Tanta normalità e forza della famiglia, così la sindrome di Down diventa talento

La Buona Domenica Timothy Tripodi, da 20 anni operaio alla Cam. Il rapporto speciale con la sorella che ora è medico pediatra.

In una celebre sequenza di «Tempi moderni» (film in bianco e nero del 1936) Charlie Chaplin, nei panni di un operaio al lavoro in una catena di montaggio, a forza di compiere gesti sempre uguali, si ritrova inghiottito dagli ingranaggi. Anche Timothy Tripodi dà l’impressione di essere tutt’uno con i macchinari che usa, tanto è serio e concentrato il suo sguardo mentre lavora. Classe 1983, di Telgate, con sindrome di Down, da vent’anni operaio alla Cam, dove si è conquistato la stima e l’affetto dei colleghi. Il lavoro per lui - come un po’ per tutti - non è un idillio: tanto che quando qualcuno gli chiede a bruciapelo se gli piace risponde di no. Indagando meglio, però, si scopre che conosce e segue con scrupolo tutte le fasi di produzione e negli anni, come rimarcano i suoi colleghi «ha sviluppato molte competenze». Lui stesso spiega volentieri nel dettaglio il funzionamento delle «sue» macchine.

Oggi Timothy è un uomo con una vita piena che coltiva tanti interessi e relazioni

Un percorso non facile

I suoi genitori Domenico e Rita oggi guardano con soddisfazione l’uomo che è diventato, anche se il percorso non è stato facile. La sua nascita, infatti, ha rappresentato un terremoto: «Abbiamo scoperto al momento della nascita la presenza della Sindrome di Down - sottolinea Domenico -. All’inizio ci siamo sentiti persi. C’è stato un ribaltamento della nostra vita. Non è stato facile capire come gestire una situazione completamente nuova».

Papà Domenico: «All’inizio ci siamo sentiti persi. La nostra vita si è ribaltata»

Subito dopo Rita e Domenico si sono messi in moto per garantire al figlio le opportunità migliori, inizialmente dal punto di vista fisico: «Non avevamo punti di riferimento e ci siamo rivolti al centro privato Astri di Milano, fondato dalla professoressa Cecilia Morosini, nota come “la signora dei risvegli” per il suo lavoro con i pazienti in coma. Ci ha assegnato un programma di riabilitazione molto impegnativo da seguire, adattando il metodo americano Doman alle esigenze di bambini con la Sindrome di Down».

Tanta solidarietà

A quei tempi la famiglia Tripodi abitava a Gorlago, dove si è trovata circondata da un grande movimento di solidarietà: «Ci hanno aiutato - prosegue Domenico - nelle attività di riabilitazione anche alcune persone del paese, perché l’impegno era gravoso, da soli non ce l’avremmo fatta. Timothy fra l’altro è nato con i piedi torti e ha dovuto portare il gesso nei primi mesi».

Si è rivelato prezioso l’aiuto della psicopedagogista del centro che ha seguito Timothy nel suo percorso: «Ci ha consigliato di inserirlo prima possibile in un ambiente in cui ci fossero suoi coetanei. Questo ha stimolato il suo processo di socializzazione. La nostra famiglia ci si è stretta intorno, dandoci forza anche nei momenti difficili». Crescendo il ragazzo ha manifestato un carattere allegro e aperto: «Abbiamo iniziato subito ad affiancare alle attività scolastiche anche altre occasioni che potessero contribuire alla sua crescita, come lo sport». Domenico e Rita hanno affrontato le difficoltà senza perdere mai la speranza, tanto che qualche anno dopo hanno scelto consapevolmente di avere un altro figlio: «Timothy aveva tre anni - continua il papà - . Avevamo ormai superato il periodo delle domande angosciose, dei sensi di colpa. Non è stata una scelta facile ma abbiamo deciso di fidarci, di investire sul futuro, e così nel 1987 è nata Serena».

La psicopedagogista

La presenza della sorella si è rivelata un toccasana anche per Timothy. «Avevamo allestito in casa una piccola palestra attrezzata in modo tale da permettere di svolgere gli esercizi di riabilitazione in un ambiente tranquillo e privo di pericoli. Alla fine ne ha usufruito anche la nostra bimba e Timothy grazie a lei ha imparato cose nuove. Sono cresciuti in armonia, creando una relazione forte fra di loro che dura tuttora».

«L’esperienza di Judo, proseguita fino alla cintura nera primo Dan, e la partecipazione a un gruppo scout lo hanno aiutato a sviluppare al massimo l’autonomia»

Grazie a tutto l’impegno profuso nelle terapie pian piano la mobilità di Timothy è migliorata. Il percorso scolastico è proseguito bene, prima a Gorlago e poi dalla scuola primaria a Telgate. «Ci ha aiutato in questo la psicopedagogista, che ha svolto un ruolo prezioso di mediazione con la scuola, realizzando anche sopralluoghi per esaminare le interazioni di tutta la classe, in un modo che si è rivelato utile anche per altri casi di fragilità e disagio fra i compagni. Questo ci ha fatto capire quanto sia importante per un ragazzo con disabilità attivare percorsi appropriati. Sarebbe bello se ci fosse uno psicopedagogista in tutte le scuole, per aiutare le classi a interagire nel modo migliore». Domenico e Rita hanno proseguito la loro ricerca di attività che potessero portare a Timothy una qualità di vita migliore: «Sono iniziate così - quando aveva più o meno dieci anni - l’esperienza di Judo, proseguita fino alla cintura nera primo Dan, e la partecipazione a un gruppo scout. Entrambe lo hanno aiutato a sviluppare al massimo l’autonomia».

