sulla gru mi teneva aggrappato alla normalità della vita. Non so neanche il loro nome, ma ogni mattina ci salutavamo con un cenno e per me erano diventati degli amici».
Alla fine, con determinazione, si è ripreso ed è tornato a casa da sua moglie Cinzia e sua figlia Chiara con il suo «cuore nella valigia»: «Era piuttosto grande - chiarisce Giuliano -, aveva una batteria di quasi un chilo, però era bellissimo, funzionava bene. Contro il parere dei medici e di mia moglie, ho ricominciato a guidare e a lavorare. Andavo in giro portando tutte le mie attrezzature con me, fino in Svizzera, a Como, a Bellagio, per continuare a seguire i miei clienti. Mi prendevano per matto, ma io non volevo darmi per vinto, quella era la mia vita, volevo sfruttarla fino in fondo. Non potevo mollare, era la mia strategia di resistenza, l’unica possibile per me».
Le terapie al Papa Giovanni
Giuliano ha proseguito le terapie all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo: «Ogni settimana dovevo tornare per un controllo e mi portavo via 5 litri di flebo, così le valigie da portare in giro diventavano due. Poco meno di un anno dopo l’installazione del Vad hanno dovuto ricoverarmi, perché le mie condizioni erano peggiorate. Ho sempre chiesto ai medici di essere chiari con me; perciò, sapevo che le mie prospettive non erano buone: senza un trapianto ormai mi restava poco tempo, ero in fin di vita. Forse proprio per questo non riuscivo a stare fermo, dovevo reagire, muovermi e ogni notte mi alzavo e facevo il giro dei corridoi della Torre quattro, della Torre tre, della Torre cinque del Papa Giovanni XXIII. Era come se volessi dimostrare in qualche modo che meritavo di continuare a vivere».
Verso il trapianto
Sono passati mesi, Giuliano era in lista per il trapianto, ma il cuore giusto per lui non arrivava: «Avevo fatto amicizia con gli altri pazienti e purtroppo qualcuno l’ho visto morire. Ho passato momenti difficili, un paio di volte ho perfino pensato di scappare, e di farla finita, ma poi non me la sono sentita, sono rimasto, ha vinto la speranza». Ci sono state tante complicazioni, che gli hanno lasciato il segno, compresa un’embolia cerebrale, che ha rischiato di annullare le sue possibilità di arrivare al trapianto, ma Giuliano è riuscito comunque a risollevarsi. Ha finito per considerare«casa» e «famiglia» l’ospedale, si è perfino vestito da Babbo Natale per far sorridere i bambini ricoverati in Pediatria, con la piantana della flebo addobbata con le luci.
«Alla fine, però, quando non ci speravo più, e sentivo che mi restava poco tempo, un giorno sono arrivati e mi hanno detto: c’è il cuore giusto per te, sei pronto?». A questo punto Giuliano si è commosso, perché l’emozione era davvero tanta: «È il momento più bello che io possa ricordare, mi sembrava di sognare». L’intervento è stato lunghissimo, prima l’espianto del cuore artificiale, poi il trapianto vero e proprio, un lavoro impegnativo e delicato per l’équipe del Papa Giovanni, diretta in quell’occasione da Amedeo Terzi: «Quando ho ringraziato il medico, scherzando mi ha risposto che era lui a dovermi ringraziare, perché operarmi in quelle condizioni era stata una grande sfida, e dato l’esito positivo aveva capito di essere davvero bravo».
Il nuovo battito del cuore
Dopo il trapianto gli è sembrato incredibile poter sentire di nuovo il battito del suo cuore: «È stato meraviglioso appoggiare la testa sul cuscino e assaporare quel suono, di nuovo regolare e ritmico. Una sensazione che non si può spiegare. Così come poter fare cose apparentemente banali, come la doccia, impossibili per tutto il tempo in cui ho avuto il dispositivo “portatile”, che non si poteva bagnare. In tutto il processo, che ha portato alla mia rinascita, sono stato accompagnato dal personale dell’ospedale, infermiere, medici che si spendevano accanto ai pazienti anche al di là del loro dovere professionale. Mi hanno sostenuto molto anche i volontari Avo, che ogni sera passavano in reparto e mi aiutavano a “staccare” dalle preoccupazioni, anche a loro sono molto grato. Ho incontrato persone stupende, generose, attente e competenti».
Come se fosse rinato una seconda volta, Giuliano dopo il trapianto e un periodo intenso di riabilitazione, ha ricominciato a camminare, e perfino a dedicarsi allo sport: «Quando mi hanno proposto l’iniziativa ”A spasso con Luisa’” dedicata ai trapiantati avevo un po’ di timore, sapendo di dover superare una visita medico-sportiva, che mi sembrava uno scoglio insormontabile, invece non è stato così. È anche una questione di carattere, per me l’impossibile è quasi una droga, mi viene voglia di superare ogni limite per dimostrare che ce la posso fare. Tutto quello che ho passato mi ha fatto venire una tremenda voglia di vivere».
Ricominciare la vita di sempre
Ha ricominciato anche ad andare a pescare: «Mi piace stare a contatto con la natura, immerso nel silenzio, partire alle prime luci dell’alba, con qualunque condizione atmosferica, sotto la pioggia e sotto il sole. Ho iniziato tanto tempo fa, quando ero molto giovane, e non ho più smesso. Col tempo ho imparato molte tecniche, è una questione di pazienza ma anche d’astuzia, oggi mi capita di prendere esemplari di 70 chili. Non so stare sul divano, devo muovermi, sono fatto così».
Molti tra i medici e tra i suoi amici si sono chiesti quale sia l’ingrediente segreto della sua resistenza: «Mi hanno chiesto come ho fatto a reagire così, sorpresi dall’esito delle terapie e dall’atteggiamento nei confronti della vita. Per me è molto semplice, non credo di avere particolari segreti: la molla più forte è sempre stata la voglia di vivere, è questo che mi ha dato la spinta per affrontare qualsiasi ostacolo». Ha continuato a coltivare il rapporto di amicizia con il gruppo dei trapiantati: «Anche questo mi dà una marcia in più, è davvero importante per me». Quando glielo chiedono offre la sua testimonianza nelle scuole con l’associazione Aido, per sensibilizzare sul tema della donazione degli organi: «Senza la persona che mi ha donato il cuore, adesso non ci sarei più. È stato un incredibile atto d’amore».
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