
La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 21 Settembre 2025
Un «marsupio da battaglia» compagno di una vita fragile ma anche fortissima
LA STORIA. La leucemia, poi il cuore che cede: Giancarlo Gambarini è rinato due volte grazie alla pompa a infusione.
«La fragilità - scrive Giovanni Allevi - è la nostra forza, in un mondo trascinato dalla ragione verso la competizione estrema». Una frase che sembra scritta apposta per Giancarlo Gambarini, 68 anni di tenacia e coraggio. Lo incontriamo nella sua casa di Colognola, seduto accanto a Patrizia, sua moglie da quarantacinque anni. C’è molta luce, dalla portafinestra del soggiorno si vede un grande albero, e quasi se ne avverte il profumo.
Giancarlo si siede e racconta, e nelle sue parole c’è quella luce speciale di chi ha visto il buio da vicino e ha scelto di non arrendersi. Indossa - con naturalezza - una pompa a infusione continua di dobutamina, che aiuta il suo cuore a battere, «un’alleata inaspettata», come dice lui, e a sostenerlo in questo percorso, iniziato sedici mesi fa, c’è il team del Servizio di Cure Palliative e Terapia del dolore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che gli ha aperto un orizzonte in un momento difficile, permettendogli di guadagnare un nuovo scorcio di vita: «Credevo di essere arrivato alla fine, mi sento rinato».
Smonta la retorica del malato con l’ironia, parla della sua vita con un tono semplice e concreto che fa sorridere, sdrammatizzando anche i momenti più difficili: «Quando mi sono ammalato di leucemia mi hanno preso per i capelli - scherza - è per questo che adesso non ne ho più». Non lo dice, ma si capisce che è stato un momento durissimo.

(Foto di Gian Vittorio Frau)
Allora aveva 37 anni, due figli piccoli, il lavoro di montatore elettrico, una quotidianità che all’improvviso si era incrinata, con quella diagnosi arrivata come un terremoto a sconvolgergli la vita. «Ho affrontato cicli e cicli di chemioterapia. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di non farcela. Invece sono ancora qui. Devo ringraziare il professor Tiziano Barbui, ematologo che mi ha curato facendomi seguire una terapia innovativa, così mi ha salvato. Da lì ho avuto una seconda possibilità».
Ma il cuore, segnato da anni di cure e fragilità, negli anni ha cominciato a cedere. Nel 2001 Giancarlo ha subito un’operazione complessa: «Mi hanno ricoverato d’urgenza il 15 agosto - sorride - e invece della grigliata con gli amici, sono andato al pronto soccorso. Poi ho subito un intervento serio, complesso: un restyling completo, altro che carrozzeria. Mi hanno rimesso a nuovo pezzo per pezzo». Da quel momento è iniziato un percorso accidentato di controlli, ricoveri, nuove paure. Anche stavolta, ne è uscito.
Patrizia sorride scuotendo la testa: «Lui scherza sempre, ma io c’ero e so cosa ha passato. È stato terribile, eppure si è rialzato».
Negli ultimi anni il cuore ha ceduto quasi del tutto. «Facevo divano-letto, letto-divano - ammette Giancarlo con un pizzico di amarezza -. Non mi muovevo più. Non volevo vedere nessuno, non avevo più voglia di vivere».
È stato ricoverato nuovamente in ospedale, e non essendo un buon candidato per un trapianto, sembrava che per il suo cuore non ci fossero altre possibilità. È stato preso in carico dall’Unità operativa complessa di Cure Palliative e Terapia del dolore diretta da Simeone Liguori, seguito da Emilia d’Elia, cardiologa, e Roberta Marchesi, responsabile dell’Unità di cure palliative precoci. Gli hanno proposto di posizionare una pompa in continuo con dobutamina.
All’inizio l’idea non gli è piaciuta: «Non volevo saperne - commenta Giancarlo -. Mi sono detto basta, facciamola finita. Mi sentivo stanchissimo, non ne potevo più. Ma la dottoressa d’Elia mi ha convinto. Ha chiamato in causa la mia famiglia e così lei, Patrizia, i miei figli hanno insistito, e di nuovo mi hanno salvato».
Patrizia lo guarda e annuisce: «In quel momento mi sono preoccupata - ricorda - perché Giancarlo, che non si arrende mai, mi sembrava proprio sfinito. È stato difficile convincerlo, ma non potevamo perderlo. Gli ho detto: tu non puoi lasciarci così, ci sono i nostri figli, i nipoti. E alla fine ci ha ascoltati. Non so se per amore o per la stanchezza di sentirci insistere».
Un «accessorio» salvifico
Così la pompa a infusione continua di dobutamina, è diventata parte della loro vita: un «accessorio» essenziale e salvifico, gestito con l’aiuto dell’équipe multidisciplinare che si prende cura di lui con visite domiciliari. Patrizia gli ha cucito borse su misura per portarla, resistenti e comode, «perché con quelle fornite non si trovava, gli ingarbugliavano i movimenti. Adesso, visto che funzionano così bene, ne sta preparando alcune anche per altri pazienti». In famiglia scherzano e la chiamano «il marsupio da battaglia». «Siamo noi due insieme a portarla – dice Patrizia – perché da questa macchina dipende anche la mia vita».
Grazie a quel dispositivo, e alle cure costanti del team di Cure Palliative e Terapia del Dolore del Papa Giovanni XXIII, Giancarlo oggi è un altro uomo. Viene seguito a casa per tre volte a settimana, per le medicazioni e i controlli, a intervalli regolari deve recarsi in ospedale per gli esami più impegnativi. Vive con la tranquillità e la sicurezza di poter contare su medici e infermieri anche a distanza, perché quando telefona per segnalare un problema c’è sempre qualcuno disponibile, notte e giorno: «Non ci lasciano mai soli – dice Giancarlo – è come avere una seconda famiglia. Si occupano di me con una cura e un affetto che non avrei mai immaginato».
