
La Buona Domenica / Hinterland
Domenica 05 Ottobre 2025
«Welcome», noi insieme per crescere: «La fragilità non è solo un ostacolo»
Mozzo Laura, Vanessa e Sabrina sono tra le partecipanti al progetto dell’associazione «Abilitare Convivendo»
C’è un appartamento a Mozzo, che, dall’esterno, non dice nulla di speciale. Un piccolo condominio in una strada a fondo chiuso, un quartiere tranquillo, un giardino ben curato, il profilo discreto tra tante altre abitazioni. Ma basta attraversare la porta e sedersi per un’ora in cucina per scoprire quante piccole e grandi trasformazioni avvengono in quello spazio, accogliente e confortevole, che ospita da dieci anni il «Progetto Welcome» dell’associazione Abilitare Convivendo.
Cambiamenti che si realizzano a partire dalla vita quotidiana, con il sapore di una rivoluzione. Sul tavolo ci sono una tovaglia, tazze e bicchieri, un vassoio di biscotti. Laura muove le mani con cura mentre taglia le verdure, Vanessa commenta l’ultima puntata di un programma televisivo, Sabrina ride per un dettaglio che alle altre era sfuggito. Parlano, scherzano, si interrompono, si correggono. Non c’è un educatore sempre presente, non ci sono sorelle o fratelli che vigilano. Ci sono loro tre, donne adulte con una disabilità, che si conoscono da sempre e hanno deciso di vivere insieme, con una normalità che un tempo sembrava un miraggio.
Progetto Welcome: dieci anni di autonomia e inclusione a Mozzo
Dieci anni fa, se qualcuno avesse proposto di lasciarle dormire una notte da sole in quell’appartamento, i genitori avrebbero scosso la testa spaventati. Troppo azzardo. E invece oggi è la loro normalità, cresciuta gradualmente nel tempo: prima un giorno di convivenza, poi due, poi cinque, rispettando i loro tempi ed esigenze. Sveglia al mattino, lavoro o attività educative e di volontariato, autobus presi senza esitazione, e poi ritornare a casa per cenare insieme, pulire, riordinare, fare il bucato, guardare un film.
Le protagoniste: tre donne con disabilità che hanno scelto di vivere insieme
Il percorso che ha portato fin qui comincia da una domanda. Barbara Resta, psicologa, durante un colloquio con Veruska Facoetti, la sorella di Vanessa, giovane con sindrome di Down, un giorno le aveva detto: «E se fosse lei a scegliere con chi vivere?». Veruska ricorda ancora il silenzio improvviso che era calato nella stanza. «Per anni avevo pensato fosse scontato: in assenza dei miei genitori, Vanessa sarebbe venuta a vivere con me. Punto. Quella domanda mi ha costretto a ribaltare la prospettiva e a riconoscere che lei aveva diritto di decidere, come tutti».
Anche Loredana Battaglia, sorella di Laura, ricorda il periodo in cui sono partiti i primi esperimenti di convivenza nell’appartamento di Mozzo: «Avevamo appena perso il papà, poi la mamma ha iniziato a mostrare evidenti sintomi di Alzheimer. Nel frattempo, Laura, che ha la sindrome di Down, grazie al Progetto Welcome ha incominciato ad acquisire maggiore sicurezza, e mi ha mostrato una forza inaspettata. Ancora adesso riesce a calmare nostra madre meglio di me, la aiuta a vestirsi, la fa ridere».
Angelo Salvini, fratello di Sabrina, si è avvicinato a lei con gradualità. «Per molti anni non siamo stati molto legati. Poi, a seguito di diverse difficoltà che si sono presentate nel tempo, ho capito che era il momento di esserci davvero. Il Progetto Welcome ci ha dato l’occasione di costruire un rapporto nuovo. Lei ha trovato più consapevolezza, io ho riscoperto mia sorella da una prospettiva diversa: non solo le mancanze, ma i suoi talenti».
Famiglie e fratelli che imparano a “fare un passo indietro”
Seduti attorno a un tavolo, a rievocare i primi passi del progetto, i tre fratelli sorridono come chi si riconosce complice di un grande cambiamento. Sono stati tra i fondatori dell’associazione, presieduta da Danilo Perico, che si propone di creare un ambiente di integrazione sociale e inclusione per persone adulte con disabilità, in collaborazione con cooperative sociali, amministrazioni comunali, enti sul territorio. Non era solo questione di dare un futuro più sereno alle sorelle: bisognava imparare a fare un passo indietro, a non sostituirsi, a riconoscere che l’amore vero è fiducia.
L’autonomia come diritto: piccole conquiste quotidiane a Mozzo
Nell’appartamento le giornate di convivenza scorrono veloci. Vanessa torna dal lavoro in una mensa scolastica e in biblioteca. Laura e Sabrina frequentano il Centro socioeducativo (Cse) di Mozzo e svolgono attività di volontariato. Tutte e tre sono ormai abili con le faccende domestiche, stabilendo tra di loro regole e compiti. Di pomeriggio la casa di Mozzo ha una sua luce particolare, piena, morbida, che entra dalla finestra della cucina e si posa sui gesti di chi prepara il caffè o sistema i piatti. Le tre donne in quei momenti sembrano immerse in un tempo sospeso, che nessun orologio può comandare. È un’immagine minuta, ma dentro c’è la forza di un intreccio: tre vite che imparano a cucire insieme il quotidiano, senza più dipendere solo dagli altri.