«Partecipava alle uscite invernali ed estive con gli scout, portando i grossi zaini con l’attrezzatura. Non si è tirato indietro neppure di fronte alle gite in bicicletta»

Sui sentieri con gli scout, Timothy si è sempre sentito accolto così com’era, inserito nel gruppo a pieno titolo: «Partecipava alle uscite invernali ed estive, portando i grossi zaini con l’attrezzatura. Non si è tirato indietro neppure di fronte alle gite in bicicletta, anche se c’è stato bisogno di un tandem, in modo che non fosse da solo a pedalare. Col tempo mi sono reso conto che offrire a Timothy più normalità possibile era una scelta vincente, che portava ottimi risultati».

Oltre al lavoro, tanti interessi

Oggi è un uomo con una vita piena: accanto al lavoro coltiva tanti interessi e relazioni con le persone. I pomeriggi in piscina a Telgate, le uscite con il gruppo N’dolagira, che offre opportunità di intrattenimento. «Ha sempre seguito le stesse attività dei suoi coetanei». Quali sono gli obiettivi più importanti della scuola per un ragazzo come Timothy? «Ci siamo accorti - continua Domenico - che non amava lo studio e non otteneva sempre risultati gratificanti. A un certo punto, parlando con gli insegnanti, ho dovuto chiarire che avrei preferito un percorso che valorizzasse le capacità relazionali e la socializzazione, piuttosto che ostinarsi sul nozionismo».

«Parlando con gli insegnanti, ho dovuto chiarire che avrei preferito un percorso che valorizzasse le capacità relazionali e la socializzazione, piuttosto che ostinarsi sul nozionismo».

Quando si è trattato di scegliere come proseguire dopo la scuola secondaria di primo grado la sua famiglia si è rivolta all’Informagiovani per un consiglio di orientamento. Ha incontrato persone gentili e attente che lo hanno indirizzato verso un corso professionale a Trescore. «Così - continua Domenico - Timothy è stato davvero aiutato a trovare lavoro». È stato un percorso graduale, l’assunzione è stata preceduta da un tirocinio, coronato a giugno del 2003 dall’assunzione alla Cam, dove lavora anche oggi. Domenico si è reso conto che «spesso sono scelte poco mirate che non permettono un adeguato inserimento lavorativo. Noi abbiamo puntato sulla capacità di Timothy di stare bene in un contesto, a contatto con altre persone. Ci siamo impegnati a sostenerlo: la nostra casa è sempre stata piena di giovani, abbiamo organizzato feste e cene con gli amici dei nostri figli».

«Nell’associazione Anffas Abbiamo lavorato su tanti aspetti approfondendoli e dando vita ad alcune pubblicazioni dedicate al teatro oppure ai progetti di vita»

Come accade al mattino quando il sole disperde la foschia, nella mente di Domenico hanno incominciato a circolare nuove idee e progetti da estendere anche ad altri ragazzi «con fragilità»: «Anche per questo mi è sembrato importante impegnarmi ancora di più nell’associazione Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale Onlus www.anffas.bg.it). Sono diventato presidente nel 2011 e da allora ho sempre cercato di dare alle nostre iniziative un’impronta di crescita culturale oltre che di impegno per i diritti. Abbiamo lavorato su tanti aspetti approfondendoli e dando vita ad alcune pubblicazioni dedicate al teatro oppure ai progetti di vita. Abbiamo iniziato a invitare anche le persone con disabilità alle assemblee insieme con le famiglie, esortandole a creare una propria rappresentanza. Un segno per tutti».

Il gruppo teatrale

L’attività teatrale del gruppo «Gocce dell’Oceano», di cui sia Timothy sia Domenico fanno parte, è partita nel 2006 da una sperimentazione per conoscere meglio il proprio corpo e le regole di base del contatto interpersonale. «Ci tenevo - racconta Domenico - che i ragazzi avessero la possibilità di mostrare ciò che avevano imparato. Da qui è partita l’idea degli spettacoli: all’inizio erano attività di mimo. Abbiamo imitato i movimenti degli animali oppure re-interpretato quadri d’autore, facendo scoperte straordinarie. Poi abbiamo pensato di cercare una strada per migliorare il linguaggio. Per questo abbiamo creato testi su misura per il nostro gruppo, per affrontare alcuni temi importanti dalla solitudine al bullismo, dalla tecnologia all’incontro con l’altro. Ci auguriamo che i nostri spettacoli possano lasciare un seme nelle persone, con un’esperienza di autentica inclusione».

Al teatro Timothy affianca anche lo studio della musica. Fa parte infatti del progetto di educazione musicale integrata Accordi guidato da Lucilla Censi, nato per permettere ai partecipanti di porre in risalto le loro qualità migliori. «Timothy - osserva Domenico - suona più strumenti, dal contrabbasso fino al tamburo e alla marimba».

«È possibile seguire un figlio con fragilità e uno senza con la stessa carica d’amore ed energia. È importante lasciare a ciascuno gli spazi e i tempi giusti»

Non è stato sempre facile mantenere gli equilibri familiari, ma la famiglia Tripodi sorride pensando al futuro: «Serena - conclude Domenico - nonostante la sua condizione di “sibling”, sorella di un ragazzo con disabilità, è diventata medico pediatra. Il suo cammino dimostra che questa situazione non rappresenta una condanna, anzi, può davvero trasformarsi in un’opportunità. Dal 19 aprile Serena lavorerà nel reparto di oncoematologia all’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Vorrei con questo rincuorare altri genitori come me: è possibile seguire un figlio con fragilità e uno senza con la stessa carica d’amore ed energia. È importante lasciare a ciascuno gli spazi e i tempi giusti».

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