Una possibilità preziosa per «malati inguaribili» come lui, che hanno bisogno di un’attenzione speciale, a qualsiasi età, anche pediatrica.
Gli affetti e le passioni
Le Cure Palliative, per lui, iniziate sedici mesi fa, non sono state un accompagnamento alla fine, ma un nuovo inizio: «Sono rinato – dice con entusiasmo – avevo smesso di andare in bicicletta e adesso posso farlo di nuovo, cucino, vedo i miei nipoti. Ho ritrovato la voglia di vivere».
La bicicletta a pedalata assistita gli garantisce - dice con soddisfazione - una discreta libertà. Con quella percorre le ciclabili, si spinge fino in ospedale, attraversa i campi. «Quando pedalo - spiega - mi sento vivo. L’aria in faccia, le gambe che girano. È come se tutto il resto, i problemi, le difficoltà, scomparissero. Posso incontrare gli amici e fare delle piccole commissioni». Patrizia lo accompagna spesso, ma altre volte lo guarda partire con un misto di apprensione e orgoglio: «Tremo sempre un po’, ma lo lascio andare. Vederlo felice è la mia gioia più grande».
E poi c’è la cucina, un passatempo che lo diverte e gli permette di rendere felici i suoi familiari. «Se non cucino, che gusto c’è?» dice Giancarlo sorridendo. Passa in rassegna il repertorio delle specialità bergamasche: gnocchi, ravioli, casoncelli, lasagne, coniglio con polenta, patate gratinate.
«Cucino tutto io, con le mie mani, anche la pasta la faccio in casa. I miei nipoti già sanno cosa chiedermi: il più piccolo vuole gli involtini, gli altri preferiscono le cotolette alla valdostana. Cambio le ricette a seconda delle richieste, con mille variazioni anche nel ripieno dei ravioli. Sperimentare è divertente, trovare pietanze che rendano tutti contenti, e sono momenti allegri che mi tengono in movimento».
L’amore per Patrizia
Al centro di tutto, da sempre, c’è Patrizia. Si sono sposati giovanissimi, hanno attraversato insieme, dandosi il braccio, tante situazioni difficili: malattie, ricoveri, paure, ma si sono anche molto divertiti, facendo insieme viaggi e passeggiate in montagna, crescendo i loro figli. «Ogni fine settimana - ricorda Giancarlo - finito il lavoro prendevamo la macchina e andavamo in montagna. Abbiamo collezionato tutti i sentieri più frequentati della Bergamasca: Curò, Coca, Calvi. Mi è sempre piaciuta la montagna, arrivare in alto, guardare il cielo che con l’altitudine sembra perfino più azzurro».
Un legame, una medicina
Anche oggi Patrizia e Giancarlo, guardandosi nel loro soggiorno, circondati dalle fotografie di figli e nipoti e da tutti i loro bei ricordi, sorridono come ragazzi. «Sopportare uno come me non è facile – ammette Giancarlo – ma una donna così, sempre vicina e attenta, pronta a capire e ad ascoltare, è rarissima da trovare». Patrizia lo interrompe: «Non mi sono mai sentita costretta a sopportare i problemi o le malattie, ho sempre fatto tutto volentieri, perché l’ho amato. E lo amo ancora. Nonostante tutto, o forse proprio per tutto quello che abbiamo vissuto insieme».
La determinazione è rimasta la stessa che anni fa lo ha aiutato a sopravvivere alla leucemia. «Quella volta, quando sono entrato in reparto, mi sono detto: io da qui esco per tornare a bere il mio caffè e fumarmi una sigaretta. Così ho fatto. Adesso mi piacerebbe continuare allo stesso modo: esserci il giorno delle nozze, vedere mio figlio sposarsi, ridere con i miei nipoti. La voglia di vivere non mi manca»
Il loro legame è diventato una vera medicina: resiliente, quotidiano, capace di tenere insieme speranza e realtà. «Se non avessi avuto lei, non sarei qui a parlare con voi – confessa Giancarlo – lei è la mia forza più grande».
Giancarlo ora guarda il futuro con serenità, vivendo un giorno alla volta, ma con obiettivi precisi: «C’è prima di tutto il matrimonio di mio figlio, a giugno 2026, e ci voglio essere. Non ci sono scuse. È il mio pensiero fisso». La determinazione è rimasta la stessa che anni fa lo ha aiutato a sopravvivere alla leucemia. «Quella volta, quando sono entrato in reparto, mi sono detto: io da qui esco per tornare a bere il mio caffè e fumarmi una sigaretta. Così ho fatto. Adesso mi piacerebbe continuare allo stesso modo: esserci il giorno delle nozze, vedere mio figlio sposarsi, ridere con i miei nipoti. La voglia di vivere non mi manca».
Un inno alla vita
La sua storia, più che un racconto di malattia, è un inno alla vita. È la prova che anche quando il corpo diventa vulnerabile, le giornate possono essere ancora piene: d’amore, legami, interessi, pedalate, sogni. È la dimostrazione che fragilità non significa fine, ma possibilità. «Nella sfortuna sono fortunato», ripete spesso. Fortunato perché ha accanto Patrizia, perché i figli e i nipoti lo cercano, perché ha molti amici che gli stanno vicino e non lo fanno mai sentire solo, perché ha trovato medici che non vedono in lui solo un paziente, ma una persona. E così Giancarlo sorride, scherza, cucina, sogna. Fragile, sì. Ma anche fortissimo.
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