Per chi osserva dall’esterno, può sembrare poco: un pranzo preparato da sole, un autobus preso senza chiedere aiuto. Ma per le loro famiglie questi gesti sono mattoni sui quali costruire un futuro più solido. «Ricordo la prima volta che Laura ha preso il pullman da sola – racconta Loredana –. Ero agitata, guardavo l’orologio ogni cinque minuti. Poi l’ho vista arrivare, sorridente, come se fosse la cosa più normale del mondo».

Anche per Veruska, la quotidianità di Vanessa ha assunto un sapore nuovo. «Da vent’anni lavora in biblioteca, oltre che in mensa. Quando ho iniziato a vederla tornare a casa da sola, raccontare le cose che aveva fatto, ho capito che non era routine: era autonomia. Ogni giorno era un passo avanti verso una vita sua». Angelo ascolta e aggiunge: «Per me la svolta è stata quando Sabrina ha cominciato a uscire con le amiche per una passeggiata o un aperitivo. Prima restava in casa, aspettava che fossimo noi a proporre qualcosa. Poi un giorno mi ha detto: “Esco, torno più tardi”. È stata una sorpresa. Ero orgoglioso, ma anche spiazzato».
Un modello di abitare inclusivo sostenuto da Abilitare Convivendo
Il progetto Welcome è stato una palestra per tutti. «Abbiamo dovuto imparare a non sostituirci – dice Veruska –. Perché è facile dire: faccio io, ci penso io. Ma l’amore vero è lasciare spazio anche all’errore». È un ribaltamento culturale. Lo si vede in tanti piccoli dettagli. Nelle vacanze organizzate da sole, nelle liste della spesa scritte a mano. E lo si sente nei dialoghi quotidiani. I fratelli raccontano che all’inizio la tentazione di controllare, correggere, decidere al posto loro era forte. Ma con il tempo hanno imparato a trattenersi e lasciar andare. La psicologa, che li ha accompagnati in questo cammino, in un incontro ha detto una frase che tutti ricordano: «La fragilità non è una condanna, è un’altra forma di forza. Basta saperla guardare». E in quel momento hanno capito che il progetto non era solo per le tre sorelle, ma per loro stessi e per tutta la comunità che si stringeva attorno.
Dieci anni di Progetto Welcome: una festa per celebrare la comunità
La sera, quando cala il silenzio sul paese, l’appartamento di Mozzo non spegne mai del tutto le sue luci. Una lampada resta accesa in cucina, un segnale discreto che lì dentro qualcuno ancora legge, ride, si muove tra le stanze. È una luce che non indica sorveglianza, ma presenza: racconta un modo diverso di stare al mondo. Dieci anni fa, quando è nato il progetto Welcome, nessuno avrebbe scommesso che si potesse arrivare fin qui. Allora l’idea di una convivenza stabile sembrava un salto nel vuoto. C’era chi vedeva soprattutto rischi. Oggi, invece, nessuno si stupisce più di vedere gli ospiti dell’appartamento confrontarsi sulla lista della spesa, cucinare, uscire per il lavoro: è una normalità non banale, mai scontata, una conquista. Per le famiglie, la differenza sta tutta in questa raggiunta naturalezza.
«All’inizio – ricorda Veruska – ci sembrava un progetto speciale, di cui non riuscivamo a immaginare gli sviluppi. Adesso invece è diventato vita ordinaria. Una vittoria importante». Loredana ha cambiato punto di vista: «Mi sono accorta che non penso più a Laura come a qualcuno che “ha bisogno di me”, ma semplicemente come a mia sorella. Siamo due adulte che si rispettano, con ruoli diversi ma pari dignità». Angelo sorride: «Con Sabrina, ogni giorno è una sorpresa. Non c’è momento in cui non mi stupisca per una frase che dice, una scelta che fa, una sicurezza nuova. E io, che credevo di doverla accompagnare sempre, mi trovo accompagnato da lei».
Il segreto, dicono, è stato imparare a pazientare, accogliere i piccoli passi. Non pretendere cambiamenti immediati, ma lasciarli maturare. Un esercizio di speranza, con l’augurio condiviso che l’autonomia non resti un privilegio di pochi, ma diventi un diritto di tutti, anche a partire da esperienze come queste, nate dal pensiero, dall’iniziativa e la cura delle famiglie.
In questi dieci anni, l’appartamento è diventato un laboratorio di comunità. Ci sono passate tante persone, alcune in seguito hanno trovato una sistemazione autonoma: «Capiterà lo stesso - osserva Veruska - anche alle nostre sorelle, quando saranno pronte». Educatori, volontari, amici, vicini hanno imparato a guardare le fragilità non come ostacoli, ma come possibilità di relazione. C’è chi porta una torta per un compleanno, chi passa a salutare, chi offre un passaggio in auto. Piccoli gesti che hanno creato una rete invisibile, un tessuto di appartenenza.
Il futuro resta aperto, ma la paura del «dopo di noi» non ha più lo stesso peso. Per celebrare questo cammino, sabato 11 ottobre l’auditorium Anna Maria Mozzoni di Mozzo diventa teatro di una festa. Sul palco la band Mood Season (20.30, prenotazione consigliata su [email protected]), e la musica si intreccerà con racconti, ricordi, immagini di dieci anni di convivenza. Alla fine, un brindisi collettivo. Non solo un anniversario, ma un atto pubblico di gratitudine.
Un’occasione speciale per conoscere ed entrare nel cuore del Progetto Welcome, che permette a tante persone adulte con fragilità di vivere il presente con dignità e il futuro come promessa. La speranza, per tutti i ragazzi che ne fanno parte, è una casa che prende vita, un sorriso che si accende, come una lampada nella notte. Una rivoluzione silenziosa, che non ha bisogno di proclami. Basta aprire quella porta a Mozzo e sedersi a tavola con loro.
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