Fara, il supertestimone: «Ho sentito la donna gridare aiuto dall’auto»

La ricostruzione Un quarantenne stava uscendo dalla palestra e si è trovato davanti la macchina che sfrecciava verso il fiume. Poi ha visto il compagno nuotare.

«Ho sentito gridare “aiuto, aiuto!”. Ne sono sicuro, era una voce di donna». È di un farese di 40 anni la testimonianza chiave sulla morte di Romina Vento, 44 anni, annegata dopo che l’auto condotta dal compagno Carlo Fumagalli, 49 anni, ora in carcere per omicidio volontario, è finita nell’Adda. Il testimone, che è stato ascoltato dai carabinieri, ha udito chiaramente la vittima gridare dalla Renault Megane guidata da Fumagalli: chiedeva aiuto. «Erano le 21,34 – ha raccontato mercoledì 20 aprile – quando sono uscito dalla palestra. Sono sicuro dell’ora perché sono rimasto incuriosito dal fatto di vedere una ciabatta in mezzo alla strada. Mi pareva una cosa insolita e così l’ho fotografata per inviare l’immagine a un conoscente».

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La palestra si trova in via Reseghetti ed è distante circa 80 metri dal luogo in cui l’auto con i due conviventi è finita nel fiume. Insieme al quarantenne c’era anche un amico che ha notato in lontananza la Megane, ferma, all’altezza della passerella sul fiume, che si trova dalla parte opposta, a circa 150 metri di distanza. L’auto è partita in velocità iniziando a percorrere il rettilineo di via Reseghetti, un tratto di circa 250 metri.

A quel punto è stata una questione di pochi attimi: «Avevo appena spedito il messaggio con la fotografia, così non stavo guardando la strada. Ecco perché il mio amico, a un certo punto, vedendo l’auto arrivare a velocità sostenuta, mi ha detto: “Ehi, stai attento!”. Mi ha quindi preso e spostato lontano dalla strada. Ed è stato pochi secondi dopo, una volta che l’auto mi ha superato, che ho sentito una voce femminile gridare “aiuto, aiuto!”. Pochi istanti e abbiamo visto la Megane finire nell’Adda».

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«Allora gli abbiamo urlato: “In quanti siete?” Lui ci ha solo risposto “Mio figlio, mio figlio!”. Non ha fatto alcun accenno alla compagna. Dopodiché gli abbiamo gridato di dirigersi a nuoto verso il vicino isolotto e così ha fatto»

A questo punto entrambi i testimoni hanno lasciato a terra le borse della palestra e sono corsi verso l’auto finita nel fiume: «Arrivati là –racconta – abbiamo illuminato la zona con le torce dei nostri telefoni. Era spalancata solo la portiera del passeggero e abbiamo visto un uomo nuotare. Allora gli abbiamo urlato: “In quanti siete?” Lui ci ha solo risposto “Mio figlio, mio figlio!”. Non ha fatto alcun accenno alla compagna. Dopodiché gli abbiamo gridato di dirigersi a nuoto verso il vicino isolotto e così ha fatto».

In quel momento, nella zona, si trovava anche un’altra persona, un cittadino marocchino che, accortosi di quanto accaduto, è subito corso sul luogo della tragedia: «Il mio amico – conclude il farese – è rimasto sulla sponda mentre io e l’altro signore intervenuto siamo corsi verso la passerella da cui si può raggiungere a piedi l’isolotto. Del conducente della Megane, però, non c’era già più traccia. Abbiamo visto solo delle impronte bagnate sulla terra secca per una decina di metri, a riprova che era riuscito ad uscire dal fiume e a mettersi in salvo». Nel frattempo venivano chiamati i soccorsi, che in poco tempo avrebbero rintracciato la donna, purtroppo già deceduta.

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